Monica D., giornalista pubblicista, ha lavorato dal 1991 al 1997 nella redazione di Pescara del quotidiano “Il Messaggero”, senza essere inquadrata come dipendente. Nell’ottobre del 1997 l’azienda ha posto termine al rapporto. Nel dicembre del 1997 la giornalista ha chiesto al Tribunale di Pescara di accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, sostenendo di avere lavorato quotidianamente e a tempo pieno come gli altri addetti alla redazione di Pescara. Ella ha chiesto il riconoscimento del suo diritto al trattamento economico previsto dal contratto collettivo per il redattore ordinario, la condanna dell’azienda al pagamento delle differenze di retribuzione, l’annullamento del licenziamento con conseguente risarcimento del danno e la reintegrazione nel posto di lavoro. Il Tribunale ha rigettato le domande. Questa decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di L’Aquila, che avendo ritenuto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e il diritto di Monica D. al trattamento previsto dal CNLG per il redattore praticante, ha condannato l’azienda al pagamento delle differenze di retribuzione maturate dal dicembre 1992 (applicando la prescrizione quinquennale), ha annullato il licenziamento, ha condannato la società editrice al risarcimento del danno ed ha ordinato la reintegrazione della giornalista nel posto di lavoro. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte abruzzese sia per avere affermato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, nonostante che Monica D. fosse stata assunta con contratto di lavoro autonomo, sia per avere annullato il licenziamento e ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro, sostenendo che questa pronuncia era preclusa in quanto la lavoratrice non era iscritta all’Albo dei Giornalisti come professionista. La lavoratrice, in via di ricorso incidentale, ha a sua volta censurato la decisione impugnata per avere applicato la prescrizione quinquennale dei crediti per differenze retributive.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 23472 del 12 novembre 2007, Pres. Ciciretti, Rel. Picone) ha rigettato il ricorso dell’azienda nelle parti concernenti l’accertamento della subordinazione e il diritto della lavoratrice alle differenze di retribuzione, mentre lo ha accolto nella parte relativa al licenziamento. La sentenza impugnata – ha osservato la Corte – ha correttamente accertato l’esistenza della subordinazione, in quanto ha ritenuto provato che la presenza in redazione di Monica D., per un orario prolungato fino a sera tardi, era quotidiana e non si discostava dalle modalità di quella resa dai dipendenti inquadrati come redattori ordinari, che ella utilizzava le attrezzature aziendali (ancorché non fosse in possesso di una sua chiave di accesso ai collegamenti informatici), che riceveva quotidiane direttive ad opera del capo servizio (curando determinati settori dell’informazione) e partecipava alle riunioni di redazione; che nel piano ferie si teneva presente anche la sua disponibilità; che formalmente non doveva giustificare le assenze, ma aveva l’obbligo di preavvisare, essendole stato fatto presente che, in caso contrario, avrebbe provocato notevoli disservizi.
La Suprema Corte ha invece affermato che la sentenza impugnata è incorsa in errore allorché ha ritenuto possibile l’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro della lavoratrice pur essendo ella giornalista pubblicista e non professionista. L’art. 45 della legge 3 febbraio 1963 n. 69 – ha affermato la Corte – proibisce l’esercizio della “professione” di giornalista ai non iscritti all’albo professionale e l’iscrizione non può che riferirsi all’elenco dei giornalisti professionisti. Sul punto la Corte ha aggiunto: “Nessun rilievo, infine, può essere accordato ai richiami, contenuti nel controricorso e, soprattutto, nella memoria, alle previsioni della contrattazione collettiva secondo cui anche i pubblicisti possono prestare attività di lavoro subordinato in via esclusiva, con equiparazione ai redattori: anche in disparte la considerazione che la contrattazione collettiva non può modificare la legge, va rilevato che la questione, concernente il significato e la portata di clausole contrattuali collettive, è inammissibile in questa sede per non essere stata sottoposta al vaglio del giudice del merito”.
La Suprema Corte ha infine accolto il ricorso incidentale della lavoratrice nella parte concernente l’applicazione della prescrizione. Ai sensi dell’art. 2948 n. 4 cod. civ. nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 63 del 1966) – ha osservato la Cassazione – la prescrizione quinquennale resta sospesa durante l’esecuzione di rapporto di lavoro non assistito dalla garanzia della stabilità; questa regola viene estesa, dalla giurisprudenza consolidata, alle ipotesi di rapporto di lavoro che sarebbe assistito dalla suddetta garanzia in base alla legge, non che non lo è ai sensi del nomen juris adottato dalle parti, dovendosi aver riguardo non alla corretta qualificazione giuridica, ma alla situazione psicologica di metus del lavoratore in concreto.
Con riguardo al caso di specie – ha aggiunto la Corte – non vi è neppure bisogno di ricorrere alla lettura estensiva della norma sopra ricordata, siccome la situazione di stabilità è radicalmente esclusa dalla possibilità per l’editore, di determinare, in qualsiasi momento e senza manifestazioni negoziali, la cessazione dell’esecuzione. Sarebbe, invero, formalistica e non conforme all’art. 36 Cost. un’interpretazione che differenziasse la situazione di metus del lavoratore di fronte al potere di recesso rispetto a quella della prestazione di fatto comportante la più assoluta libertà del datore di lavoro di rifiutare la prestazione.
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Commento di Domenico d’Amati
Questa decisione della Suprema Corte rischia di causare la perdita del posto di lavoro per i pubblicisti normalmente impiegati con regolare contratto di lavoro subordinato nelle redazioni periferiche dei giornali in base all’art. 36 del CNLG.
Una vera e propria ecatombe. Ma la Corte non ha considerato che l’impiego del giornalista pubblicista in condizioni di subordinazione da parte delle aziende editrici di giornali è previsto da specifiche norma di legge relative al settore editoriale.
L’articolo 35, primo comma della legge n. 416/81 dispone: “Il trattamento straordinario di integrazione salariale di cui all’art. 2, quinto comma della legge 12 agosto 1977 n. 675 e successive modificazioni è esteso, con le modalità previste per gli impiegati, ai giornalisti professionisti, ai pubblicisti e ai praticanti dipendenti da imprese editrici di giornali quotidiani, di periodici e di agenzie di stampa a diffusione nazionale, sospesi dal lavoro per le cause indicate nella norma citata”.
Ancor più chiara nel riconoscere la liceità della prestazione, da parte del pubblicista, di lavoro giornalistico in condizione di subordinazione è la legge 23.12.2000 n. 388, che, all’art. 76, così dispone:
“1. L'articolo 38 della legge 5 agosto 1981, n. 416, è sostituito dal seguente:
“Art. 38. - (INPGI). - 1. L'Istituto nazionaie di previdenza dei giornalisti italiani "Giovanni Amendola" (INPGI) ai sensi delle leggi 20 dicembre 1951, n. 1564,9 novembre 1955, n. 1122, e 25 febbraio 1987, n. 67, gestisce in regime di sostitutività le forme di previdenza obbligatoria nei confronti dei giornalisti professionisti e praticanti e provvede, altresì, ad analoga gestione anche in favore dei giornalisti pubblicisti di cui all'articolo 1, commi secondo e quarto, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica. I giornalisti pubblicisti possono optare per il mantenimento dell'iscrizione presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale. Resta confermata per il personale pubblicista l'applicazione delle vigenti disposizioni in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali e di sgravi contributivi.
2. L'INPGI provvede a corrispondere ai propri iscritti:
a) il trattamento straordinario di integrazione salariale previsto dall'articolo 35;
b) la pensione anticipata di vecchiaia prevista dall'articolo 37.
3. Gli oneri derivanti dalle prestazioni di cui al comma 2 sono a totale carico dell'INPGI.
4. Le forme previdenziali gestite dall'INPGI devono essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive".
Tale normativa conferma che gli articoli 26 e 45 della L. 3.2.63 n. 69 legittimano lo svolgimento di attività giornalistica in condizione di subordinazione da parte del giornalista pubblicista, in quanto iscritto all’Albo professionale.
La legge n. 388/2000 infatti disciplina la posizione dei giornalisti pubblicisti “titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica”.
Ciò esclude che nel nostro ordinamento il rapporto di lavoro subordinato giornalistico del pubblicista sia affetto da nullità.
L’unica limitazione posta dalla legge sull’ordinamento della professione giornalistica all’attività del pubblicista era quella recata dall’art. 46 secondo cui le funzioni di direttore responsabile di un giornale potevano essere svolte soltanto da un professionista.
Ma di tale norma la Corte Costituzionale, con sentenza n. 98 del 10.7.68, ha dichiarato l’illegittimità per contrasto con l’art. 21 Cost. Rep. “limitatamente alla parte in cui esclude che il direttore e il vice direttore responsabile di un giornale quotidiano o di un periodico o agenzia di stampa di cui al primo comma dell’art. 34 possa essere iscritto nell’elenco dei pubblicisti”.
Nella motivazione di tale decisione si afferma che l’esclusione del pubblicista dall’attività di direzione non è giustificata dal momento che anche il pubblicista è soggetto alla vigilanza dell’Ordine. Ivi tra l’altro leggesi: “Si può anche convenire sulla opportunità che, ove si tratti di quotidiani e di periodici ed agenzie di particolare importanza, le funzioni direttive vengano affidate a chi sia dedito esclusivamente al giornalismo e possegga i particolari requisiti che si esigono per l’iscrizione nell’elenco dei professionisti: ma è certo che non ci si trova qui in presenza di un pubblico interesse né, a maggior ragione, di un interesse generale di grado tale da giustificare l’intervento della legge la quale, quando si tratti di disciplinare l’esercizio di una libertà fondamentale, non può porre limitazioni che, come quella in esame, non siano in funzione della tutela di interessi direttamente rilevanti sul piano costituzionale (cfr. n. 11 del 1968)”.
Deve in proposito tenersi presente che le funzioni del direttore responsabile di un giornale sono quelle di maggior rilievo, nel nostro ordinamento, ai fini della tutela dell’interesse generale alla correttezza dell’informazione. E’ al direttore che compete il controllo sull’operato di tutti i componenti della redazione. Pertanto, in seguito alla predetta sentenza della Corte Costituzionale, un direttore giornalista pubblicista non solo può esercitare attività di controllo sull’operato di un redattore professionista ma può altresì attestare lo svolgimento della pratica professionale ai fini dell’ammissione agli esami di abilitazione professionale. Invero sia il pubblicista che il professionista sono tenuti al rispetto dei doveri fondamentali previsti dall’art. 2 L. n. 69/63, espressamente richiamato dall’art. 1 del CNLG; entrambi inoltre sono soggetti al potere disciplinare dell’Ordine, ex artt. 48 e segg., L. n. 69/63. A maggior ragione deve quindi ritenersi illogica oltre che costituzionalmente illegittima qualsiasi preclusione per legge al pubblicista di svolgere le mansioni di redattore in un giornale.
D. d’A.
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Redattori pubblicisti,
e interpretazioni incostituzionali
della Cassazione.
Il commento amaro
dell’avv. M. Franceschelli.
Mittente: "m_france\@inwind\.it"
Destinatario: "info"
Data: 11/23/2007 05:48 PM
Soggetto: Sentenza Cass. Sez Lav n.23472 del 12.11.2007
Oggetto: Interpretazione incostituzionale dell'art.45 della Legge sull'ordinamento dei giornalisti da parte della Cassazione.
Gentilissimo Dott. Abruzzo,
poiché è la seconda volta che vengono ospitate sul suo sito sentenze dellla Cassazione che riguardano due mie clienti (Giulia Visci e Monica Di Fabio), Le chiedo ospitalità per un mio commento.
Mi meraviglia che il collega Avv. D'Amati, che da anni, come il sottoscritto, tratta controversie di lavoro giornalistico, soltanto oggi si accorge della illegittimità ed incostituzionalità delle decisioni della Suprema Corte emanate in questi ultimi anni.
Il sottoscritto da circa dieci anni a questa parte - confortato da una massiccia giurisprudenza dei Giudici di merito (cfr. da ultimo sentenze n.670 e 671 del Tribunale di Teramo del 26.7.2007 - Bonnici/Il Messaggero, Falciatano/Il Messaggero) - va appunto sostenendo che la Corte di Cassazione effettua una interpretazione illegittima dell'art. 45 della detta legge, quando afferma inconsideratamente che quando si parla di "albo professionale" debba farsi riferimento soltanto al giornalista iscritto all'elenco professionisti. Tale interpretazione è in contrasto proprio con l'art.26 della legge laddove è stabilito che "presso ogni consiglio dell'ordine regionale o interregionale è istituito l'albo dei giornalisti ... L'ALBO E' RIPARTITO IN DUE ELENCHI, L'UNO DEI PROFESSIONISTI L'ALTRO DEI PUBBLICISTI".
Proprio in sede di discussione in Cassazione, ho fatto più volte riferimento alla sentenza n.98 del 10.7.1968 della Corte Costituzionale, più volte ribadendo che se, secondo la Corte Costituzionale il direttore responsabile di un quotidiano può essere legittimamente un giornalista iscritto all'unico albo dei giornalisti - elenco pubblicisti, a maggior ragione un semplice redattore può essere un giornalista pubblicista. Ho anche chiesto alla Cassazione di potere leggere insieme gli artt.1, 26 e 45 della legge, ma mi è stato risposto che "la Corte conosce la legge".
Ho anche chiesto la rimessione dei procedimenti o alle Sezioni Unite per la risoluzione di una questione di grave importanza, oppure alla Corte Costituzionale per manifesta illegittimità costituzionale della su detta interpretazione. Tutte le istanze in tal senso sono state respinte.
Ho sempre più volte insistito, in via subordinata, perchè la Corte facesse applicazione dell'art.36 del ccnlg che, come Lei ben sa, equipara il pubblicista in esclusiva ed a tempo pieno al professionista redattore sia da un punto di vista normativo che retributivo. Infatti, tutti i giornalisti pubblicisti da me assistiti, hanno ottenuto l'iscrizione e retrodatazione al registro dei praticanti dai consigli regionali, proprio in applicazione della disposizione dell'artt.36 che sancisce il rilascio della certificazione professionale a carico dell'editore e, in caso di inadempienza, ai consigli stessi.
Ma la Corte ha respinto anche tale domanda con una interpretazione del tutto illegittima perfino dell'art.36 ccnlg, sostenendo che il contratto collettivo non può modificare la legge; senonchè la legge sull'ordinamento professionale nulla dice in proposito, al contrario stabilisce l'unicità dell'albo professionale.
In particolare, come Lei ben sa, sono state proprio le parti sociali ad integrare il pubblicista in via esclusiva nella normativa del redattore professionista. E tale normativa collettiva è vincolante tra il giornalista e l'editore per essere ambedue iscritti alle rispettive associazioni di categoria, e per essere quindi i destinatari di tale normativa.
Ho anche sempre sostenuto nelle discussioni dinanzi alla Cassazione il particolare significato da attribuire all'art.76 della legge finanziaria n.388/2000 che ha esteso l'assistenza previdenziale dei giornalisti pubblicisti all'INPGI.
Ho anche chiesto alla Cassazione di rivedere la propria interpretazione sulla scorta di tutta la normativa oggi vigente, ma non c'è stato nulla da fare.
Sono intervenuto presso il CNOG e presso la FNSI, ma anche qui senza risultati concreti, perché si sono fatte assemblee, adunanze e interventi senza risultati. Anche il question time sottoposto al Ministro Mastella ad ottobre 2006, non ha sortito effetto alcuno.
Ritengo che Lei, quale consigliere (e già Presidente) dell'Ordine della Lombardia, nonché docente universitario del diritto dell'informazione, se condivide le stesse nostre idee, possa intervenire nelle sedi più opportune per tentare di bloccare la illegittima interpretazione della Cassazione.
Quanto sopra, soprattutto per evitare che si formi una lunga teoria di giornalisti disoccupati e precari. E ciò anche in danno dei consigli regionali che hanno iscritto e retrodatato tali giornalisti e dell'INPGI che viene a perdere sostanzionsi contributi.
Nel ringraziarLa resto in attesa di un Suo cortese riscontro e Le porgo cordiali saluti.
Avv. Massimo Franceschelli