Pensione ridotta per «solidarietà». Questo prelievo è una confisca, la generosità, invece, si esercita liberamente.
di Piero Ostellino Corriere della Sera – 22/3/2014
Avevo già il sospetto che Renzi, malgrado le dichiarate e lodevolissime intenzioni, non cambierà l’Italia. Ora, ne ho la certezza. Me la dà il prelievo mensile sulla mia pensione, chiamato, con un ridicolo sofisma, «contributo di solidarietà sociale». Pare serva — come si dice con burocratica espressione — da «copertura finanziaria» a una riduzione delle tasse a favore di qualcuno.
In un sistema liberale, lo Stato fa pagare le tasse per i servizi che fornisce e che i privati non fornirebbero perché ritengono poco conveniente farlo. La solidarietà è una forma di generosità che il cittadino esercita volontariamente; non è una costrizione fiscale. Nell’Ottocento, la chiamavano «carità»; oggi, l’ipocrisia del politicamente corretto la chiama «contributo di solidarietà». Ma è una confisca. In un sistema socialista, lo Stato fa pagare le tasse, oltre che per i servizi che fornisce, anche, dice, per altri motivi. Che si sostanziano nella «redistribuzione della ricchezza». Di solito, i servizi sono pessimi e della giustizia sociale sbandierata non se ne vede l’ombra. Pare che, ad eliminare quel tanto di individualistico e volontaristico che c’è nella parola carità e a tramutarlo in solidarietà, bastino le buone intenzioni. È la Giustizia sociale, bellezza…
La «redistribuzione della ricchezza» non è il passaggio di soldi da un cittadino (ritenuto benestante) ad un altro (ritenuto bisognoso), ma il passaggio di libertà e di potere di scelta dalla sfera privata a quella pubblica; dai cittadini ai politici. I quali, dei soldi così confiscati fanno, poi, quello che vogliono. Di solito, li spendono male. Il dirigismo distorce sia il sistema economico, sia quello politico. Distorce il sistema economico perché non sono i prezzi a creare l’equilibrio fra domanda e offerta; ma sono, surrettiziamente, le misure discrezionali della politica a pretendere di farlo. I politici hanno la presunzione di sapere che cosa sia «giusto» e quale sia il «Bene comune». Ma nessuno è in grado di avere un così alto e generalizzato livello di conoscenza e di competenza. Il difetto sta nel manico. È nella carenza di conoscenza che si sostanzia l’arbitrarietà. Il socialismo è, sotto il profilo gnoseologico, una truffa. Il dirigismo distorce anche il sistema politico perché assegna a degli uomini la presunzione di un potere di coazione che la delega ai propri rappresentanti, da parte del popolo sovrano, non assegna loro. Anche qui, il difetto sta nel manico. Il concetto di sovranità — cui il giacobinismo ha aggiunto l’attributo «popolare» nella seconda parte della Rivoluzione francese, quella dell’egualitarismo non solo legale e del Terrore — ha finito col dare all’astratta figura ideologica del popolo lo stesso ruolo che aveva il sovrano assoluto nell’Antico regime.
I liberali Burke, Constant, Tocqueville ne avevano colto e denunciato subito i pericoli per le libertà individuali e per la stessa democrazia. Ma i totalitarismi del Novecento hanno portato il concetto alle estreme conseguenze e così fanno tutte le democrazie rappresentative contemporanee. Spendaccione e fiscali.
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