Gentile Franco Abruzzo, mi permetto di entrare nel dibattito scaturito dal caso Giannino per esprimere il mio arrabbiato stupore di fronte al fatto che negli interventi finora letti solo Paolo Zucca abbia accennato a una parola magica per i capoccia del giornalismo italiano e tragica per moltissimi giornalisti, non solo giovani: precariato. Parola che forse però sta perdendo di significato, tanto è utilizzata. Temo che ormai il precario sia visto anche come una persona incapace di trovare un’occupazione. Allora magari meglio usare i termini sfruttamento del lavoro.
Ma dico, vogliamo discutere di rigenerazione del giornalismo ignorando che fino a quando un articolo verrà pagato una manciata d’euro non ci potrà mai essere un giornalismo di qualità, mordente, approfondito? Non si può fare giornalismo rigoroso, a tempo pieno, vivendo di precariato. Perché non ci si vive.
La settimana scorsa ho preso una decisione dura, piena di dubbi. Ho mandato una raccomandata all’Ordine dei giornalisti della Lombardia per chiedere di essere cancellato dall’albo dei professionisti. Mi sono sentito preso in giro dall’Ordine per due anni (sono professionista da fine 2010), e i sindacati…meglio che mi taccia. Se siamo arrivati a questo punto, qualcuno ne avrà pure colpa.
Quest’anno ho deciso di non buttare via 100 euro, più un’obbligatoria iscrizione all’Inpgi che nel 2012 mi ha chiesto tanti euro di contributi quanti ne ho guadagnati.
Ad aprile andrò via dall’Italia fino a fine anno per un progetto in ambito europeo, siccome di giornalismo in Italia non riesco a camparci. Ma non metterò da parte l’idea di scrivere. Tanto posso farlo lo stesso, non c’è mica bisogno di essere nell’albo dell’Ordine per scrivere su un giornale, no?
Mentre in posta infilavo nella busta il tesserino da restituire all’Ordine, un misto di rabbia e sconforto mi stava quasi per sconvolgere l’animo. Mi sono sentito colpevole, di fronte alla mia famiglia che ha fatto sacrifici per darmi la possibilità di studiare, di avere voluto frequentare una scuola di giornalismo, che costa come un giro del mondo. Forse è colpa mia, certo non lo escludo. Forse in questa situazione di crisi solo i migliori riescono, e io non sono tra questi. Ma la rabbia mi rimane, perché per principio, ripeto, per principio, e in una repubblica che dice di fondarsi sul lavoro!, certe paghe non dovrebbero essere azzardate nemmeno con il pensiero. Questo vale per tutti i settori, ma ancor più per la categoria dei giornalisti, siccome spesso, a mio parere, ha la presunzione di considerarsi custode della rettitudine.
Ho chiesto di essere cancellato dall’albo dei giornalisti. Con questa mio piccolo, inutile gesto per la collettività, rivendico una dignità individuale. Invito tutti coloro, giornalisti pubblicisti e professionisti precari, i quali si sentono umiliati dalla loro condizione di lavoro, a chiedere la cancellazione dall’albo. Primo, perché se si è precari non serve essere iscritti all’Ordine, non essendoci contrattualizzazione giornalistica. Secondo, perché se si spera di essere assunti, ci si può iscrivere nuovamente. E terzo a pari merito col primo, perché se in massa ci cancelliamo dall’Ordine, togliamo un po’ di legittimità a un organo che non ci tutela, e magari succede qualcosa. Se Enzo Iacopino dovesse leggere questa lettera, so ciò che penserebbe per ribattere: si sta decidendo sull’equo compenso. A 28 anni, mi dicono, non si è imparato ancora molto dalla vita. Ma a una cosa ci sono arrivato. Non mi fido più di promesse, dichiarazioni, commissioni che si riuniscono. Aspetto i fatti e le conseguenze di medio termine, almeno. Se poi l’equo compenso sarà una legge davvero utile, sarò felice di chiedere scusa per la mia sfiducia. Intanto però, per cortesia, se volete dibattere della rigenerazione del giornalismo italiano, lasciate stare Giannino, il gossip, e i chinar di schiena che ci sono sempre stati e ci saranno (per cambiare la natura umana magari diamoci qualche centinaio di anni di tempo…).Si usi invece come fulcro lo sfruttamento del lavoro, perché se rimarranno schiere di precari a tener su le redazioni, non ci sarà mai un diffuso giornalismo di qualità.
Daniele Ferro
danieleferro.it/
ferro.giornalismo@libero.it
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CASO GIANNINO – DIBATTITO – TESTI IN
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