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  I fatti della vita
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Le pensioni “al centro” di politiche sempre più “meno attente” ai dettami costituzionali. La mancata rivalutazione della pensione, nelle percentuali quali periodicamente rilevate dall’ISTAT, comporta, ogni volta, per i pensionati un danno economico di rilevante portata non solo nell’immediato, ma anche per il futuro atteso che, in difetto di qualunque previsione di recupero per gli anni successivi, tale danno si protrae, ininterrottamente, all’infinito fino ad incidere sulla misura della pensione di reversibilità, ove spettante ai superstiti. La questione posta da 4 giudici alla Corte costituzionale.

di Fernando SACCO
www.vivisicilia.it – 18.10.2014

Il mancato avvio di una politica dei redditi familiari veramente adeguata alle esigenze ed alle necessità correnti (con particolare attenzione alle famiglie monoreddito e a quelle numerose); il mancato contemperamento degli interessi dei singoli in un contesto di obiettivi da perseguire per il benessere generale; il sempre più frequente ricorso a “prelievi straordinari” non sorretti da alcuna definita programmazione, ma dettati solo da necessità contingenti (“far cassa” ad ogni costo per far fronte alle spese correnti in continua ascesa); il diffuso assistenzialismo quasi sempre privo di adeguata copertura finanziaria; la difesa, spesso inspiegabile, di “interessi di parte” o di “privilegi indebiti”, estremamente costosi per la collettività (ad esempio gli elevati costi della politica) sono oggi tra i motivi che più ostano l’avvio di una politica fiscale realmente “equa” incentrata sui principi solidaristici che obblighi tutti indistintamente a contribuire alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il processo inflattivo, quale da anni interessa l’economia del Paese, colpisce particolarmente salari e pensioni sia per la rigidità degli stessi sia anche perché i previsti meccanismi di adeguamento al costo della vita non sempre compensano in modo adeguato e sufficiente la progressiva diminuzione del potere di acquisto degli stessi o vengono addirittura disattesi.
Al riguardo taluni “fatti” parlano da soli:


a) il blocco dell’adeguamento dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo della vita disposto a danno dei pensionati dei settori pubblico e privato per gli anni 2008, 2012, 2013 e, parzialmente, anche per il 2014 e per il 2015. La mancata rivalutazione della pensione, nelle percentuali quali periodicamente rilevate dall’ISTAT, comporta, ogni volta, per i pensionati un danno economico di rilevante portata non solo nell’immediato, ma anche per il futuro atteso che, in difetto di qualunque previsione di recupero per gli anni successivi, tale danno si protrae, ininterrottamente, all’infinito fino ad incidere sulla misura della pensione di reversibilità, ove spettante ai superstiti.


Tali provvedimenti, nel disconoscere l’incidenza obiettiva dell’erosione inflazionistica sui redditi considerati, di fatto, hanno comportato e comportano tuttora una sostanziale decurtazione del valore reale delle pensioni, con grave pregiudizio per le economie delle famiglie e in dispregio di diritti costituzionalmente tutelati.  Ritenuto lesivo dei principi di uguaglianza, proporzionalità e adeguatezza della retribuzione anche se differita (come nel caso della pensione) nonché dei principi di universalità dell’imposizione fiscale e dell’affidamento del cittadino alla sicurezza giuridica (nella giurisprudenza della Corte Costituzionale tale affidamento è costantemente ritenuto elemento fondamentale dello stato di diritto), il Tribunale di Palermo, la Corte dei Conti della Regione Liguria e la Corte dei Conti della Regione Emilia Romagna hanno, di recente, sollevato la questione di legittimità costituzionale del blocco della perequazione automatica delle pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS disposto dal Governo Monti per il biennio 2012-2013 perché lesivo, a detta dei giudici, degli articoli 3, 36, 38 e 53 Cost.
In conseguenza del blocco anzidetto nel periodo considerato le pensioni superiori ad euro 1441,59 nel 2012 e ad euro 1486,29 nel 2013 (al lordo delle ritenute fiscali), malgrado le consistenti variazioni intervenute nel costo della vita, quali accertate dall’ISTAT, pari a + 2,7% nel 2012 e a + 3,0% nel 2013, non sono state rivalutate con grave ripercussione sulla economia familiare di milioni di pensionati che, a fronte di una considerevole crescita dei prezzi dei beni e dei servizi destinati al consumo delle famiglie, si son visti “impoverire” la loro fonte, spesso unica, di reddito……si spera ora che la Corte Costituzionale, al cui vaglio sono state rimesse le ordinanze in interesse, ponga fine a tale iniquità e ristabilisca finalmente quelle garanzie e quelle certezze oggi così largamente disattese;


b) il mancato riconoscimento ai titolari di trattamenti pensionistici inferiori a 25.000 euro lordi annui del bonus di 80 euro netto mensili riconosciuto, a decorrere dal mese di maggio 2014, sotto forma di detrazione IRPEF, ai lavoratori dipendenti dei settori pubblico e privato ricompresi nella medesima fascia reddituale.
Una discriminazione gravemente lesiva del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione. Se è lodevole, infatti, venire incontro alle esigenze di vita dei lavoratori dipendenti che guadagnano poco (meno di 25 mila euro lordi all’anno) concedendo loro un contributo economico (80 euro netti al mese), di contro appare fortemente iniquo e penalizzante non procedere allo stesso modo nei confronti di altri soggetti (quali i pensionati) che si trovano nella medesima condizione (titolari di trattamenti pensionistici medio-bassi). Nel 2012 il 42,6 per cento dei pensionati ha percepito mensilmente una pensione inferiore a mille euro lordi (fonte ISTAT)…….una condizione di grande precarietà per oltre sette milioni di persone a fronte della quale sorge spontanea una riflessione………. Il trattamento di quiescenza non è forse una “retribuzione differita” (come autorevolmente ribadito in più occasioni dalla Corte Costituzionale) che, al pari del salario percepito in costanza del rapporto di lavoro, deve assicurare al pensionato ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti quali sanciti dagli artt. 36 e 38 della Costituzione?…..e allora perché non si provvede analogamente anche nei loro confronti?
Tanti gli esempi, ne abbiamo riportati solo alcuni…quanto bastano, però, per sottolineare l’impoverimento di tanti, aggravato da distorsioni e disparità di trattamento, nella disattesa, spesso, di quei principi sanciti dal dettato costituzionale per il quale 


.“la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 Cost.).


· “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge…… è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economia e sociale del Paese” (art. 3 Cost.),
in un contesto sì ampiamente partecipativo e solidaristico, ma nel rispetto sempre dei bisogni e delle necessità dei singoli.
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.Tutte le più recenti vicende in tema di pensioni sono in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=12436


 


 





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