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CASO ALLAM. A proposito di giornalisti. Al giornalista di origini egiziane viene, in particolare, contestato il fatto di aver scritto articoli contro gli islamici “in contrasto con quanto stabilito dalla Costituzione e dalla Carta dei doveri dei giornalisti”. Se dovesse passare un simile capo d’accusa, sarebbe un grave precedente: non si potrebbe, in pratica, più criticare l’Islam e, soprattutto, il fanatismo religioso che, purtroppo, sta raggiungendo livelli di guardia.
Editoriale di Giancarlo Mazzuca QN/Il Giorno-31.8.2014
Tira brutta aria nel mondo dell’informazione. Non bastano più i tanti bavagli che condizionano, in qualche modo, la stampa italiana: ora ci si mette pure l’auto-censura da parte di organi di rappresentanza degli stessi giornalisti. E’ piuttosto significativa la vicenda di Magdi Cristiano Allam, il collega di origini egiziane, già parlamentare europeo, accusato di “islamofobia”, con un procedimento disciplinare in corso. Premesso che, in questi giorni, molti quotidiani hanno fatto confusione tra il Consiglio nazionale dell’Ordine, che in questo caso non c’entra per nulla, e il Consiglio di disciplina, che è completamente autonomo rispetto al primo, e sottolineati i doveri di correttezza e di obiettività dell’informazione, spesso trascurati da parte di alcuni addetti lavori, il “dossier” su Magdi Allam merita qualche riflessione in più. A lui viene, in particolare, contestato il fatto di aver scritto articoli contro gli islamici “in contrasto con quanto stabilito dalla Costituzione e dalla Carta dei doveri dei giornalisti”. Se dovesse passare un simile capo d’accusa, sarebbe un grave precedente: non si potrebbe, in pratica, più criticare l’Islam e, soprattutto, il fanatismo religioso che, purtroppo, sta raggiungendo livelli di guardia. E’ sufficiente guardare le ultime immagini dei tagliagole estremisti, e in particolare la decapitazione del giornalista americano James Foley, per capire che il terrorismo ha trovato nuove energie e nuovo slancio.
Sono convinto che una condanna di Allam sarebbe un boomerang per l’intera stampa italiana: a quel punto, sarebbe più difficile raccontare cosa succede nel mondo islamico e denunciarne le derive violente. La storia è un po’ paradossale: il Consiglio di disciplina ha messo sotto accusa il giornalista proprio nei giorni in cui il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha rivelato che in Siria stanno combattendo una cinquantina di terroristi islamici di cittadinanza italiana. Questa guerra sotterranea merita di essere documentata con il maggior numero di voci possibili, anche quelle fuori dal coro, e non possiamo fare finta di nulla, criptando immagini e commenti, solo perché lo impone il Consiglio di disciplina.
Il problema è che anche l’Ordine dei giornalisti è diventato un organismo sovrabbondante, con strutture che vanno per la loro strada, senza veri coordinamenti. Qualche anno fa proposi, al riguardo, una bella cura dimagrante, pur non arrivando allo scioglimento del Consiglio, ma il provvedimento, passato alla Camera quasi all’unanimità, finì, poi, in qualche polverosa soffitta di Palazzo Madama e non se ne seppe più nulla. Insomma, le “lobbies” di categoria funzionano sempre. E, a proposito, di giornalisti, trovo un po’ triste il fatto che un altro collega, Renato Farina, estromesso per una vicenda legata ai servizi segreti (vi ricordate l’agente Betulla?), dopo otto anni dalla prima condanna dell’Ordine, non possa ancora scrivere su nessun giornale. In Italia si riabilitano in fretta personaggi che si sono macchiati di delitti imperdonabili, e, stranamente, ci si accanisce troppo con altri, che hanno sicuramente sbagliato, ma non possono essere condannati a vita. Farina scrive bene, molto bene, ma i giornali continuano a restare, per lui, “off-limits”.
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