(data, 31 ottobre 2012) - E’ illegittimo e discriminatorio il taglio delle pensioni pubbliche e private di importo superiore ai 90 mila euro lordi l’anno deciso nell’estate di un anno fa dal Governo Berlusconi. Lo ha lasciato chiaramente intendere la Corte Costituzionale al punto 7.3.3.2 della motivazione della sentenza n. 241, depositata oggi in cancelleria che interessa in tutta Italia decine di migliaia di contribuenti (solo i giornalisti sono 930).
Infatti, secondo i giudici della Consulta, il contributo previsto a carico dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie “ha natura certamente tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici” già dichiarato illegittimo venti giorni fa con la sentenza n. 223 del 2012. La norma contestata, infatti, “integra una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, che presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per caratterizzare il prelievo come tributario”.
Tuttavia, solo per un motivo tecnico, cioè per un “pasticcio giuridico” la Consulta non ha potuto dichiarare l’incostituzionalità del taglio introdotto dall’art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98 in base al quale era previsto un contributo di perequazione per trattamenti pensionistici i cui importi complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro ed al 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro. Tale norma era stata poi convertita nella legge 15 luglio 2011 n. 111.
Appena un mese dopo, però, il 13 agosto 2011 il Governo Berlusconi aveva varato un secondo decreto legge n. 138 che nel primo comma dell’art. 2 aveva abrogato il comma 22-bis dell’art. 18 del decreto-legge n. 98 del 2011, sostituendo il comma non convertito con una disposizione che si era limitata a riaffermare la perdurante efficacia della norma precedente («le disposizioni di cui agli articoli 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, continuano ad applicarsi nei termini ivi previsti rispettivamente dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 e dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014»).
Per la Corte Costituzionale “non può obiettarsi, al riguardo, che il comma 22-bis dell’art. 18 del decreto-legge n. 98 del 2011 è stato abrogato, con effetto irreversibile, ad opera del comma 1 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011, ancorché il decreto non sia stato convertito in legge sul punto. In realtà, con la mancata conversione, la stessa abrogazione è venuta meno, con effetto retroattivo, cosí da determinare la reviviscenza del comma 22-bis abrogato dal decreto non convertito (art. 77, terzo comma, Cost.: «I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge […]»).
Solo per questo motivo "tecnico" la Corte non ha potuto dichiarare già sin da oggi incostituzionale il taglio delle pensioni perché la Regione Sicilia aveva presentato ricorso contro il decreto legge n. 138, ma non anche contro il decreto legge n. 98 del 2011.
L’affermazione di principio da parte della Consulta è comunque chiarissima e inequivocabile sulla illegittimità del taglio operato dal governo Berlusconi su tutte le pensioni pubbliche e private superiori ai 90 mila euro lordi l’anno.
Per evitare, da un lato, un enorme ed inutile contenzioso davanti alla magistratura di tutta Italia e, dall'altro, un consistente buco nel bilancio dello Stato spetterà ora al governo Monti intervenire al più presto con una nuova norma ad hoc che con equità ed equilibrio colpisca indistintamente tutti i contribuenti italiani al di sopra di un certo reddito, e non più solo i pensionati pubblici e privati come sta, purtroppo, avvenendo oggi.
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SENTENZA N. 241 - ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
Considerato in diritto
6.1.− In primo luogo, viene denunciato (al pari della Regione siciliana e della Regione autonoma Sardegna, come sarà precisato ai punti 7.3.3. e 8.2.) il comma 2 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011, che prevede un temporaneo «contributo di solidarietà» (dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013, ma suscettibile di essere prorogato «anche per gli anni successivi al 2013, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio», con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze) in misura pari al 3 per cento sulla parte del reddito complessivo (determinato ai sensi dell’art. 8 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Testo unico delle imposte sui redditi») eccedente l’importo di 300.000 euro lordi annui.
La disposizione è impugnata in combinato disposto con il comma 36 del medesimo art. 2 − il quale, come visto, attribuisce per un quinquennio allo Stato le maggiori entrate derivanti dal decreto-legge, separatamente contabilizzate nel bilancio dello Stato − per violazione del combinato disposto dell’art. 49, primo comma, alinea e numero 1), dello statuto e dell’art. 4, comma primo, del d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale). Gli evocati parametri stabiliscono, rispettivamente, che: a) «Spettano alla Regione le seguenti quote fisse delle sottoindicate entrate tributarie erariali riscosse nel territorio della Regione stessa: […] 1) sei decimi del gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche» (art. 49, primo comma, alinea e numero 1, dello statuto); b) «Il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o da altre modificazioni in ordine ai tributi devoluti alla regione, se destinato per legge, ai sensi dell’art. 81 della Costituzione, per finalità diverse da quelle di cui al comma 2, lettera b) [cioè diverse dal finanziamento delle funzioni statali delegate alla Regione], alla copertura di nuove specifiche spese di carattere non continuativo, che non rientrano nelle materie di competenza della regione, ivi comprese quelle relative a calamità naturali, è riservato allo Stato, purché risulti temporalmente delimitato, nonché contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile» (art. 4, comma primo, del d.P.R. n. 114 del 1965).
La normativa impugnata è in contrasto con lo statuto e le sue norme di attuazione, il cui «rispetto» è invece richiesto dal piú volte citato art. 19-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, al fine dell’applicabilità di detta normativa agli enti ad autonomia differenziata.
Va rilevato, in proposito, che l’entrata in esame ha natura indiscutibilmente tributaria, come incidentalmente rilevato dalla sentenza di questa Corte n. 223 del 2012, ai punti 13.2.2. e 13.3.1. del «Considerato in diritto», in quanto presenta la struttura di una sovrimposta dell’IRPEF, tanto che per il suo accertamento, riscossione e contenzioso lo stesso comma 2 stabilisce che «si applicano le disposizioni vigenti per le imposte sui redditi» (quinto periodo del comma). Dalla natura di imposta sui redditi discende la spettanza allo Stato non dell’intero gettito del contributo di solidarietà riscosso nel territorio regionale, ma solo dei quattro decimi del medesimo gettito, come previsto dall’evocata norma di attuazione statutaria.
OMISSIS
7.3.− La Regione siciliana impugna, in secondo luogo, le misure riguardanti le «maggiori entrate» previste dai commi 1, 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater, 3, secondo e quarto periodo, 5-bis, 5-ter, 35-octies, 36, terzo periodo, dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011, deducendo di avere diritto all’attribuzione del gettito corrispondente, con conseguente illegittimità della sua devoluzione all’Erario.
Piú in dettaglio, con riguardo a tali disposizioni:
a) il comma 1 − attraverso il richiamo sia dell’art. 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sia dell’art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 − prevede:
a.1.) la riduzione del 5 per cento del trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici superiore a 90.000 euro e la riduzione del 10 per cento per la parte di tale trattamento eccedente i 150.000 euro (art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010);
a.2.) il contributo di perequazione per trattamenti pensionistici i cui importi complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro ed al 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro (art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011);
b) il comma 2 introduce un temporaneo (ma suscettibile di proroga) «contributo di solidarietà» − sopra descritto al punto 6.1. – pari al 3 per cento sulla parte del reddito complessivo eccedente l’importo di 300.000 euro lordi annui;
OMISSIS
7.3.3.– La Regione siciliana, come sopra ricordato, denuncia l’illegittimità della riserva allo Stato anche delle entrate di cui ai commi 1, 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater e 35-octies dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011, nessuna delle quali risulta nominativamente riservata allo Stato dalla normativa statutaria e di attuazione statutaria.
In proposito valgono considerazioni in parte analoghe a quelle di cui al precedente punto 7.3.2.2. È necessario valutare, pertanto, anche con riguardo a tali norme, se la riserva delle entrate all’Erario rispetti tutte le indicate tre condizioni poste dallo statuto per la devoluzione allo Stato del gettito.
7.3.3.1.− Occorre prendere atto in limine che, con sentenza n. 223 del 2012, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, nella parte in cui prevede la «riduzione» dei trattamenti economici complessivi dei dipendenti pubblici. Poiché la norma dichiarata illegittima costituisce l’indefettibile presupposto per l’applicazione della denunciata prima parte del comma 1 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 (che non è autonoma, in quanto si limita ad affermare la vigenza dell’art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010), la questione deve essere dichiarata inammissibile per il sopraggiunto venir meno di detto presupposto, e cioè dell’entrata, rivendicata dalla ricorrente, corrispondente all’indicata «riduzione».
7.3.3.2.− Ad analoga conclusione di inammissibilità si deve giungere con riguardo alla questione relativa all’ulteriore entrata espressamente richiamata dall’impugnato comma 1 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011; cioè il contributo di perequazione di cui all’art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011. L’inammissibilità, in questo caso, deve essere pronunciata non per effetto di una precedente dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che prevede il prelievo (dichiarazione, nella specie, non intervenuta), ma in forza di un diverso percorso argomentativo, fondato sull’erronea individuazione della disposizione ritenuta lesiva.
Il contributo oggetto di censura è previsto a carico dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie ed ha natura certamente tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici (sopra descritto al punto 7.3.) previsto dallo stesso comma 1 nella parte dichiarata illegittima da questa Corte con la suddetta sentenza n. 223 del 2012 e la cui natura tributaria è stata espressamente riconosciuta dalla medesima sentenza. La norma impugnata, infatti, integra una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, che presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per caratterizzare il prelievo come tributario (ex plurimis, sentenze n. 223 del 2012; n. 141 del 2009; n. 335, n. 102 e n. 64 del 2008; n. 334 del 2006; n. 73 del 2005).
Tuttavia, da quanto precede emerge anche che il contributo e la sua attribuzione al bilancio dello Stato sono previsti non dall’impugnato decreto-legge n. 138 del 2011, ma dal non impugnato e tuttora vigente decreto-legge n. 98 del 2011, il quale – come si è visto – aveva già riservato allo Stato il prelievo gravante sul trattamento pensionistico e la cui vigenza è stata ribadita, senza nulla innovare, dalla normativa denunciata. In particolare, la legge 14 settembre 2011, n. 148, nel non convertire in legge l’originaria formulazione del comma 1 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 (che aveva abrogato il comma 22-bis dell’art. 18 del decreto-legge n. 98 del 2011), ha sostituito il comma non convertito con una disposizione che si è limitata a riaffermare la perdurante efficacia del comma 22-bis dell’art. 18 del decreto-legge n. 98 del 2011 («le disposizioni di cui agli articoli […] 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, continuano ad applicarsi nei termini ivi previsti rispettivamente dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 e dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014»). Non può obiettarsi, al riguardo, che il comma 22-bis dell’art. 18 del decreto-legge n. 98 del 2011 è stato abrogato, con effetto irreversibile, ad opera del comma 1 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011, ancorché il decreto non sia stato convertito in legge sul punto. In realtà, con la mancata conversione, la stessa abrogazione è venuta meno, con effetto retroattivo, cosí da determinare la reviviscenza del comma 22-bis abrogato dal decreto non convertito (art. 77, terzo comma, Cost.: «I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge […]»).
Ne deriva che l’impugnazione, in parte qua, del comma 1 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 è incorsa in una aberratio ictus, che comporta, secondo la giurisprudenza di questa Corte, una pronuncia di inammissibilità della questione (ex plurimis, in tema di aberratio ictus, ordinanze n. 180 e 120 del 2011, n. 335 e n. 248 del 2010; n. 92 del 2009).
7.3.3.3.− Una volta escluso l’esame nel merito delle questioni dichiarate inammissibili, è ora necessario valutare se sussistano le sopra indicate tre condizioni statutariamente richieste per riservare allo Stato le altre entrate non nominativamente attribuite all’Erario e rivendicate dalla Regione (precisate al punto 7.3.3.).
Quanto alla prima condizione posta dallo statuto, relativa alla natura tributaria delle entrate, è indubbio che essa sussiste: a) il censurato comma 2 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 attiene al temporaneo contributo di solidarietà sul reddito complessivo ed ha natura tributaria – come già rilevato al punto 6.1., a proposito del ricorso proposto dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia –, perché si risolve in un prelievo corrispondente ad una aliquota aggiuntiva rispetto al reddito imponibile dell’IRPEF e, quindi, in una temporanea sovrimposta di tale tributo; b) i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dello stesso articolo disciplinano l’aumento dell’aliquota dell’IVA, cioè di una imposta tipica; c) il comma 35-octies regola l’imposta di bollo sui trasferimenti all’estero e, quindi, afferisce anch’esso ad una imposta tipica.
Anche la seconda condizione – consistente nella novità dell’entrata tributaria – appare soddisfatta, perché le norme indicate introducono nuovi proventi (anche se non nuovi tributi).
Non è soddisfatta, invece, la condizione relativa alla «specificità della destinazione del gettito della nuova entrata», perché, come già osservato ai punti 6.1. e 7.3.2.2., il disposto del comma 36, primo periodo, dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 prevede una destinazione solo generica di tale gettito.
Ne deriva che la devoluzione all’Erario di tali entrate víola la normativa di rango statutario, con la conseguenza che, in forza della clausola generale di salvaguardia di cui all’art. 19-bis del citato decreto-legge, le norme censurate (a differenza di quelle di cui ai commi 5-bis e 5-ter) non sono applicabili alla Regione siciliana. Di qui la non fondatezza delle questioni.
8.2.− La ricorrente impugna, in secondo luogo, il combinato disposto dei commi 36, primo e secondo periodo, e 2 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011, in quanto riservano all’Erario il gettito del temporaneo prelievo tributario introdotto dallo stesso comma 2, denominato «contributo di solidarietà», pari al tre per cento sulla parte del reddito complessivo imponibile ai fini dell’IRPEF eccedente l’importo di 300.000,00 euro annui. La ricorrente deduce che la riserva allo Stato del gettito di tale contributo di solidarietà víola, in particolare, l’art. 8, primo comma, lettera a), del proprio statuto, che attribuisce alla Regione autonoma Sardegna i «sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche [...] riscosse nel territorio della regione».
Il prelievo in esame – come si è già osservato supra, ai punti 6.1. e 7.3.3. con riguardo alle questioni promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Regione siciliana – costituisce indubbiamente una sovrimposta dell’IRPEF, in quanto si risolve nell’applicazione di una aliquota aggiuntiva rispetto al reddito imponibile di tale tributo. Il «contributo di solidarietà» va, quindi, qualificato come una temporanea imposta sul reddito delle persone fisiche, il cui gettito − ove riscosso nel territorio regionale − va attribuito, per i sette decimi, alla Regione autonoma Sardegna, ai sensi dell’evocato art. 8, primo comma, lettera a), dello statuto d’autonomia (come indicato al punto precedente). Non risultano, infatti, eccezioni poste da norme di rango statutario a tale attribuzione di gettito alla Regione autonoma.
La normativa impugnata pertanto, nel riservare allo Stato l’intero gettito del prelievo, si pone in contrasto con l’evocato parametro statutario. Da tale contrasto deriva l’operatività della clausola di salvaguardia di cui al piú volte citato art. 19-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, cosí da escludere l’applicazione alla ricorrente della norma impugnata (come precisato supra ai punti 4.1. e 4.3.). Viene meno, pertanto, la premessa interpretativa sottesa alla sollevata questione, la quale va conseguentemente dichiarata non fondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione siciliana e dalla Regione autonoma Sardegna con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 5-bis e 5-ter, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nella parte in cui dispone che la riserva allo Stato del gettito delle entrate derivanti da tali commi si applica alla Regione siciliana con riguardo a tributi spettanti alla Regione ai sensi del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e dal d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria);
2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2, comma 36, primo e secondo periodo, e 1, comma 6, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Sardegna, in riferimento agli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione ed agli artt. 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), con il ricorso n. 160 del 2011;
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 36, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste in riferimento all’art. 8 della legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della regione Valle d’Aosta) ed in riferimento al principio di leale collaborazione nonché agli artt. 48-bis e 50, comma quinto, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), in relazione all’art. 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta), con il ricorso n. 135 del 2011;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste in riferimento all’art. 8 della legge n. 690 del 1981 nonché al principio di leale collaborazione ed agli artt. 48-bis e 50, comma quinto, della legge costituzionale n. 4 del 1948, in relazione all’art. 1 del decreto legislativo n. 320 del 1994, con il ricorso n. 135 del 2011;
5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2-bis, 2-ter, 2-quater, 36-bis, 36-quater, 36-quinquies, 36-decies del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in riferimento all’art. 49, comma primo, numero 4), della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), ed all’art. 4, comma primo, del d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), con il ricorso n. 139 del 2011;
6) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, promosse dalla Regione siciliana in riferimento agli artt. 36 e 37 del r.d.lgs. n. 455 del 1946, convertito in legge costituzionale n. 2 del 1948, in relazione all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, con il ricorso n. 140 del 2011;
7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2-bis, 2-ter, 2-quater, 3, secondo e quarto periodo, 35-octies del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, promosse dalla Regione siciliana in riferimento agli artt. 36 e 37 del r.d.lgs. n. 455 del 1946, convertito in legge costituzionale n. 2 del 1948, in relazione all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, con il ricorso n. 140 del 2011;
8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, promossa dalla Regione siciliana in riferimento agli artt. 36 e 37 del r.d.lgs. n. 455 del 1946, convertito in legge costituzionale n. 2 del 1948, in relazione all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, con il ricorso n. 140 del 2011;
9) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 36, terzo periodo, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, promossa dalla Regione siciliana in riferimento agli artt. 36 e 37 del suddetto regio decreto legislativo, in relazione all’art. 2 del parimenti menzionato d.P.R. n. 1074 del 1965, con il ricorso n. 140 del 2011;
10) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei combinati disposti dell’art. 2, comma 36, primo e secondo periodo, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, e dei commi 2, 2-bis, 2-ter e 2-quater, 3, primo periodo, 5-bis, 5-ter, 6, 9, 36, terzo e quarto periodo, dell’art. 2 dello stesso decreto-legge, promosse dalla Regione autonoma Sardegna, in riferimento agli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione ed agli artt. 7 e 8 della legge costituzionale n. 3 del 1948, con il ricorso n. 160 del 2011.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI