“Il mio paese sono io”, dice Marina Sorina, 39 anni, ucraina di Kharkiv, guida turistica a Verona, insegnante di russo, super laureata. “Tutti trenta e lode”, spiega con orgoglio. Traduttrice de “I Racconti di Odessa” (Voland editore) di Isaak Babel. “Fucilato da Stalin”, specifica. Riguardo agli italiani è molto critica. Punta il dito contro il mondo chiuso della provincia. Come darle torto? Con il racconto “L’inizio dell’autunno” ha partecipato ad un concorso intitolato Lingua Madre. Ma ha pubblicato anche un libro (dal titolo semplicistico, rispetto ai contenuti molto critici), “Voglio un marito italiano”. “Volevo scrivere contro tanti pregiudizi sulle donne dell’Est e lo stereotipo di donne facili e docili pecorelle, sottomesse al marito”. Alla domanda come vive l’Italia risponde: “E’ un tasto dolente. Dell’Italia ho detestato la superficialità, ma adesso sono cittadina italiana e mi sono ancorata agli studi e alla scrittura: così ho scelto di vedere e vivere solo il mio quartiere, i miei studenti, i turisti, il mio fidanzato”.
Come si vive avendo due patrie? Per molti dei nuovi italiani, con tanto di certificato di residenza, questo è un problema non più giuridico, ma terribilmente umano. Avere due storie, altrettanto importanti e - perché no? - due origini, come accade a molti di quegli stranieri che sono ormai cittadini italiani. Molti di loro sono donne – più che uomini - e non è un caso se un’accelerata all’integrazione ora viene proprio da un concorso letterario aperto alle donne straniere (ma anche alle italiane che hanno storie da raccontare sulle straniere) che porta il nome significativo di Lingua Madre alla sua ottava edizione.
Tra le partecipanti Michaela Sebokova, 38 anni, slovacca di Nove Zamki, residente a Grisignano di Zozzo a Vicenza. Ha partecipato a Lingua Madre con il racconto “Il profumo della domenica” che ha vinto la sezione Slow Food. Un breve testo, affatto banale, sulla memoria dei sapori della domenica e l’estraneità che può provare una slovacca di fronte alle lasagne, perché i suoi ricordi infantili appartengono di più ad un piatto di zuppa borsch. Come spiegarlo ad un italiano? Ma l’estraneità non si può eludere, soprattutto nelle piccole cose. Ci si deve scendere a patti. Fare finta di niente è peggio. Chissà se ora si sente italiana? Messa alle strette, ha una risposta a sorpresa: “Io mi sento toscana, anche se quando sono qui difendo la Slovenia e, quando sono, lì difendo l’Italia”. Il motivo è presto detto. E’ in Italia dal 2001, oggi impiegata in una multinazionale, dove si occupa di customer service, poi trasferita nel Veneto a causa del lavoro. “Non ho mai avuto problemi, ma è chiaro che spostarsi per centinaia di chilometri è doloroso”. Sempre sul filo di una memoria ancora intensa, Michaela ha appena scritto “Diario di una piccola comunista” (Besa editore), di prossima uscita, racconto di quando ancora la Slovacchia e la Repubblica Ceca erano unite sotto il regime comunista.
Il concorso Lingua Madre presenta in questi giorni in giro per l’Italia l’edizione 2012 in attesa che riparta la nuova edizione 2013. Con le sue concorrenti e le vincitrici. La lettura dei testi che si trova nell’antologia annuale è una continua e sorprendente scoperta che, unita ai curricula delle partecipanti, lascia il segno nel nostro cuore di italiani doc. Le nuove italiane sono già alla seconda e alla terza generazione. Ma quello che stupisce - e che è veramente difficile da riassumere in un articolo - è la ricchezza di esperienze, non tanto e solo umane, ma sociali, geografiche, culturali, storiche, lavorative (non tutte fanno le badanti); molte di queste donne hanno preso una e più lauree o specializzazioni qui in Italia, girando anche più università. Più italiane di così? Rappresentano ormai un macrocosmo, una fetta grande e importante del nostro difficile Paese che si sta aprendo sempre più alla relazione. A loro dobbiamo e possiamo rivolgerci per una reale crescita, per trovare soluzione a tanti problemi, per capire che cosa sta accadendo. Perché, mi chiederà qualcuno? Ma perché avendo due patrie alle spalle, mi si passi l’esagerazione, queste donne hanno mille e una risorse per conciliare l’inconciliabile, per vivere e lavorare ed educare i loro figli. Molte, molte di loro - come a volte raccontano con dolore - hanno superato vicende capaci di annientare chiunque e si sono risollevate. Sono loro che faranno la prossima Italia.
Veniamo alle autrici, ma facciamo una precisazione, non tutte sognano romanticamente di diventare scrittrici, anche perché sono informate e sanno bene che aria tira e poi spesso hanno un lavoro e non lo vogliono perdere. Tra le vincitrici dell’edizione 2012, citiamo Gracy Pelacani, originaria del Brasile, residente a Montebelluna, Jelena Zivkovic, originaria della ex Jugoslavia, residente a Treviso, e Migena Proi originaria di Valona, autrice di un bellissimo blog sulla questione femminile.
Come ricorda l’ideatrice del premio, la giornalista e scrittrice Daniela Finocchi, le donne sono due volte discriminate per sesso e provenienza, ma sono anche le più veloci ad avvicinarsi ad una lingua diversa. Le donne – dice – hanno due patrie che, scherzando, la giornalista chiama “matrie”. Tra le decine e decine di racconti sono presenti anche quelli di varie autrici residenti nel Veneto. Molte hanno qualcosa di davvero originale e utile da dire sulla nostra patria da nuove italiane quali sono. Jelena Zivkivic, nata a Belgrado, da oltre vent’anni in Italia, vive a Treviso; ha una sua famiglia e collabora con periodici serbi come giornalista culturale. Il suo racconto “Bu, bu, settete!” è una cronaca della malattia della madre e della sua corsa a Belgrado per darle tutto l’aiuto che poteva. Ma alla fine è una manciata di giorni divisi e rubati alla vita italiana, con amore e strazio insieme. “Verde uguale casa” è il delicatissimo racconto su un colore che ha accompagnato la sua infanzia e poi perduto, scritto da Gracy Pelacani, 27 anni, nata nel Paranà, laureata in Giurisprudenza a Trento, che oggi vive a Montebelluna.
Calina Tobosaru, 47 anni, romena, figlia di un diplomatico, vive a Verona, dove sta prendendo una laurea in Scienze della Formazione; ha la doppia cittadinanza ed è sposata con due figli. Scrive in “25 aprile” come si è trovata a vivere nel 1974 a Lisbona la rivoluzione dei Garofani contro il governo fascista e al ritorno in Romania la rivoluzione contro il governo comunista. Degli italiani dice che sono “molto viziati e carenti di spirito patriottico” e, più che razzisti, li trova “classisti”.
“Per me vivere in Italia è stato un ritorno alle origini”, spiega Maria Bulei, romena, 35 anni, laurea in lettere, un trisavolo italiano e garibaldino alle spalle che era emigrato da Sabbarese, Salerno, alla Romania per fare lo scalpellino, che le ha lasciato un bellissimo manoscritto. Lei ha fatto il cammino all’inverso. “Il mio trisavolo era un liberale infuocato”. Ora Maria Bulei vive a Padova. In “Topografie dell’anima” racconta la sua visione dell’essere erranti. “La gente non conosce i nostri paesi, non è bene informata”.
Irina Serban, 31 anni, vive a Padova, emigrata dalla Romania con tutta la famiglia, ha scritto un testo sul concetto di sentirsi stranieri, sullo sdoppiamento, dal titolo “Lo sguardo del passato”. Le autrici venete sono tante altre, come Anisa Zikulari, albanese, residente a Padova, con “Le sorprese della vita”, Paula Regina Siega, del Brasile che sta a San Donà di Piave, con “White Cristmas”. L’elenco sarebbe molto lungo.
Per chi volesse scoprire questa Italia ancora tenuta in un angolo, la lettura di alcuni incipit dei pezzi sarebbe molto illuminante. Li si trova nel sito www.concorsolinguamadre.it , anche in forma vocale.