Come noto la legge sull’equo compenso nel settore giornalistico (n. 233/2012), è stata finalmente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio (in vigore a partire dal 18 gennaio 2013). Salutata dalla stragrande maggioranza del settore con favore (spesso accompagnato da toni entusiastici), la legge si pone quale finalità principale l’obiettivo di introdurre equità retributiva nello specifico ambito delle prestazioni rese da giornalisti iscritti nel relativo albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato (i cd. free lance). Di tali peculiari collaborazioni, numerosi studi hanno ampiamente dimostrato sia la progressiva precarizzazione, sia la sotto-remunerazione (quando presente), certamente non rispettosa dei principi costituzionali (articolo 36) e civilistici (art. 2233 c.c.) in materia. Prassi ancor più esecrabili ove poste in essere da editori che fruiscono massicciamente dei contributi pubblici per il finanziamento della loro attività.
Quindi ben venga una legge finalizzata espressamente al superamento di una situazione non più sostenibile. Ma, chiarita la assoluta condivisione quanto ai fini perseguiti, qualche dubbio può essere sollevato in merito ad alcune soluzioni tecniche adottate dalla novella, a nostro parere non del tutto condivisibili. Vediamole brevissimamente.
a) in primo luogo la nozione di “equo compenso”. Pare ovvio che, a parte i canonici riferimenti quanto la proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro prestato, il problema maggiore (del quale sarà investita la apposita Commissione) sarà la sua concreta determinazione. La legge al riguardo parla di una generica «coerenza» con i trattamenti previsti dalla contrattazione di categoria per i lavoratori subordinati. E qui sorgono già i primi problemi applicativi. E’ noto infatti come già le famose “lenzuolate” adottate dai decreti Bersani (Dl 4 luglio 2006, n. 223) avessero abolito il carattere vincolante delle tariffe minime in ambito professionale (quale è , incontestabilmente, l’ambito dei free lance iscritti all’albo dei giornalisti) e la stessa Autorità Garante della concorrenza (in linea con gli orientamenti comunitari) si fosse già espressa a sfavore dello stesso Tariffario 2007 approvato dall’OdG , chiedendone financo l’abolizione. Pare evidente, pertanto, come un giudizio di “coerenza” non possa risolversi in un pedissequo richiamo all’applicazione dei corrispondenti minimi tabellari dei giornalisti subordinati (rendendo di fatto l’equo compenso una sorta di Tariffario minimo), ferma restando la inapplicabilità della norma, recentemente introdotta dalla Riforma Fornero, che prevede invece la applicabilità del minimo tabellare alla remunerazione del collaboratore a progetto (notoriamente la norma non si applica agli iscritti agli ordini professionali).
Quindi una “coerenza” basata su parametri oggettivi (tiratura del periodico, sua rilevanza economica ec.) o soggettivi (anzianità di iscrizione del free lance ec. ) ? con quali effetti, però, sull’eventuale contenzioso (considerata anche la rilevanza delle sanzioni previste) ?
b) perplessità sulla Commissione che sarà chiamata a definire l’”equo compenso” e la valutazione delle prassi retributive dei committenti/editori. Intanto la tempistica assegnata: solo due mesi dal suo insediamento per definire l’equo compenso e redigere l’elenco dei “buoni” che ne garantiscono il rispetto. Poi il silenzio assoluto sulla tipologia di atto con il quale rendere esecutiva la Commissione medesima e le sue delibere (DPCM ?). Inoltre il ruolo non preponderante affidato ai sindacati dei giornalisti e dei committenti al suo interno (nonostante i compiti della Commissione attengano essenzialmente a problematiche retributive).
c) Perplessità sulle sanzioni applicabili agli editori/committenti che non garantiscono il rispetto dell’equo compenso. Intanto la mancata iscrizione per un periodo superiore a sei mesi induce a pensare che comunque l’elenco debba essere aggiornato a cadenza almeno mensile; poi la sanzione conseguente alla mancata iscrizione nell’elenco per sei mesi “fino alla successiva iscrizione” (perdita dei contributi e degli altri benefici pubblici) si applica all’intero anno (il contributo all’editoria è annuale) o soltanto “pro quota”, per il periodo di mancata iscrizione ? e cosa deve intendersi con l’espressione “altri benefici pubblici”: i soli contributi all’editoria o qualsiasi altra tipologia di beneficio comunque classificabile pubblico?
d) ulteriore perplessità è suggerita dalla sanzione rappresentata dalla nullità dell’intero patto contenente la clausola in difformità dall’equo compenso. Il termine “patto” fa riferimento all’intero contratto, certamente contenente clausole contrattuali ulteriori rispetto a quelle specificamente retributive. Che ne sarà di queste ultime una volta accertata la nullità (tamquam non esset) dell’intero contratto?
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(sintesi del saggio, L’equo compenso per i giornalisti diventa legge. pubblicato dal periodico “Guida al lavoro” n. 3 dell’11 gennaio 2013 a firma Antonio Carlo Scacco, consulente del lavoro in Roma).
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