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CASO GIANNINO – DIBATTITO
Occorrerà usare clemenza
verso il peccatore. Non serve
l'esemplare punizione.
Rimane il problema dell’etica:
chi è il formatore del cronista?

di Alberto Comuzzi
direttore www.resegoneonline.it

Caro Franco Abruzzo, colgo anch'io l'opportunità di entrare nel dibattito aperto sul caso Giannino da Ezio Chiodini, Paolo Zucca e diversi altri colleghi, attraverso il tuo documentato e sempre ospitale sito. Giusto un paio d'osservazioni per non tediare chi legge. Immagino che nei riguardi dell'ex leader di “Fare per fermare il declino” sarà aperto un procedimento disciplinare per il discredito che ha provocato all'intera categoria. Millantare crediti e raccontare bugie è disdicevole per chiunque e ancor di più lo è se si è personaggi pubblici autorevoli (o presunti tali) e giornalisti. Condannato il peccato, però, occorrerà usare clemenza verso il peccatore comminandogli una sanzione che abbia più il significato e il sapore della correzione fraterna che non dell'esemplare punizione (quanti sono i giornalisti che non hanno mai “sollecitato un testo”, anche a fin di bene?).  Infierire su uno di noi per dimostrare all'opinione pubblica quanto eticamente attenta è la nostra categoria, non mi sembrerebbe positivo. Essere additato al pubblico ludibrio è già una punizione piuttosto consistente anche in tempi, come i nostri, in cui tutto, apparentemente, sembra scivolare nel dimenticatoio. La seconda osservazione che più mi preme fare riguarda proprio la questione etica della nostra professione. Ognuno di noi sa che esiste una deontologia della professione – se non altro per averla studiata anche sul tuo Codice dell'informazione e della comunicazione, in preparazione all'esame di Stato –  e che questa ha come obiettivo innanzi tutto la tutela del lettore. Il punto sta proprio qui: un conto è conoscere le norme che disciplinano una professione e adeguarvisi per non incorrere in sanzioni, un altro è animare la professione “di “e “con” valori rispettosi dei lettori, partendo proprio dalla deontologia. La domanda che mi pongo è:


nell'iter di formazione di un giornalista a chi spetta l'insegnamento etico? L'acquisizione di qualche nozione di deontologia garantisce la professionalità di un giornalista?  Siamo realisti: le fondamenta dei nostri comportamenti vengono dai nostri genitori (per i più fortunati, anche dai nostri nonni), dai maestri che abbiamo avuto, dai capi che ci siamo trovati nelle redazioni. La correttezza nel nostro lavoro non dipende dalla cultura, dall'ideologia o dai pregiudizi che, più o meno, tutti abbiamo. Perseguire e cercare di raccontare la verità – non la verosimiglianza – è esercizio naturale per chi è eticamente formato. 


Il resto, beh... lasciamo perdere.   Alberto Comuzzi





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