A parte la crisi politica, a parte i misteri dell’Imu e la rabbia dei comuni, è rimasta ancora aperta, cioè non è stata discussa abbastanza, la questione delle cosiddette pensioni d’oro, tagliate per finanziare un programma di aiuti ai poveri, pomposamente battezzato all’inizio “reddito minimo” e più tardi classificato come un’estensione della vecchia carta sociale, o social card, inventata da Tremonti e su cui, all’epoca, il Pd sparò a zero.
Prima di spiegare di che si tratta, vorrei capire perché, in casi come questi, si vanno a prendere soldi ai pensionati.
I pensionati hanno scarsa forza contrattuale, benché il 60% degli iscritti ai sindacati sia costituito proprio da pensionati. Ma che cosa può minacciare un partito di vecchi che è formalmente fuori dal ciclo produttivo? L’alto numero di iscritti che non lavora più spiega al contrario la debolezza attuale del sindacato, incapace di fare manifestazioni oceaniche o di bloccare il Paese come tanti anni fa. Si porta in piazza qualche decina di ragazzini e di signorine, poi si fa scrivere ai giornali che si sono svolte contemporaneamente cento manifestazioni…
C’è poi anche il fatto che colpendo nel mucchio i politici credono di non perdere troppa popolarità.
Il governo Berlusconi prima e il governo Monti subito dopo avevano fissato un contributo di solidarietà a carico dei pensionati che prendessero almeno 90 mila euro lordi l’anno. Lo scorso giugno la Consulta ha decretato che questo contributo è incostituzionale, perché non rispetta la parità di tutti i cittadini di fronte alla legge: vengono colpiti i pensionati e non gli altri. Ci sarebbe quindi il problema di perdere un introito e forse, addirittura, di dover restituire i soldi. La mossa della legge di stabilità va vista in questa prospettiva: un contributo di solidarietà viene mantenuto e quindi – pensano al governo – si potrà non restituire il pregresso. Inoltre, i soldi prelevati ai pensionati saranno destinati ai poveri, e questo – pensano sempre al governo – renderà il contributo meno odioso e magari costituzionale. Le dico la verità che mi pare un ragionamento senza capo né coda, ma tant’è.
Quindi?
Quindi si deve procedere ai soliti calcoli da mal di testa. È stata presa come unità di misura la pensione minima ed è stato stabilito che le pensioni pari a 14-20 volte la minima paghino il 6% sulla parte eccedente i 90.168 euro lordi annui. In pratica, se uno ha un lordo annuo di 100 mila euro, pagherà il 6% annuo su centomila meno 90.168, cioè 9.832 euro, vale a dire, in un anno, 590 euro. Non è uno scherzo. Se si prende una pensione da 150 mila euro lordi l’anno, l’aliquota passa al 12%, il conto quindi è: 12/100*(150.000-128.811) = 2.543. Queste sono le pensioni che stanno fra 20 e 30 volte il minimo (la più bassa è quella, appunto, di 128.811 euro). Per quelle che valgono più di trenta volte la minima (almeno 193.217 euro lordi l’anno) l’aliquota passa al 18%. Non pensi che in questo modo si mettano in cassa chissà quali somme. Gli italiani che godono di pensioni tanto alte non sono molti: 29.554 uomini e donne che incassano ogni mese un lordo (e sottolineo lordo) di 6.936 euro. Quelli che stanno sopra i 9.908 euro lordi al mese (venti volte il minimo) sono 6.805, quelli che stanno oltre trenta volte il minimo (14.863 euro lordi al mese) sono appena 1.344.
E con questi soldi, tanti o pochi che siano, che ci fanno?
Avranno a disposizione 40 milioni l’anno per tre anni. Da distribuire ai poveri All’inizio il viceministro Fassina ha detto che si trattava di «un reddito minimo», espressione che a rigore significherebbe un reddito al di sotto del quale non si può andare. In Europa adottano il salario minimo la Francia, la Germania e parecchi altri stati. Senonché, il nostro non è un reddito minimo (per il quale ci vorrebbero ben altri stanziamenti), ma solo un Sostegno per l’inclusione sociale. Come ho detto all’inizio: un aiuto ai poveri.
Come faranno a stabilire chi è povero? Ci vorrà un criterio obiettivo, magari uno, per un euro, non entra in classifica…
Maria Cecilia Guerra, viceministro del Lavoro, democratica, ha spiegato: «Daremo questi soldi alle famiglie povere con minori in cui uno degli adulti ha perso il lavoro negli ultimi tre anni. Abbiamo scelto questo target perché i dati ci dicono che i nuclei più esposti alla povertà sono proprio quelli con figli piccoli, non necessariamente numerosi. Negli ultimi anni è quasi raddoppiata l’incidenza della povertà anche su chi ha solo due figli». La Guerra spiega anche l’espressione «inclusione attiva»: «I Comuni selezioneranno, attraverso bandi, le famiglie e poi le prenderanno in carico, verificando ogni sei mesi che i bimbi siano andati a scuola e dal medico, che i genitori abbiano frequentato corsi di formazione o fatto domanda per un impiego».
TESTO IN http://altrimondi.gazzetta.it/2013/12/01/ma-perche-ci-rimettono-sempre-i-pensionati/