A fondamento dell’ipotesi di un «contributo di solidarietà» sulle pensioni di poco superiori a 2.000 euro mensili lordi che, al netto delle tasse, diventano poco più della metà, insufficienti persino a far fronte a condizioni di vita assai prossime alla povertà — e di altre forme di tassazione occulta e del tutto arbitraria, c’è la convinzione, anche da parte della sinistra renziana, che il sistema pensionistico abbia la stessa funzione redistributiva della ricchezza che gli assegnava l’egualitarismo totalitario comunista.
Emerge, qui, tutta la differenza di interpretazione del diritto di proprietà fra liberalismo e socialismo.
Per il liberalismo, la pensione è, nella divisione del lavoro capitalistica, l’accumulazione di ricchezza, da parte del lavoratore, a garanzia e a tutela delle libertà dell’Individuo che già avevano previsto i primi liberali alcuni secoli fa, sia di fronte alla (eventuale) volontà del capitalista, sia a quella del potere politico di condizionarle; l’una limitata dallo «stato di necessità» del lavoratore, privo di risorse economiche autonome, davanti al datore di lavoro; l’altra limitata dalla sudditanza del cittadino di fronte al potere della politica. Non è un caso, del resto, che i regimi autoritari e totalitari, all’atto della propria scalata al potere, si preoccupino, soprattutto e prima di tutto, di cancellare il diritto di proprietà in quanto premessa e condizione della successiva negazione delle libertà civili e politiche.
Per il socialismo, pur nelle sue varie forme democratiche assunte da noi — ieri, comunista ed egualitaria, ma non sovversiva; oggi renziana, riformista, ancorché parecchio confusa — Previdenza e Assistenza sono assimilabili, identificabili, la stessa cosa, perché formazione ed erogazione delle pensioni sono manifestazioni della Funzione pubblica. Per il liberalismo, Previdenza e Assistenza sono due momenti inconfondibili. La Previdenza ha una natura eminentemente privatistica perché riguarda il versamento e l’accumulazione di contributi individuali. L’Assistenza ha una natura eminentemente pubblica perché dipende dalla fiscalità generale. La pensione, grazie al pagamento dei contributi individualmente versati durante gli anni lavorativi, è, sotto il profilo liberale, «salario differito», accumulazione di risorse a sostentamento dell’ex lavoratore una volta che abbia smesso di lavorare e di percepire un salario. La pensione è, così, la forma che assume politicamente, economicamente e socialmente — nella «società aperta» e in un regime capitalistico e di mercato — la particolare accumulazione di ricchezza da parte del lavoratore rispetto all’accumulazione del capitalista. Il diritto di proprietà sulla propria pensione, grazie al quale tale accumulazione si sostanzia eticamente, socialmente e giuridicamente, è il fondamento delle libertà borghesi proprio perché sottrae il lavoratore, almeno in vecchiaia, all’obbligo di lavorare per mantenersi e alla dipendenza dal datore di lavoro, così come sottrae l’individuo all’invadenza e all’arbitrarietà del potere politico sulla propria vita.
Per il socialismo, pur nelle varie forme assunte in Italia — ieri, comunista, egualitaria, ma non rivoluzionaria; oggi, renziana, riformista, ancorché parecchio ancora confusionaria — Previdenza e Assistenza sono assimilabili, identificabili, la stessa cosa, perché, entrambe sono funzioni dello Stato. Emerge, così, in tutta evidenza, la differenza fra Stato liberale e Stato socialista in tema di proprietà. La pensione — esposta di volta in volta alle discrezionali decisioni del mutevole potere politico — non è, per il socialista, un diritto di proprietà, ma una variabile del sistema di redistribuzione della ricchezza. Il potere politico, in nome della Giustizia sociale, prende arbitrariamente da un pensionato, confiscandogli una parte della proprietà, per dare ad un altro (che non se l’è creata). L’assimilazione-identificazione di Previdenza e Assistenza annulla la funzione (liberale) della ricchezza accumulata dal lavoratore e attribuisce allo Stato — che, perciò, può fare ciò che vuole della sua pensione — l’onere, peraltro solo formale, del suo sostentamento una volta che abbia smesso di lavorare. Lo Stato socialista è paragonabile ad una sorta di paternalistico Ente benefico, ad un Ospizio nel quale gli anziani campano non grazie all’accumulazione di ricchezza da essi stessi prodotta durante gli anni di lavoro e che si è tradotta, con la pensione, in proprietà privata, ma della carità pubblica. In realtà, è una parte di pensionati che assicura la pensione all’altra non per spontanea e volontaria solidarietà, ma per coazione fiscale.
Poiché questa era (anche) la condizione dei cittadini (sudditi) nei Paesi di socialismo reale — ciò che Churchill chiamava «l’equa distribuzione della povertà» — è francamente difficile sostenere che, in tali condizioni, i cittadini, sia come ex lavoratori, sia come individui, vivano, da noi, meglio e siano più liberi. postellino@corriere.it
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Corriere della Sera 29.3.2014. Il dubbio di Piero Ostellino/I diritti da difendere per non essere travolti. – TESTO IN http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=14302
.Pensione ridotta per «solidarietà». Questo prelievo è una confisca, la generosità, invece, si esercita liberamente. //di Piero Ostellino, Corriere della Sera del 22/3/2014//-TESTO IN http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=14244
.Tutte le più recenti vicende in tema di pensioni sono in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=12436