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  I fatti della vita
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Pubblichiamo il testo completo della sentenza con la quale la sezione Lavoro del Tribunale di Palermo ha rimesso alla Corte Costituzionale l'esame della questione di legittimità costituzionale delle norme volute dal Governo Monti nella parte in cui hanno decretato il blocco della perequazione automatica delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo Inps per il biennio 2012/2013. Le norme (fissate nel dl 201/2011) violano sei articoli (2,3,23,36,38 e 53) della Carta fondamentale. Franco Abruzzo: “Questa sentenza è un monito al Governo Letta/Alfano che sta per imboccare la via perdente del prelievo sulle pensioni già bocciato dalla Consulta con la sentenza 116/2013 e del diniego per tre anni della perequazione delle pensioni superiori ai 3mila euro lordi (1800 netti) al mese”.

TRIBUNALE DI PALERMO - SEZIONE LAVORO


Il Giudice Antonio Ardito nella causa iscritta al n. 6994/2013 R.G.promossa ex artt. 442 e ss. c.p.c.


DA


CARDINALE GIUSEPPE, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Alessia Sciranna e Concerta Pia Dell' Aquila ed elettivamente domiciliato  presso lo studio dell' Avv. Nunzio Pinelli in Palermo, piazza Virgilio n. 4


-RICORRENTE-


CONTRO


INPS, rappresentato e difeso dall' Avv. Rosaria Ciancimino ed elettivamente domiciliato presso I' Avvocatura distrettuale dello Stato in Palermo, via Laurana n. 59


- RESISTENTE-


Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 6.11.2013


OSSERVA


Con ricorso depositato il 27.6.2011, il ricorrente indicato in epigrafe previa rimessione degli atti del presente giudizio alla Corte Costituzionale per l'esame della questione di legittimità costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge n. 214/2011, per contrasto con gli artt. 3. 36 comma l, 38 comma 2, e 53 Cost., nonché con il combinato disposto degli art.. 3, 36 e 38. Cost. e con il combinato disposto degli artt. 2, 23, 53 Cost – chiedeva dichiararsi l'illegittimità del blocco della perequazione automatica delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo Inps per il biennio 2012/2013 e, per l'effetto, condannare I 'ente previdenziale convenuto a riliquidare in proprio favore il trattamento pensionistico perequato ex I.n. 448/1998, art. 34, comma l ed a corrispondergli i relativi ratei maturati e non percepiti e/o percipiendi nel biennio 2012/2013 maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria come per legge sino all'effettivo soddisfo.


Ritualmente instauratosi il contraddittorio, resisteva l'Istituto convenuto, chiedendo il rigetto dei ricorsi, dei quali deduceva variamente l'improponibilità e infondatezza.


Infondata l'eccezione preliminare sollevata dall'INPS circa l'improponibilità del ricorso per mancata presentazione della domanda amministrativa.


Infatti ha ritenuto la Corte di Cassazione con sentenza n. 7710/2005 che "in materia di prestazioni previdenziali l'azione giudiziario deve essere preceduta dalla domanda amministrativa - a pena di improponibilità. solo ove la stessa sia espressamente prevista dalla legge".


Non anche, come nella specie, in cui “il diritto ad una prestazione sia ricollegato ad un 'interpretazione della legge di cui si contesta la costituzionalità".


Preliminarmente giova ricordare che nella scelta del meccanismo perequativo da utilizzare, il legislatore gode di una certa discrezionalità, atteso che il combinato disposto dell'art. 36 e 38 Cost, impone il raggiungimento del fine (I'adeguamento delle pensioni all'incremento del costo della vita), senza imporre una particolare modalità attuativa del principio indicato. Tuttavia, sebbene non esista un principio costituzionale che possa garantire l'adeguamento costante delle pensioni al successivo trattamento economico dell'attività di servizio corrispondente, il legislatore è tenuto ad individuare meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle pensioni all'incremento del costo della vita.


Tale principio ha portato più volte la Corte Costituzionale a dichiarare l'illegittimità di disposizioni che non contenevano alcuna previsione volta ad assicurare nel tempo la conservazione del valore delle prestazioni da loro erogate. Esemplificativamente può essere ricordata  la vicenda relativa alla rivalutazione dei contributi versati ai fini dell'assicurazione facoltativa per I'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, in relazione alla quale non era previsto alcun criterio di adeguamento del valore della contribuzione versata dall' 1 gennaio 1948 in poi all'Incremento del costo della vita. In tale ipotesi venne dichiarata l'illegittimità della disposizione in quanto l'omessa previsione di tale meccanismo rendeva ineffettiva la norma stessa (cfr. Corte Cost. 21 marzo 1989, n .141). Ancora più significativo è quanto deciso dal Giudice delle leggi a proposito della disciplina relativa all'indennità di disoccupazione ordinaria. A tale proposito la Corte ha osservato come "la norma Impugnata mira a dare attuazione all'art. 38 Cost., il quale riconosce ai lavoratori il diritto sociale a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di disoccupazione involontaria" (ma il principio non muta nel caso della tutela della vecchiaia). La protezione così garantita ai lavoratori postula requisiti di effettività, tanto più che essa si collega alla tutela dei diritti fondamentali della persona sancita dall'art. 2 Cost. Ora non può ritenersi rispondente ai richiamati principi costituzionali una norma che, come quella impugnata, mentre fa consistere nella corresponsione di una somma di danaro (indennità) quell'apprestamento di mezzi adeguati alle esigenze di vita che è il contenuto della protezione costituzionale in argomento, non stabilisca, di fronte al fenomeno in atto della diminuzione del potere di acquisto della moneta, un meccanismo diretto ad assicurare anche in prospettiva temporale l'adeguatezza nei sensi suindicati dell'indennità" (cfr. Corte Costo 27 aprile 1988, n. 497). Ancora è stato sostenuto che "il perdurante necessario rispetto dei principi di sufficienza e di adeguatezza delle pensioni impone al legislatore, pur nell'esercizio del suo potere discrezionale di bilanciamento tra le varie esigenze di politica economica e le disponibilità finanziarie di individuare un meccanismo in grado di assicurare un reale ed effettivo adeguamento dei trattamenti di quiescenza alle variazioni del costo della vita (. .. ) Con la conseguenza che il verificarsi di irragionevoli scostamenti deIl’entità delle pensioni rispetto alle effettive variazioni del potere di acquisto della moneta sarebbe indicativo della inidoneità del meccanismo in concreto prescelto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti sanciti dagli articoli 36 e 38 della Costituzione" (cfr. Corte Cost, 23 gennaio 2004, n.30).


Tale meccanismo è stato individuato nel sistema della perequazione automatica delle pensioni, introdotto con I'art. 18 della legge n. 153/1969.


Nonostante iI suddetto pronunciamento della Corte Costituzionale, il legislatore (successivamente all’entrata in vigore degli artt. 16 l. n.843/1978, 2 d.l. n.348/1992, convertito in L n. 438/1992 e 59, comma 13, L n. 449/1997, che hanno previsto la sospensione del meccanismo rivalutativo rispettivamente per gli anni 1979, 1993 e 1998) con la legge 24.12.2007 n. 247 ha nuovamente imposto un ulteriore blocco della perequazione automatica, questa volta per l'anno 2008, dei trattamenti pensionistici eccedenti otto volte il trattamento minimo INPS e precisamente quelli di importo superiore a 3542,88 euro.


La Corte, con sentenza n.316 del 3 novembre 2010, pur dichiarando la norma costituzionale, in quanto la mancata perequazione per un solo anno sulle pensioni di importo più elevato non incide sull'adeguatezza delle stesse, ha avvertito che “la frequente reiterazione di misure intese a” paralizzare il meccanismo perequativo "esporrebbe il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità. perché le pensioni. sia pure di maggiore consistenza potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta".


La Consulta, quindi, ha ritenuto il blocco della perequazione automatica sulle pensioni di rilevante importo conforme ai dettami della Corte purché non divenga un meccanismo costantemente reiterato.


In altre parole, se è vero che la Corte costituzionale ha affermato che l'intervento sporadico del legislatore rivolto a contenere o sopprimere per un breve periodo la rivalutazione dei trattamenti pensionistici medio/alti non viola i predetti principi costituzionali, è altrettanto vero che tali affermazioni sono state bilanciate dalla considerazione che, al contrario, non é consentita la reiterazione di misure intese a paralizzare il meccanismo perequativo.


II comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge n. 214/2011, ha introdotto una nuova disciplina della rivalutazione automatica innovando su quella precedente. Stabilisce la norma: «in considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici. secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS. nella misura del 100 per cento. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite, incrementato della quota di rivalutazione automatica spellante ai sensi del presente comma, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. Il comma 3, dell'art. 18 del decreto legge 6 luglio 2011, n.98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modiflcazioni e integrazioni, è abrogato».


Con tale disposizione, quindi, non solo per le pensioni elevate ma anche per quelle di importo lordo superiore a 1405 euro mensili è stata abolita qualsiasi forma di perequazione e ciò non più solo per un anno (come era avvenuto per i "blocchi" rivalutativi precedenti) ma per due anni consecutivi (2012 e 2013).


Appare evidente che il legislatore non ha tenuto conto del monito della Corte Costituzionale sopra enunciato e ciò tanto più che il blocco della perequazione automatica produce i suoi effetti in modo permanente, non essendo prevista alcuna forma di recupero negli anni successivi.


Osservazioni più specifiche, poi, possono proporsi in riferimento alla violazione degli artt. 3, 36 comma l, 38 comma 2, e 53 della Costituzione, nonché del combinato disposto degli artt. 3, 36 e 38 Cost., in quanto il "blocco" della perequazione viola i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità della prestazione previdenziale e di conservazione del trattamento pensionistico, nonché quello di universalità della imposizione di cui all'art. 53 Cost. e di non discriminazione ed uguaglianza ai fini dell'imposizione e di parità del prelievo a parità del presupposto di imposta, di cui al combinato disposto degli artt. 3,23 e 53 Cost.


In particolare, si assumono violati:


a)        il principio di cui all'art. 38, comma 2, Cost., perché la mancata rivalutazione impedisce la conservazione nel tempo del valore della pensione, menomandone l'adeguatezza.


b)        Il principio di cui all'art. 36, comma 1, Cost., poiché la mancata rivalutazione viola il principio di proporzionalità tra pensione (che costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro) e retribuzione goduta durante l'attività lavorativa;


c)        Il principio derivante dal combinato disposto degli artt. 36, 38, 3 Cost., perché la mancata rivalutazione, violando il principio di proporzionalità tra pensione e retribuzione e quello di adeguatezza della prestazione previdenziale, altera il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno della categoria dei pensionati;


d)        Il principio di universalità dell'imposizione di cui all'art. 53 Cost., nonché quello di non discriminazione ai fini dell'imposizione, di ragionevolezza nell'esercizio del potere di imposizione, nonché il principio della parità di prelievo a parità di presupposto di imposta di cui al combinato disposto degli art. 3, 23 e 53 Cost., perché, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato, la misura adottata si configura quale prestazione patrimoniale di natura sostanzialmente tributaria, in quanto doverosa, non connessa all'esistenza di un rapporto sinallagmatico tra le parti (poiché lo Stato non ha alcun titolo a modificare i trattamenti economici di cui non è parte), collegata esclusivamente alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante (cfr. ex plurimis, Corte Cost. nn. 223/2012, 141/2009,335/2008,334/2006, 73/2005).


In proposito va inoltre ricordato che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 223/2012), se "l'eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è, infatti, suscettibile senza dubbio di consentire al legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile conflitto di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti i cittadini necessitano. Tuttavia è compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, il quale, certo, non è indifferente alla realtà economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non può consentire deroghe al principio di uguaglianza, sul quale è fondato l'ordinamento costituzionale…".


Nel caso di specie. pure considerando la discrezionalità legislativa in materia, la norma in questione viola il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d'imposta economicamente rilevante, data l'imposizione di misure (non più considerabili transitorie ed eccezionali) incidenti in modo drastico sul trattamento pensionistico solo di alcuni soggetti.


La questione di costituzionalità delle norme indicate appare quindi rilevante poiché dalla relativa decisione dipende l’accoglimento o il rigetto della domanda non manifestamente infondata alla luce delle considerazioni suesposte.


 


P.Q.M.


Visti gli artt. 134 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli articoli 3, 36 comma 1,38 comma 2, e 53 Cost., nonché con il combinato disposto degli art  3, 36 e 38. Cost e combinato disposto degli artt. 2, 23, 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del d.I, n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge n. 214/2011, nella parte in cui prevede che "in considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma l, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento. Per le pensioni di importo superiore a tre volle il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite, incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante ai sensi del presente comma, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato".


Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con gli atti e con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte nell'art. 23 della legge  11 marzo 1953, n. 87 (ex art.. 1 e 2 del regolamento della Corte costituzionale 16 marzo 1956), con sospensione del giudizio per la fattispecie oggetto della presente rimessione.


Manda alla cancelleria per ogni adempimento di competenza.


Così deciso in Palermo, li 6.11.2013


 


 





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