Inutile. Ogni volta che c’è da intervenire sui conti pubblici la (triste) fantasia del legislatore arriva sempre allo stesso punto: toccare le pensioni. Tema delicato, poiché solo grazie alle riforme previdenziali che si sono succedute i conti pubblici sono stati tamponati. Il sistema previdenziale italiano riesce così a essere non solo tra i più solidi in Europa, ma a rappresentare per certi versi un esempio anche per Paesi solitamente considerati più avanzati, come Francia e Germania.
Eppure, gira e rigira, quando bisogna risparmiare è lì che s’interviene. Con parole nobili, ma con risultati non proprio equi. Prendiamo il contributo di solidarietà sulle pensioni oltre i 90 mila euro lordi l’anno e che potrà variare dal 6% al 18%. La norma, negli annunci, è stata legata al finanziamento, parziale, dell’introduzione del reddito minimo. Come dire: si dà la sensazione che si stia togliendo ai redditi più alti per dare ai più poveri. Soprattutto ai giovani con difficoltà d’inserimento nel mondo del lavoro.
Ed è qui l’inganno: legare due cose, che legate non sono. Certo che la priorità è garantire un futuro (anche previdenziale) ai più giovani. Un legislatore che non lo facesse, sarebbe irresponsabile, ma non è tagliando le pensioni che si ottiene questo risultato. L’oro, si sa, è un metallo nobile. E in fase di crisi viene molto facile accostare al metallo giallo qualunque reddito sia superiore a quello che noi stessi stiamo percependo. Così a furia di intervenire (o di annunciare interventi) sulle pensioni cosiddette d’oro, si è introdotta nel Paese la sensazione che l’unica strada possibile sia quella di agire sempre su questo fronte. Con soglie, però, spesso davvero basse. È così accaduto, ad esempio, che anche i pensionati con più di 1.441 euro lordi mensili si siano visti congelare il loro assegno per due anni (decreto Salva Italia).
E dal 2014 per altri tre anni l’indicizzazione sarà piena solo per gli assegni fino a 1.486 euro lordi. Mentre nel 2014 chi ha una rendita superiore a 2.972 euro, sempre lordi, se la vedrà congelata. Una misura iniqua quella del blocco della scala mobile, perché il taglio di un anno ha effetti moltiplicativi che si ripercuotono per anni. Purtroppo, a giudicare dai venti parlamentari, l’adeguamento è a rischio d’estinzione. Nei giorni scorsi il supercommissario alla spending review , Carlo Cottarelli, ha fatto sapere che se la prenderà (anche) con le pensioni d’oro e con le pensioni d’argento (sarebbe interessante una legge che ne definisse il confine).
Ma è possibile che questo sia l’unico fronte dal quale è possibile risparmiare? Conviene fare un po’ d’ordine. Le pensioni d’oro, o meglio considerate tali, appartengono per la stragrande maggioranza ad ex lavoratori dipendenti. A contribuenti che non solo hanno versato regolarmente i contributi, ma anche le imposte sui redditi.
Non tutti meritano quel trattamento, ma la maggior parte se l’è costruito con i versamenti previdenziali suoi e dell’azienda. E ora la mazzata: oltre i 75.000 euro di reddito lordi già l’aliquota Irpef è del 43%. Quindi chi ha una pensione oltre i 90.000 euro lordi e fino a 128.000 euro lordi pagherà nel 2014 un’aliquota complessiva del 49% a cui vanno aggiunte le addizionali locali. In pratica si sfonderà il fatidico muro del 50%. E per chi guadagna più di 193.000 euro, reddito non disprezzabile è vero, la pressione tributaria salirà al 61%. Forse è troppo. Certo, i privilegi vanno aboliti, gli sprechi ridotti, le tutele per le fasce deboli aumentate, ma non è colpendo i pensionati, anche con redditi più elevati, che tutto questo sarà possibile. I sacrifici si possono chiedere, ma le finalità devono essere chiare e condivisibili.
Senza contare il gioco pericoloso di mettere le generazioni l’una contro l’altra. E così anche quel welfare familiare che ha fatto da vera stampella anticrisi, rischia di incrinarsi. A quel punto non ci saranno riforme che tengano.
In http://www.corriere.it/economia/13_novembre_28/basta-chiamarli-pensionati-d-oro-e4f94e36-5819-11e3-8914-a908d6ffa3b0.shtml