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Stampa

La legge sulla stampa
(47/1948) commentata
con la giurisprudenza
articolo per articolo

Costituzione


Articolo 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.


 


Articolo 21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.


La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.


Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'Autorità giudiziaria (24) nel caso di


delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.


In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'Autorità


giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'Autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.


La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento


della stampa periodica.


Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.


(24) Vedi art. 111, comma primo.


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Legge  8 febbraio 1948, n. 47 (1).Disposizioni sulla stampa. (2)


(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 20 febbraio 1948, n. 43.


(2)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti circolari:


-Ministero delle finanze: Circ. 27 agosto 1998, n. 209/E;


- Ministero per i beni culturali e ambientali: Circ. 18 dicembre 1996, n. 7664.


 


1. Definizione di stampa o stampato.


Sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione.


------------------


Massime


La Corte costituzionale, con la sentenza n. 2/1971, ha ritenuto lecita la pubblicazione di “singoli stampati o numeri unici”.


 


Il diritto di stampa, e cioè la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti, sancito in linea di principio dall'art. 21 Cost. è regolato dalla legge 8 febbraio 1948 n. 47, è legittimo quando concorrono le seguenti tre condizioni: a) utilità sociale dell'informazione; b) verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti, che non è rispettata quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; c) forma "civile" dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l'offesa triviale o irridente i più umani sentimenti. La forma della critica non è civile quando non è improntata a leale chiarezza, quando cioè il giornalista ricorre al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato o comunque all'artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre, alle vere e proprie insinuazioni. In tali ipotesi l'esercizio del diritto di stampa può costituire illecito civile anche ove non costituisca reato. (Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 5259 del 18-10-1984, Granzotti c. Soc. Europrogramme Service Italia).


 


Il giornalista, il quale, esercitando il diritto di cronaca in ordine a fatti gravi o particolarmente riprovevoli, venga ad arrecare pregiudizio alla reputazione della persona ovvero al suo diritto alla riservatezza, non può essere chiamato a rispondere dei relativi danni, qualora gli avvenimenti riferiti, oltre a ricollegarsi ad un rilevante interesse della collettività all'informazione, come nel caso in cui abbiano notevolmente scosso l'opinione pubblica, siano obiettivamente veri, o comunque siano ritenuti tali in buona fede, per avere il giornalista medesimo diligentemente ottemperato al dovere di controllare le fonti di provenienza delle notizie, e qualora inoltre l'esposizione dei fatti, per quanto inevitabilmente influenzata dalla sensibilità personale, e dalla formazione culturale ed ideologica dell'autore, ovvero presentante toni vivaci e di effetto, giustificabili alla stregua del momento in cui la vicenda crea emozioni ed interesse nel grande pubblico, non si discosti da obiettivi canoni di chiarezza, restando scevra da sottintesi od apprezzamenti soggettivi di per sé denigratori od idonei a suggestionare il lettore. (Cassazione civile,Sez. III, sent. n. 1968 del 13-03-1989).


 


Perché si abbia una "stampa" o uno stampato, ai fini dell'applicazione della legge n. 47 del 1948, è necessario che si sia predisposto un prodotto idoneo alla sua diffusione in una molteplicità di esemplari, attuati con mezzi meccanici o fisico-chimici. Ne deriva che tale non è un cartellone manoscritto, cioè un tazebao con la sottoscrizione di una sezione di partito politico. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 7513 del 19-09-1983).


 


Nel caso in cui l'imputato è accusato di aver fatto stampare una lettera contenente notizie lesive della reputazione e del buon nome, anche commerciale, di un altro soggetto e di averla, poi, diffusa in varie località, indirizzandola agli uffici ed enti indicati nell'intestazione della lettera stessa, non si configura il reato di diffamazione a mezzo stampa. Infatti, non può considerarsi "stampato", in materia di diffamazione a mezzo stampa, la riproduzione meccanica di una lettera in diversi esemplari da recapitare a destinatari ben individuati ed indicati nella stessa missiva. (Sez. I, sent. n. 1988 del 18-07-1985),


 


Rientra nella categoria dei reati commessi con il mezzo della stampa l'affissione ed esposizione in luogo pubblico di manifesti contrari al pudore o alla pubblica decenza, in quanto la stampa in essi costituisce lo strumento attraverso il quale si concreta l'azione antigiuridica. (Applicazione del principio in tema di competenza per materia). (8Cassazione penale, Sez. III, sent. n. 23 del 03-01-1986).


 


2. Indicazioni obbligatorie sugli stampati.


Ogni stampato deve indicare il luogo e l'anno della pubblicazione, nonché il nome e il domicilio dello stampatore e, se esiste, dell'editore.


I giornali, le pubblicazioni delle agenzie d'informazioni e i periodici di qualsiasi altro genere devono recare la indicazione:


del luogo e della data della pubblicazione;


del nome e del domicilio dello stampatore;


del nome del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile (3).


All'identità delle indicazioni, obbligatorie e non obbligatorie, che contrassegnano gli stampati, deve corrispondere identità di contenuto in tutti gli esemplari.


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(3) Per l'integrazione delle indicazioni previste dal presente comma vedi il comma 119 dell'art. 2, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, come modificato dalla relativa legge di conversione.


 


3. Direttore responsabile.


Ogni giornale o altro periodico deve avere un direttore responsabile.


Il direttore responsabile deve essere cittadino italiano e possedere gli altri requisiti per l'iscrizione nelle liste elettorali politiche.


Può essere direttore responsabile anche l'italiano non appartenente alla Repubblica, se possiede gli altri requisiti per la iscrizione nelle liste elettorali politiche.


Quando il direttore sia investito di mandato parlamentare, deve essere nominato un vice direttore, che assume la qualità di responsabile.


Le disposizioni della presente legge, concernenti il direttore responsabile, si applicano alla persona che assume la responsabilità ai sensi del comma precedente (4) (5) (6) (7).


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(4)  Vedi, anche, artt. 46 e 47, L. 3 febbraio 1963, n. 69.


(5)  L'art. 9, L. 6 febbraio 1996, n. 52, ha equiparato i cittadini degli stati membri della Comunità europea ai cittadini italiani, agli effetti degli artt. 3 e 4 della presente legge.


(6) La Corte costituzionale, con ordinanza 18-29 aprile 2005, n. 170 (Gazz. Uff. 4 maggio 2005, n. 18, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 21 della Costituzione.


(7). La normativa formata dagli articoli 3 e 5 della  legge 47/1948 sulla stampa  è stata estesa, - con  le leggi 103/1975, 223/1990 e 62/2001-  alle testate giornalistiche televisive, radiofoniche e  di internet. Gli editori, invece, sono iscritti al Roc (Registro operatori della comunicazione).


Massime


Sia ai sensi della legge 8 febbraio 1948 n. 47 (disposizioni sulla stampa), che ai sensi della contrattazione collettiva sul lavoro giornalistico, la qualità di direttore responsabile di un giornale o di un periodico - con l'assunzione dei compiti e delle responsabilità corrispondenti - non implica necessariamente la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, il quale presuppone l'inserimento nella organizzazione dell'impresa giornalistica, in posizione di subordinazione gerarchica e disciplinare al proprietario (o allo editore) del giornale. (Sez. Lav., sent. n. 1882 del 02-04-1981).


 


Il conferimento dell'incarico di direttore responsabile di un giornale o di una rivista periodica, ai sensi dell'art 3 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, non comporta di per sé l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, essendo a tal fine necessario che, in capo alla stessa persona chiamata ad assolvere questa funzione di carattere pubblicistico - consistente nell'adempimento dell'obbligo di controllo del contenuto delle pubblicazioni a salvaguardia di interessi etici della collettività, protetti dallo Stato - si cumulino altri e diversi compiti svolti in guisa tale da dimostrare l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione dell'impresa, per porre a servizio di questa l'energia lavorativa con le caratteristiche essenziali della subordinazione e della collaborazione. È, pertanto, da escludere che il detto conferimento obblighi il proprietario del giornale o della rivista a praticare, nei confronti dell'incaricato, il trattamento economico e normativo stabilito dal contratto collettivo di lavoro giornalistico per i giornalisti professionisti, i collaboratori fissi ed i pubblicisti, qualora non si accompagni altresì alla attribuzione di compiti tipici di questi lavoratori, tenuto anche conto del fatto che la posizione del direttore responsabile, individuata come sopra, va distinta da quella del "direttore", previsto come tale da detto contratto, cui compete di impartire ai redattori istruzioni per lo svolgimento del loro lavoro, stabilire le mansioni di costoro, assicurare il buon andamento del servizio e proporre assunzioni o licenziamenti per motivi tecnico-professionali, nonché da quella del direttore amministrativo, la cui attività è diretta esclusivamente alla gestione amministrativa dell'azienda ed il cui rapporto di lavoro e regolato da un contratto collettivo diverso da quello suddetto. (Cassazione civile, Sez. Lav., sent. n. 4466 del 07-07-1981).


 


In tema di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, il direttore responsabile risponde del mancato controllo del contenuto del giornale unitariamente considerato, dovendo escludersi ogni rilevanza, ai fini della sussistenza del reato, all'organizzazione interna dell'azienda giornalistica, in cui al redattore capo vengano conferite funzioni di coordinamento e controllo anche sulle redazioni distaccate, in quanto a norma dell'art. 57 c.p. e dell'art. 3 legge 8 febbraio 1948, n. 47, deve sempre esserci coincidenza tra la funzione di direttore o vice direttore responsabile e la posizione di garanzia, non essendovi la possibilità di delegare tale potere-dovere di controllo. (v. Corte Cost., sent. 24 novembre 1982, n. 198).  (Cassazione civile, Sez. V, sent. n. 46786 del 02-12-2004).


 


A norma dell'art. 3 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, sulla stampa, "ogni giornale (o altro periodico) deve avere un direttore responsabile" (o un vicedirettore responsabile nelle ipotesi di cui ai commi quarto e quinto del citato art. 3). Si desume dal significato complessivo della disposizione - in cui l'articolo indeterminato (un) ha anche un valore numerale - che il direttore indicato a norma dell'art. 5 della stessa legge come responsabile risponde del mancato controllo del contenuto del giornale considerato unitariamente e in ogni sua parte. Ne deriva che nessuna rilevanza riveste, ai fini del reato di diffamazione a mezzo stampa, il conferimento interno di una parziale autonomia ad un vicedirettore relativamente ad una determinata rubrica (nella specie, corrispondenza con i lettori) e tanto meno una inammissibile delega del potere-dovere di controllo. (Cassazione civile, Sez. V, sent. n. 2817 del 11-04-1986).


 


In tema di diffamazione a mezzo stampa, realizzatasi nel momento in cui il direttore responsabile del giornale che abbia riportato una notizia rivelatasi diffamatoria fruisca del periodo delle ferie che pur costituisce un diritto costituzionalmente garantito dall'art. 36 Cost. e dalle norme contrattuali dei giornalisti, non si è in presenza di un fatto di forza maggiore che esoneri il direttore della responsabilità ex art. 57 Cp. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 5090 del 24-04-1987).


 


Il direttore di un giornale che si assenta per ferie e che sa di non poter esercitare, nel corrispondente periodo, le proprie funzioni, è tenuto tuttavia a richiedere la propria sostituzione e ad impedire che, in mancanza, il giornale continui ad essere pubblicato con la sola parvenza di una sua presenza, ma senza che, in effetti, venga esercitato alcun controllo. Ove il proprietario rifiuti, il direttore non può consentire che il suo nome continui ad apparire ancora come responsabile allorché in realtà si trovi, a causa delle ferie, nella concreta impossibilità di esercitare le proprie funzioni e in concreto non le eserciti. Pertanto, il godimento delle ferie senza predisporre o sollecitare alcuno dei meccanismi previsti perché sia assicurato il costante controllo della pubblicazione e consentendo che lo stesso continui ad apparire garantito dalla sua presenza costituisce di per sé una condotta colposa da cui deriva la responsabilità prevista dall'art. 57 del cod. pen. (reati commessi col mezzo della stampa periodica). (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 7229 del 05-07-1991).


 


È legittimamente disposto il sequestro preventivo di tutte le copie di un periodico pubblicato senza l'indicazione del direttore responsabile ed in mancanza della registrazione - prescritti dagli artt. 3 e 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 - che configurano il reato di stampa clandestina, sanzionato dall'art. 16 della legge n. 47/48, in quanto in questo caso la stampa costituisce in sé oggetto dell'illecito, e non il mezzo per la commissione di altri reati, per i quali vige l'art. 1, secondo comma, del R.D.L. 31 maggio 1946, n. 561, che consente il sequestro di non oltre tre esemplari della pubblicazione.  (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 35108 del 18-10-2002).


 


4. Proprietario.


Per poter pubblicare un giornale o altro periodico, il proprietario, se cittadino italiano residente in Italia, deve possedere gli altri requisiti per l'iscrizione nelle liste elettorali politiche.


Se il proprietario è cittadino italiano residente all'estero, deve possedere gli altri requisiti per l'iscrizione nelle liste elettorali politiche.


Se si tratta di minore o di persona giuridica, i requisiti indicati nei comma precedenti devono essere posseduti dal legale rappresentante.


I requisiti medesimi devono essere posseduti anche dalla persona che esercita l'impresa giornalistica, se essa è diversa dal proprietario (7).


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(7)  L'art. 9, L. 6 febbraio 1996, n. 52, ha equiparato i cittadini degli stati membri della Comunità europea ai cittadini italiani, agli effetti degli artt. 3 e 4 della presente legge.


 


5. Registrazione.


Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi.


Per la registrazione occorre che siano depositati nella cancelleria:


1) una dichiarazione, con le firme autenticate del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile, dalla quale risultino il nome e il domicilio di essi e della persona che esercita l'impresa giornalistica, se questa è diversa dal proprietario, nonché il titolo e la natura della pubblicazione;


2) i documenti comprovanti il possesso dei requisiti indicati negli artt. 3 e 4;


3) un documento da cui risulti l'iscrizione nell'albo dei giornalisti, nei casi in cui questa sia richiesta dalle leggi sull'ordinamento professionale;


4) copia dell'atto di costituzione o dello statuto, se proprietario è una persona giuridica.


Il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, verificata la regolarità dei documenti presentati, ordina, entro quindici giorni, l'iscrizione del giornale o periodico in apposito registro tenuto dalla cancelleria. (8/b)


Il registro è pubblico (8).


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(8)  Vedi, anche, D.P.R. 1° marzo 1961, n. 121, Tab. A, n. 113.

(8/b) La Corte costituzionale, con la sentenza 96/1976 (ribadita dalla sentenza 170/2005), investita di una questione di costituzionalità sollevata nell’ambito di un procedimento per la registrazione di un periodico, ha affermato che la procedura prevista dall’articolo 5 della legge n. 47 del 1948  “è esclusivamente volta alla verifica della regolarità dei documenti presentati e che il presidente o il magistrato da lui delegato è chiamato a svolgere una semplice funzione di carattere formale attribuitagli per una finalità garantistica, sì che l’intervento di un magistrato non può da solo essere ritenuto idoneo ad alterare la struttura di un procedimento meramente amministrativo (nell'ambito di un procedimento dichiarativo), che si conclude con un ‘ordine’, e cioé con un provvedimento, contro il quale, secondo i principi generali, e secondo quanto comunemente ritenuto, é ammesso il ricorso al Ministro di Giustizia e quindi al Consiglio di Stato».

Massime


La registrazione del giornale e del periodico nonché di ogni mutamento relativo agli elementi essenziali richiesti per la stessa - in ottemperanza all'obbligo (penalmente sanzionato) di cui agli artt. 5, 6 e 19 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 - costituisce una forma di pubblicità necessaria, senza peraltro che il solo fatto della registrazione della testata o dell'omessa comunicazione del trasferimento della medesima - la quale come segno distintivo della pubblicazione periodica, costituisce solo un elemento della azienda giornalistica - sia sufficiente - anche con riguardo ai rapporti di lavoro del personale dipendente - per far ritenere la nascita di un'impresa editoriale o il permanere di un'impresa in luogo di quella a questa subentrata ed effettivamente esercente la pubblicazione.  (Cassazione civile, Sez. Lav., sent. n. 4600 del 19-05-1987).


 


È inammissibile il ricorso per Cassazione, a norma dell'art. 111 Cost. avverso il provvedimento con cui il Presidente del tribunale revochi l'iscrizione di un periodico nel registro della stampa (nella specie, per mancata nomina, da parte della proprietà, di un nuovo direttore responsabile, a seguito della cancellazione del precedente dall'elenco dei pubblicisti, disposta dall'ordine dei giornalisti), in quanto la funzione di controllo, attribuita a detto organo giudiziario sulla regolarità dei documenti presentati per le iscrizioni e le annotazioni nell'indicato registro (artt. 5 e 6 della legge n. 47 del 1948), ha natura amministrativa e non giurisdizionale, essendo unicamente diretta ad accertare se sussistano i presupposti necessari per dette formalità, al fine di ordinarne l'esecuzione in caso positivo e di negarla in caso negativo, ovvero di accertare se siano venuti meno i presupposti esistenti al momento dell'iscrizione.  (Cassazione civile, Sez. U., ord. n. 9288 del 09-11-1994).


 


Secondo un fondamentale principio ermeneutico, la norma giuridica al momento stesso della sua entrata in vigore si oggettivizza estraniandosi dai fatti contingenti e dalle vicende che hanno preceduto la sua emanazione; cosicché essa va interpretata facendo riferimento alla situazione esistente al momento della sua applicazione. In tale operazione non opera l'analogia, né la (pur legittima) interpretazione estensiva perché la nuova fattispecie rientra direttamente nella previsione della norma, considerata nel suo significato letterale e logico. In applicazione di tale principio, l'art. 7 della legge n. 103 del 1975 - pur riferendosi originariamente ai soli telegiornali di stato della concessionaria Rai-Tv, gli unici ammessi alle trasmissioni via etere al momento della emanazione della norma e quindi gli unici destinatari di essa per quanto attiene all'obbligo di previa registrazione - deve, a seguito della sentenza n. 202 del 1976 con la quale la Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità delle emissioni televisive via etere di ambito locale, ritenersi comprensivo, nella sua previsione, dei telegiornali privati. Pertanto, l'obbligo penalmente sanzionato, di registrazione e di indicazione del direttore responsabile, previsto dall'art. 5 della legge sulla stampa per i giornali e periodici ed esteso dall'art. 7 della legge n. 103 cit. "ai telegiornali ed ai giornali radio", riguarda non solo i telegiornali della Rai-Tv ma anche quelli dei privati, ancorché questi ultimi siano stati legittimati alla diffusione locale, via etere, di notiziari televisivi solo successivamente alla entrata in vigore della legge n. 103 del 1975 cit., a seguito della sentenza n. 202 del 1976 della Corte Costituzionale.  (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 1614 del 22-02-1983).


 


La norma penale incriminatrice è composta di due inscindibili elementi, precetto e sanzione, e tale inscindibilità sussiste anche quando la sanzione penale di un determinato precetto sia prevista in una disposizione separata della stessa legge o di una legge diversa. Poiché tale separazione è soltanto formale, stante la inscindibilità sostanziale di precetto e sanzione, ne deriva che le singole disposizioni incomplete formano un'unica norma sì che il richiamo alla disposizione precettiva non può che intendersi riferito all'intera norma. In applicazione di tale principio, il richiamo dell'art. 5 della legge n. 103 del 1975, all'art. 5 della legge sulla stampa (parte precettiva), postula necessariamente il richiamo all'art. 16 della stessa legge (parte sanzionatoria). E ciò non già in base ad un (inammissibile) procedimento di integrazione analogica, ma in forza di un'esigenza logico-giuridica che rivela l'esatta portata della norma. (Nella specie, si era sostenuto che il precetto contenuto nell'art. 7 della legge n. 103, difettasse di sanzione essendo il richiamo limitato all'art. 5 - parte precettiva - e non anche all'art. 16 - parte sanzionatoria - della legge sulla stampa).


(Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 1614 del 22-02-1983).


 


6. Dichiarazione dei mutamenti.


Ogni mutamento che intervenga in uno degli elementi enunciati nella dichiarazione prescritta dall'articolo 5, deve formare oggetto di nuova dichiarazione da depositarsi, nelle forme ivi previste, entro quindici giorni dall'avvenuto mutamento, insieme con gli eventuali documenti.


L'annotazione del mutamento è eseguita nei modi indicati nel terzo comma dell'art. 5.


L'obbligo previsto nel presente articolo incombe sul proprietario o sulla persona che esercita l'impresa giornalistica, se diversa dal proprietario.


 


7. Decadenza della registrazione.


L'efficacia della registrazione cessa qualora, entro sei mesi dalla data di essa, il periodico non sia stato pubblicato, ovvero si sia verificata nella pubblicazione una interruzione di oltre un anno.


 


8. Risposte e rettifiche.


Il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale.


Per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche di cui al comma precedente sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono.


Per i periodici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce.


Le rettifiche o dichiarazioni devono fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche, per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate.


Qualora, trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma, la rettifica o dichiarazione non sia stata pubblicata o lo sia stata in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma, l'autore della richiesta di rettifica, se non intende procedere a norma del decimo comma dell'articolo 21, può chiedere al pretore, ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile, che sia ordinata la pubblicazione.


La mancata o incompleta ottemperanza all'obbligo di cui al presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da lire 15.000.000 a lire 25.000.000 (9).


La sentenza di condanna deve essere pubblicata per estratto nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia. Essa, ove ne sia il caso, ordina che la pubblicazione omessa sia effettuata (10).


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(9)  La sanzione originaria della multa è stata sostituita con la sanzione amministrativa dall'art. 32, L. 24 novembre 1981, n. 689, e così elevata dall'art. 114, primo comma, della citata L. 24 novembre 1981, n. 689, in relazione all'art. 113, secondo comma, della stessa legge.


(10)  Così sostituito dall'art. 42, L. 5 agosto 1981, n. 416.


Massime


È manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 8 della legge sulla stampa, come modificato dall'art. 42 della legge 5 agosto 1981, n. 416, nella parte in cui non consente il ricorso straordinario per cassazione avverso il provvedimento emesso, in sede di reclamo, ai sensi dell'art. 700 c.p.c. per pubblicazione della rettifica di notizie diffuse a mezzo stampa, in relazione alla irreversibilità degli effetti del provvedimento, atteso che il diritto di difesa è assicurato attraverso la possibilità di instaurare la causa di merito e che detta irreversibilità è caratteristica comune a molte situazioni umane ed è sempre giuridicamente emendabile indirettamente con attività di segno contrario o con il risarcimento del danno. (Cassazione civile, Sez. III, sent. n. 4082 del 25-02-2005).


 


Il diritto di rettifica di notizie od immagini pubblicate su giornali, che si assumano lesive dell'onore o contrarie a verità, previsto dall'art. 8 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, come sostituito dall'art. 42 della legge 5 agosto 1981 n. 416, può essere esercitato anche a mezzo di rappresentante, e, quindi, pure con procura ad un legale. Peraltro, considerato che l'esercizio del diritto stesso è soggetto a determinata modalità, e, in particolare, alla redazione per iscritto della rettifica, detta procura deve essere specificamente conferita per il compimento dello atto deve essere sottoscritta dal delegante, con la conseguenza che, in mancanza di forma scritta, non insorge il dovere del direttore (od altro responsabile) del giornale di provvedere alla pubblicazione della rettifica (né, a maggior ragione, è configurabile una sua responsabilità per ritardata pubblicazione della rettifica medesima).  (Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 2852 del 05-04-1990).


 


Il procedimento di cui all'art. 8, quinto comma, della legge 8 febbraio 1948, n. 47 recante disposizioni sulla stampa, come modificato dall'art. 42 della legge 5 agosto 1981, n. 416, (il quale prevede che, in caso di mancata pubblicazione spontanea o di pubblicazione inidonea della rettifica, l'autore della richiesta di rettifica possa chiedere, "ai sensi dell'art. 700 c.p.c., che sia ordinata la pubblicazione") è inquadrabile nella tutela sommaria cautelare, giacché la sua particolarità, rispetto alla tutela cosiddetta atipica ex art. 700 c.p.c., sta in ciò, che il "periculum in mora", avuto riguardo al diritto oggetto della cautela, è ritenuto comunque sussistente, nel senso, cioè, che non è necessaria una valutazione giudiziale sul punto, mentre, per il resto, esso è da annoverare tra i provvedimenti cautelari previsti da leggi speciali, con conseguente applicazione, nei termini di cui all'art. 669-quaterdecies c.p.c., delle disposizioni dei procedimenti cautelari in generale, di cui agli artt. 669-bis c.p.c. e segg. Pertanto è inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., avverso l'ordinanza pronunziata in sede di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., che confermi, revochi o modifichi le determinazioni del provvedimento oggetto di reclamo, trattandosi di provvedimento non definitivo e non decisorio, munito di efficacia temporanea, in quanto condizionato all'instaurazione della causa di merito. (Cassazione civile, Sez. III, sent. n. 4866 del 29-03-2003; CONFORME:  Sez. I, sent. n. 23402 del 16-12-2004).


 


La responsabilità risarcitoria del giornalista, per la lesione dell'altrui reputazione con la diffusione di una notizia non conforme al vero, può restare esclusa, in relazione all'esimente della cosiddetta verità putativa, cioè della convinzione circa la verità della notizia stessa in buona fede (previo vaglio degli elementi a disposizione con diligenza proporzionale alle circostanze del caso concreto), solo se il fatto sia anteriore al momento in cui il danneggiato, avvalendosi del diritto di rettifica, smentisca comportamenti addebitatigli, dopo tale rettifica, ancorché non accompagnata da esibizione od indicazione di prove a conforto, l'insistenza del giornalista nell'originaria versione non è giustificabile, in difetto di un accurato controllo, con tutti i mezzi d'indagine disponibili, del contenuto della rettifica medesima.  (Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 9365 del 04-09-1991).


 


Il provvedimento cautelare, ancorché anticipi tutti gli effetti della sentenza richiesta al giudice, è atto precario e rivedibile, di modo che non tocca il diritto della parte attrice di ottenere la definizione entro un termine ragionevole della controversia, né correlativamente esclude il dovere dello Stato, in linea con gli impegni assunti in sede internazionale e recepiti nell'ordinamento interno, di assicurare la conclusione della causa nel rispetto di quel termine. Ciò non esclude, tuttavia, che nel determinare l'intensità del danno non patrimoniale consistito nella sofferenza psicologica determinata dalla durata eccessiva del processo e quindi le conseguenze del ritardo, debba tenersi conto della questione dibattuta nel processo, delle aspettative riposte nel suo esito e del rapporto fra questo e la anticipata tutela interinale e provvisoria eventualmente accordata all'istante, ivi compreso il caso in cui il ricorrente abbia ottenuto immediata tutela del suo diritto di rettifica ex art. 8, quinto comma, della legge 8 febbraio 1948, n. 47, recante disposizioni sulla stampa, come modificato dall'art. 42 della legge 5 agosto 1981, n. 416, ed abbia, invece, nel successivo giudizio di merito, visto in via definitiva respinte le ulteriori pretese d'indole risarcitoria. (Cassa con rinvio, App. Roma, 10 Febbraio 2003) (Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 3560 del 17-02-2006 (ud. del 20-12-2005), D.G.G. c. Ministero della Giustizia).


 


In tema di diffamazione a mezzo stampa, la pubblicazione di un'intervista - rettifica alla persona offesa, che costituisce espressione dell'obbligo, penalmente sanzionato, di ristabilire prontamente la verità (ex art. 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47), non riveste efficacia scriminante con riguardo alla diffusione della precedente notizia diffamatoria. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 32364 del 30-09-2002).


 


In tema di diffamazione a mezzo stampa, la pubblicazione della rettifica della notizia giornalistica falsa, ex art. 8 L. 8 febbraio 1948, n.47, non riveste efficacia scriminante, in quanto non elimina gli effetti negativi dell'azione criminosa, ma può avere la sola funzione di attenuare la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 12 della legge citata. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha altresì escluso in presenza della rettifica l'applicabilità in via analogica del regime previsto per la ritrattazione, trattandosi di istituti con natura e caratteri del tutto diversi). (Rigetta, App. Milano, 19 Ottobre 2004)  (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 16323 del 07-03-2006).


 


9. Pubblicazione obbligatoria di sentenze.


Nel pronunciare condanne per reato commesso mediante pubblicazione in un periodico, il giudice ordina in ogni caso la pubblicazione della sentenza, integralmente o per estratto, nel periodico stesso. Il direttore responsabile è tenuto a eseguire gratuitamente la pubblicazione a norma dell'art. 615, primo comma, del Codice di procedura penale.


Massime


Poiché la fattispecie della omessa pubblicazione di rettifica su un giornale, prevista dall'art. 8 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, non integra un reato "commesso mediante pubblicazione in un periodico, non trova applicazione la norma speciale di cui all'art. 9 della stessa legge - in base alla quale deve essere in ogni caso disposta la pubblicazione della sentenza di condanna, integralmente o per estratto, nel periodico stesso - restando affidato al potere discrezionale del giudice ordinarla, qualora ciò può contribuire a riparare il danno, mediante inserzione per estratto in uno o più giornali ed a cura e a spese del soccombente, ai sensi dell'art. 120 Cpc. (Cassazione  civile, Sez. III, sent. n. 4799 del 24-07-1981).


 


La pubblicazione della sentenza di condanna per reato commesso mediante pubblicazione in un periodico, ai sensi dell'art. 9 della legge sulla stampa, costituisce pena accessoria, in quanto tale condonabile, e non sanzione civile. Infatti, detta pubblicazione consegue di diritto, obbligatoriamente, alla condanna ed appare ispirata alla finalità di integrare e rafforzare la tutela penale, come è anche rivelato dal collegamento della pubblicazione non già alla verificazione del danno cagionato dal reato, ma al reato medesimo. (Cassazione  civile, Sez. V, sent. n. 7587 del 28-09-1983).


 


La pubblicazione della sentenza di condanna, in quanto pena accessoria non temporanea, non è condonabile ai sensi dell'art. 9 del D.P.R. 16 dicembre 1986 n. 865, avente ad oggetto la concessione di amnistia e indulto. (Cassazione penale,Sez. V, sent. n. 12763 del 22-09-1989).


 


10. Giornali murali.


Il giornale murale, che abbia un titolo e una normale periodicità di pubblicazione, anche se in parte manoscritto, è regolato dalle disposizioni della presente legge.


Nel caso di giornale murale a copia unica, è sufficiente, agli effetti della legge 2 febbraio 1939, n. 374 , che sia dato avviso della affissione all'autorità di pubblica sicurezza.


L'inosservanza di questa norma è punita ai sensi dell'art. 650 del Codice penale.


 


I giornali murali sono esenti da ogni gravame fiscale (11).


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(11)  Vedi, anche, il D.P.R. 24 giugno 1954, n. 342; art. 19 e All. B, n. 15.


Massima


L'esenzione dal pagamento dell'imposta sulla pubblicità non compete ai giornali murali che vengano affissi in luoghi diversi da quelli prestabiliti. (Cassazione  civile, Sez. I, sent. n. 3528 del 29-05-1980).


 


11. Responsabilità civile.


Per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l'editore (12).


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(12)  La Corte costituzionale, con ordinanza 5-23 gennaio 2001, n. 20 (Gazz. Uff. 31 gennaio 2001, n. 5, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 11 e 12 sollevata in riferimento all'art. 68, primo comma, della Cost.


Massime


In tema di diritti della personalità umana, esiste un vero e proprio diritto soggettivo perfetto alla reputazione personale anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge ordinaria, che va inquadrato nel sistema di tutela costituzionale della persona umana, traendo nella Costituzione il suo fondamento normativo (Corte cost. n. 184 del 1986, n. 479 del 1987), in particolare nell'art. 2 (oltre che nell'art. 3, che fa riferimento alla dignità sociale) e nel riconoscimento dei diritti inviolabili della persona. L'art. 2 cost., nell'affermare la rilevanza costituzionale della persona umana in tutti i suoi aspetti, comporta che l'interprete, nella ricerca degli spazi di tutela della persona, è legittimato a costruire tutte le posizioni soggettive idonee a dare garanzia, sul terreno dell'ordinamento positivo, ad ogni proiezione della persona nella realtà sociale, entro i limiti incui si ponga come conseguenza della tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali nelle quali si esplica la sua personalità. L'espresso riferimento alla persona come singolo rappresenta certamente valido fondamento normativo per dare consistenza di diritto alla reputazione del soggetto, in correlazione anche all'obiettivo primario di tutela "del pieno sviluppo della persona umana", di cui al successivo art. 3 cpv. cost. (implicitamente su questo punto Corte cost. 3 febbraio 1994 n. 13). Infatti, nell'ambito dei diritti della personalità umana, con fondamento costituzionale, il diritto all'immagine, al nome, all'onore, alla reputazione, alla riservatezza non sono che singoli aspetti della rilevanza costituzionale che la persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel sistema della Costituzione. Trattasi quindi di diritti omogenei essendo unico il bene protetto. (Cass. civ. Sez.III 10-05-2001, n. 6507; Cancani c. Pagliarini;FONTI Mass. Giur. It., 2001 - Giust. Civ., 2001, I).


 


Affinché la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore possa considerarsi lecita espressione del diritto di cronaca e non comporti responsabilità civile per violazione del diritto all'onore devono ricorrere tre condizioni: A) utilità sociale dell'informazione; B) verità oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di diligente lavoro di ricerca; C) forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, che non ecceda lo scopo informativo da conseguire e sia improntata a leale chiarezza, evitando forme di offesa indiretta.  (Cassazione civile, Sez. III, sent. n. 8284 del 16-09-1996; CONFORMI:  Sez. I, sent. n. 4871 del 05/05/1995; Sez. I, sent. n. 982 del 07/02/1996;  Sez. 3, sent. n. 747 del 24/01/2000).


 


In tema di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, qualora la divulgazione della notizia lesiva dell'altrui reputazione sia avvenuta su quotidiani a diffusione solamente locale, l'elemento della comunicazione a più persone della notizia diffamatoria relativa ad un soggetto che vive e lavora nel luogo medesimo deve considerarsi "in re ipsa", poiché la notizia, in un ambito territoriale più ristretto, si propaga con maggiore facilità e si rivolge specificamente alla sfera dei consociati tra i quali è destinata a creare il discredito sociale. (Cassazione  civile, Sez. III, sent. n. 11420 del 01-08-2002).


 


In materia di responsabilità civile per notizie diffuse a mezzo stampa, può ricondursi al legittimo esercizio del diritto di informazione e di critica anche l'attribuzione ad un soggetto di un reato, quando non si traduca in una enunciazione immotivata ma possa ricavarsi, con l'ordinario raziocinio dell'uomo medio e con minore o maggiore fondamento dalla concatenazione di un certo numero di fatti veri, obiettivamente e correttamente riferiti, che rivestano interesse per una collettività più o meno vasta di soggetti. (Cassazione civile, Sez. III, sent. n. 196 del 10-01-2003).


 


La responsabilità civile del proprietario e dell'editore, per i reati commessi col mezzo della stampa, si fonda sull'art. 11 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, e non sull'art. 2049 cod. civ., che prevede una forma di responsabilità indiretta, e ricorre, quindi, indipendentemente da quella del direttore. (Cassazione civile, Sez. III, sent. n. 9892 del 19-09-1995).


 


 


Il proprietario e l'editore, essendo responsabili civilmente per i danni conseguenti ai reati commessi col mezzo della stampa in solido con il direttore e l'autore dell'articolo, sono obbligati per l'intero nei confronti del danneggiato, ai sensi dell'art. 1292 cod. civ., ma con diritto di regresso nei rapporti interni con gli altri coobbligati secondo la gravità delle rispettive colpe e le conseguenze che ne sono derivate (art. 2059 cod. civ.).  (Cassazione civile, Sez. III, sent. n. 9892 del 19-09-1995).


 


La responsabilità solidale dell'editore con l'autore del reato in ordine al risarcimento del danno, prevista all'art. 11 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, concerne soltanto i reati "commessi a mezzo della stampa", quelli cioè nei quali la pubblicità inerente alla diffusione della stampa è mezzo di esecuzione del reato, e non pure i "reati di stampa", fra i quali va ricondotta l'omessa pubblicazione di rettifica su un giornale, prevista dall'art. 8 della citata legge. (Cassazione civile, Sez. III, sent. n. 4799 del 24-07-1981).


 


12. Riparazione pecuniaria.


Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato (13).


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(13)  La Corte costituzionale, con ordinanza 5-23 gennaio 2001, n. 20 (Gazz. Uff. 31 gennaio 2001, n. 5, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 11 e 12 sollevata in riferimento all'art. 68, primo comma, della Cost.


Massime


In riferimento alla diffamazione a mezzo stampa, a norma dell'art. 12 della legge n. 47 del 1948 la persona offesa dal reato può richiedere, oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 185 del cod. pen., comprensivo sia del danno patrimoniale che del danno non patrimoniale, una somma a titolo di riparazione che non rientra nel risarcimento del danno nè costituisce una duplicazione delle voci di danno risarcibile, ma integra una ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata prevista per legge, che come tale può aggiungersi al risarcimento del danno autonomamente liquidato in favore del danneggiato. (Rigetta, App. Firenze, 9 Ottobre 2002).  (Cassazione civile, Sez. III, Sent. n. 14761 del 26-06-2007).


 


È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 della legge sulla stampa n. 47 del 1948 (che prevede in aggiunta all'obbligo del risarcimento del danno, una riparazione pecuniaria), in relazione all'art. 3 della Costituzione, perché il trattamento più severo riservato dal legislatore alla diffamazione a mezzo stampa, rispetto ad altra ipotesi criminosa, compresa la diffamazione commessa con altri mezzi, si giustifica per le peculiarità delle caratteristiche della diffamazione, quando avvenga col mezzo della stampa. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 6792 del 09-07-1982).


 


Non è applicabile al direttore del giornale, resosi responsabile del delitto di omesso controllo, di cui all'art. 57 c.p., l'istituto della riparazione pecuniaria, previsto dall'art. 12 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, che consente alla persona offesa di richiedere, oltre al risarcimento dei danni, ai sensi dell'art. 185 c.p., la corresponsione di somma di denaro in relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato, atteso che il citato art. 12 opera esclusivamente con riguardo all'ipotesi delittuosa della diffamazione a mezzo stampa. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 1188 del 14-01-2002).


CONTRARIA:


In tema di diffamazione col mezzo della mezzo stampa, la persona offesa può richiedere anche al direttore del giornale, ritenuto responsabile del delitto di omesso controllo ai sensi dell'art. 57 c.p., la riparazione pecuniaria di cui all'art. 12 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, che prevede il versamento di una somma, determinata in relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato, atteso che a detta riparazione è tenuto, non solo l'autore dello scritto diffamatorio, ma chiunque abbia contribuito a cagionare l'evento tipico del reato, sia in concorso, sia per aver omesso di impedire l'evento stesso, essendo a tanto giuridicamente obbligato.  (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 15114 del 22-04-2002).


 


La riparazione pecuniaria prevista dall'art. 12 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, è una sanzione civilistica. (Nell'affermare tale principio, la S.C. ne ha escluso l'amnistiabilità prospettata sul rilievo che essa sarebbe rientrata tra le pene accessorie).  (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 12890 del 25-09-1989).


 


Ai fini della determinazione della somma liquidata a titolo di riparazione pecuniaria alla persona offesa dal reato di diffamazione commesso col mezzo della stampa, il parametro della diffusione dello stampato attiene non al numero delle copie vendute nel giorno in cui è stato commesso il fatto, ma alla diffusione in linea generale del periodico sul piano nazionale o anche su quello locale; ciò che rileva, infatti, è la possibilità di una notevole propalazione della notizia e non la concreta conoscenza che possa, in una determinata circostanza, averne avuto un numero più o meno grande di persone.  (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 2657 del 19-03-1993 (cc. del 27-01-1993).


 


In tema di riparazione pecuniaria, disposta, quale sanzione civilistica accessoria alla condanna per il reato di diffamazione commessa col mezzo della stampa, dall'art. 12 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, tale norma devolve al giudice, su richiesta della parte interessata, il compito di stabilire la somma da liquidare alla persona offesa, in via equitativa e secondo i parametri valutativi della gravità dell'offesa e della diffusione degli stampati. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 2435 del 15-03-1993)


 


La riparazione pecuniaria prevista dall'art. 12 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, sulla stampa, è una sanzione di natura civilistica, anche se conseguente al solo reato di diffamazione a mezzo stampa, che può essere chiesta anche al giudice civile qualora il soggetto leso intenda, non presentando querela, adire detto giudice, previo, in tal caso, accertamento incidentale degli elementi costitutivi del reato. Tale facoltà non sussiste, invece, qualora la persona offesa siasi costituita parte civile nel processo penale e non abbia chiesto la riparazione pecuniaria in tale sede, a meno che la richiesta sia divenuta ammissibile solo a seguito del giudizio di Cassazione in cui il fatto sia stato qualificato, per la prima volta, come diffamazione. 8Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 2817 del 11-04-1986; CONFORME:  Sez. V, sent. n. 5250 del 15/05/1991).


 


13. Pene per la diffamazione.


Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000 (14) (15).


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(14)  La misura della multa è stata così elevata dall'art. 113, secondo comma, L. 24 novembre 1981, n. 689. Per effetto dell'art. 24 c.p. l'entità della sanzione non può essere inferiore a lire 10.000. La sanzione è esclusa dalla depenalizzazione in virtù dell'art. 32, secondo comma, della citata L. 24 novembre 1981, n. 689.


(15)  Vedi, anche, art. 595 c.p. 1930.


Massime


Il reato di diffamazione è costituito dall'offesa alla reputazione di una persona determinata e non può essere, quindi, ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria anche limitata se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili. (Nel caso di specie, la Corte ha escluso la sussistenza del delitto di diffamazione a mezzo stampa in un articolo apparso su un quotidiano in cui si parlava di "insabbiamento" di un'indagine giudiziaria senza fare però specifico riferimento a singoli magistrati).  (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 10307 del 15-11-1993).


 


Integra il delitto di diffamazione con il mezzo della stampa la condotta del cronista che, nel dare notizia di un'operazione di Polizia giudiziaria, riporti solo una delle ipotesi investigative illustrate dagli inquirenti nel corso di conferenza stampa appositamente indetta. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 43450 del 03-12-2001).


Non commette il delitto di diffamazione a mezzo stampa per una lettera pubblicata su un giornale, contenente offese e accuse penalmente rilevanti ad alcuni amministratori comunali, il giornalista che ricevuta la missiva, apparentemente firmata e a lui non diretta, si sia limitato a "girarla" alla redazione della sua testata giornalistica, in quanto la decisione della pubblicazione non rientra tra i suoi compiti, ma nei poteri dei responsabili del quotidiano. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 46226 del 02-12-2003).


 


In tema di esimente della provocazione nel delitto di diffamazione, il concetto di immediatezza, espresso dall'art. 599, secondo comma, cod. pen., con la locuzione avverbiale "subito dopo", pur nella elasticità con cui dev'essere interpretato in relazione a ciascuna fattispecie, non può comunque trascurare la valenza probatoria del nesso eziologico tra fatto ingiusto e stato d'ira. Conseguentemente, il decorso di un considerevole lasso di tempo assume rilevanza al fine di escludere tale rapporto causale, e di riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l'odio o il rancore a lungo covato. (Fattispecie di diffamazione a mezzo stampa, ove l'esimente è stata esclusa, poiché le pubblicazioni diffamatorie erano successive di "almeno un anno"). (Sez. V, sent. n. 6116 del 18-06-1996).


 


Ai fini della configurabilità dell'esimente di cui all'art. 51 cod. pen. per il reato di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di cronaca (e di critica), come ogni diritto, si definisce per mezzo dei suoi stessi limiti, che consentono di precisarne il contenuto e di determinarne l'ambito di esercizio. Tali limiti, secondo il costante insegnamento di questa Corte, sono costituiti: 1) dalla verità del fatto narrato; 2) dalla loro pertinenza, ossia dall'oggettivo interesse che essi fatti rivestono per l'opinione pubblica; 3) dalla correttezza con cui gli stessi vengono riferiti (cosiddetta continenza); essendo estranei all'interesse sociale che giustifica la discriminante in parola ogni inutile eccesso e ogni aggressione dell'interesse morale della persona. In ordine al primo requisito, va osservato che, prescindendo da ogni controversa opinione filosofica sull'argomento, per "verità", ai fini che qui interessano, deve intendersi la sostanziale corrispondenza ("adaequatio") tra i fatti come sono accaduti ("res gestae") e i fatti come sono narrati ("historia rerum gestarum"). Solo la verità come correlazione rigorosa tra il fatto e la notizia soddisfa alle esigenze dell'informazione e riporta l'azione nel campo dell'operatività dell'art. 51 cod. pen., rendendo non punibile (nel concorso dei requisiti della pertinenza e della continenza) eventuale lesione della reputazione altrui. Il principio della verità, quale presupposto dell'esistenza stessa del diritto di cronaca oltreché del suo legittimo esercizio, comporta, come suo inevitabile corollario, l'obbligo del giornalista non solo di controllare l'attendibilità della fonte, ma altresì di accertare le verità della notizia, talché solo se tale obbligo sia stato scrupolosamente adempiuto l'esimente dell'art. 51 cod. pen. potrà essere utilmente invocata. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 7632 del 06-07-1992).


 


Il diritto di cronaca e di critica giornalistica, che rientra fra i diritti pubblici soggettivi inerenti alla libertà di pensiero e di stampa, riconosciuti dall'art. 21 Cost., può essere esercitato a condizione che siano rispettati il limite della verità, che richiede almeno un serio accertamento, e il limite della continenza, il quale postula che la cronaca non vada al di là di quanto è strettamente necessario per l'appagamento del pubblico interesse all'informazione e che la critica non trasmodi in attacco personale consapevolmente lesivo della sfera privata altrui, senza alcuna finalità di pubblico interesse.  (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 5385 del 01-06-1981).


 


In tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto all'esercizio di cronaca e di critica all'opera altrui deve ritenersi superato quando l'agente trascenda ad attacchi personali diretti a colpire su un piano individuale la figura morale del soggetto criticato, dato che in tale ipotesi, l'esercizio del diritto non rimane nell'ambito di una seria esposizione oggettiva dei fatti e di una critica misurata, ma trascende nel campo dell'aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 10881 del 16-12-1983).


 


In tema di diffamazione a mezzo della stampa, la causa di giustificazione di cui all'art. 51 del cod. pen. si configura solo se i fatti divulgati siano veri o seriamente accertati, e se, inoltre, l'interesse pubblico all'informazione sia appagato in termini di adeguatezza. Nondimeno, come non inducono il superamento del limite della verità piccole inesattezze, che incidono su semplici modalità del fatto narrato senza modificarne la struttura essenziale, così anche l'altro requisito va inteso in senso relativo, potendo nei singoli casi risultare adeguati anche coloriture e toni aspri o polemici. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 1419 del 11-02-1985).


 


Non è configurabile il reato di diffamazione a mezzo stampa, quando la narrazione riferisca fatti privati che, per le modalità che li circostanziano, le cause che li determinano ed i fini che li ispirano, possono interessare la collettività e concorrere a creare o completare l'informazione, nonché ad orientare correttamente la pubblica opinione. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 4563 del 10-05-1985).


 


L'ipotesi di cui all'art. 13 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 (disposizioni sulla stampa), non costituisce un'autonoma ipotesi di reato, ma una circostanza aggravante complessa del reato di cui all'art. 595 cod. pen., in quanto si limita a stabilire una pena più grave per il concorso di aggravanti già contemplate nello stesso art. 595, rispettivamente al secondo e terzo comma. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 312 del 15-01-1990).


 


In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'attribuzione di un fatto determinato costituisce circostanza aggravante complessa del reato di cui all'art. 595 cod. pen. ed è pertanto suscettibile di comparazione ex art. 69 cod. pen. con eventuali attenuanti. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 2785 del 02-03-1990).


 


In tema di diffamazione a mezzo stampa, deve essere considerato "fatto determinato" soltanto quello concretamente individuabile attraverso l'indicazione di particolari circostanze, necessarie per specificare l'azione disonorevole che si attribuisce ad un soggetto. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 5258 del 28-05-1985).


 


In materia di diffamazione a mezzo stampa il danno morale, non essendo di natura economica ma consistendo in un turbamento psichico, non è suscettivo di una valutazione meramente aritmetica talché la sua commisurazione in denaro necessariamente deve sopportare un apprezzamento soggettivo. La determinazione della somma a titolo di provvisionale, se pure nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova, è riservata al giudice di merito che in proposito non ha alcun obbligo di espressa motivazione. (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 2113 del 06-03-1997).


 


14. Pubblicazioni destinate all'infanzia o all'adolescenza.


Le disposizioni dell'art. 528 del Codice penale si applicano anche alle pubblicazioni destinate ai fanciulli ed agli adolescenti, quando, per la sensibilità e impressionabilità ad essi proprie, siano comunque idonee a offendere il loro sentimento morale od a costituire per essi incitamento alla corruzione, al delitto o al suicidio. Le pene in tali casi sono aumentate.


Le medesime disposizioni si applicano a quei giornali e periodici destinati all'infanzia, nei quali la descrizione o l'illustrazione di vicende poliziesche e di avventure sia fatta, sistematicamente o ripetutamente, in modo da favorire il disfrenarsi di istinti di violenza e di indisciplina sociale (16).


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(16)  Vedi la L. 17 giugno 1975, n. 355.


Massima


L'elemento materiale del reato di pubblicazioni destinate a fanciulli e adolescenti idonee a costituire per essi incitamento al delitto, previsto dall'art. 14 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, consiste nel far circolare tra i soggetti tutelati dalla norma stampati oggettivamente a ciò idonei. Tale idoneità deve pertanto essere valutata, indipendentemente da qualsiasi evento di specifico incitamento al delitto, non con riferimento alle persone che in concreto abbiano ricevuto la pubblicazione, ma, in via oggettiva e astratta, tenendo conto della sensibilità e impressionabilità dei ragazzi di quell'età e della loro maturità psichica e morale. (Cassazione penale, Sez. III, sent. n. 12800 del 03-12-1980).


 


15. Pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante.


Le disposizioni dell'art. 528 del Codice penale si applicano anche nel caso di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o l'ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti (17) (18).


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(17)  Vedi la L. 17 giugno 1975, n. 355.


(18)  La Corte costituzionale, con sentenza 11-17 luglio 2000, n. 293 (Gazz. Uff. 26 luglio 2000, n. 31, serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, sollevata in riferimento agli artt. 3, 21, sesto comma, e 25 della Costituzione. La stessa Corte costituzionale, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla stessa questione senza addurre nuovi profili, con ordinanza 27 marzo-5 aprile 2002, n. 92 (Gazz. Uff. 10 aprile 2002, n. 15, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità dello stesso art. 15 sollevata in riferimento agli artt. 21, sesto comma, e 25, secondo comma, della Costituzione. Si legge nella sentenza 293/2000: “Il divieto di pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante non contrasta con la Costituzione perché è diretto a tutelare la dignità umana”.


Massima


Nel reato previsto e punito dall'art. 15 della legge n. 47 del 1948 non ha efficacia esclusiva del dolo né la finalità, o motivazione, della pubblicazione né il dissenso, pur dichiarato contestualmente alla pubblicazione stessa. (Nella specie, trattavasi di foto dell'onorevole Moro, nudo allo obitorio, accompagnate da un articolo di commento contro la strage, nel quale venivano evidenziate le finalità di carattere storico della pubblicazione). (Cassazione penale, Sez. III, sent. n. 8868 del 09-10-1982).


 


Sentenza della Cassazione (sezione terza penale) n. 23356 dell’8 giugno 2001: “La pubblicazione di fotografie del cadavere della vittima di un omicidio può costituire reato se le immagini sono caratterizzate da particolari impressionanti e raccapriccianti, lesivi della dignità umana”.


 


Immagini raccapriccianti e cronaca bellica (guerra civile in Liberia): il tribunale di Roma (IX sezione penale) assolve  (con sentenza 25 novembre 2003) direttore e inviato speciale di Tmc  “per l’intrinseco  valore informativo delle immagini  pur ponendosi, per le scene di violenza documentate, ai confini del limite massimo oltre il quale l’attività di informazione travalica l’indispensabile tutela, anche costituzionale, della dignità delle persone e, conseguentemente, il fatto così come contestato non sussiste”.


 


16. Stampa clandestina.


Chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale o altro periodico senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta dall'art. 5, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire 500.000 (19).


La stessa pena si applica a chiunque pubblica uno stampato non periodico, dal quale non risulti il nome dell'editore né quello dello stampatore o nel quale questi siano indicati in modo non conforme al vero.


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(19)  La misura della multa è stata così elevata dall'art. 113, secondo comma, L. 24 novembre 1981, n. 689. Per effetto dell'art. 24 c.p. l'entità della sanzione non può essere inferiore a lire 10.000. La sanzione è esclusa dalla depenalizzazione in virtù dell'art. 32, secondo comma, della citata L. 24 novembre 1981, n. 689.


Massime


In tema di stampa non periodica, l'obbligo di indicare nello stampato il nome dello stampatore, imposto dall'art. 16 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, non necessariamente comporta quello dell'indicazione del nome di una persona fisica, almeno nel caso in cui stampatore sia una persona giuridica o anche un'associazione di fatto, essendo sufficiente un'indicazione idonea alla sicura identificazione dell'ente che renda possibile la individuazione della persona fisica di questo responsabile, e responsabile, quindi, del contenuto della pubblicazione, attraverso le norme che regolano l'istituto della rappresentanza dell'ente stesso. Nel caso, però, in cui l'ente non esista come persona giuridica, difettando una sua regolare costituzione ed essendo privo di un rappresentante che, verso l'esterno, lo impersonifichi e al quale, all'interno di esso, facciano carico i precetti legislativi e le responsabilità conseguenti alle loro violazioni, occorre allora necessariamente la indicazione sullo stampato del nominativo di chi di esso abbia assunto l'iniziativa o in ogni caso di esso si assuma la responsabilità, non potendo accedersi alla tesi che la responsabilità di stampati che si assumono provenienti da associazioni di fatto debba far carico su tutte le persone che dell'associazione facciano parte, contrastando tale assunto, in modo assolutamente inconciliabile, con il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale, ed essendo altresì irrilevante anche il fatto che la persona cui debba farsi risalire lo stampato sia identificabile dall'autorità di Polizia attraverso indagini sia pure non complesse, giacché l'individuazione di detta persona deve invece risultare con immediatezza della stessa pubblicazione.  (Cassazione penale, Sez. I, sent. n. 16022 del 17-11-1989).  


 


Ai fini dell'applicazione dell'art. 16 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 (disposizioni sulla stampa), rientrano nella nozione di stampati non periodici i foglietti contenenti la riproduzione, con mezzi meccanici, di una pluralità di esemplari, dello stesso tenore, con destinazione ad un numero indeterminato di persone; soltanto per tali stampati non periodici è richiesto che sugli stessi risulti il nome dell'editore o dello stampatore. Non è pertanto stampato, nel senso indicato, un manifesto affisso che sia scritto a mano, e non con mezzo meccanico, ed in unico esemplare.  (Cassazione penale, Sez. III, sent. n. 892 del 01-02-1983).


 


In tema di stampa non periodica, è configurabile il reato previsto dall'art. 16, comma secondo, della legge 8 febbraio 1948 n. 47, quando il nome dello stampatore e dell'editore sia stato omesso o indicato in modo non conforme al vero. All'uopo è irrilevante che le predette persone siano identificabili dall'autorità di Polizia attraverso indagini, sia pure non complesse, poiché detta individuazione deve risultare con immediatezza dalla stessa pubblicazione. (Sez. III, sent. n. 12634 del 12-11-1986).


 


L'affissione di manifesti privi di tutte le indicazioni prescritte dalla legge, e quindi anche del nome e del domicilio dello stampatore, integra la contravvenzione di cui all'art. 663-bis cod. pen. e non quella di cui agli artt. 16 e 17 della legge 8 febbraio 1948 n. 47. (Cassazione penale, Sez. VI, sent. n. 856 del 28-01-1978).


 


La divulgazione di stampati privi del nome del solo stampatore non integra né il delitto previsto dall'art. 16 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, né la contravvenzione prevista dall'art. 663-bis cod. pen.  (Cassazione penale, Sez. I, sent. n. 10779 del 24-11-1993).


 


Non  si  configura il reato di divulgazione di stampa clandestina nel caso  di  affissione di un manifesto che, pur mancando di indicazioni circa  il  luogo  di stampa, consenta facilmente di evincere, dal suo contesto,  anche  in  via indiretta, le indicazioni che permettono di risalire  ai  soggetti  responsabili della stampa (nella specie, tali indicazioni  erano ricavabili dal riferimento al settimanale , regolarmente pubblicato e, quindi, noto da tempo). (Pret. Sestri Ponente, 3 dicembre 1988; Riviste: Foro It., 1990, II, 154; Rif. ai codici CP art. 663B; Rif. legislativi L 8 febbraio 1948 n. 47, art. 16).


 


17. Omissione delle indicazioni obbligatorie sugli stampati.


Salvo quanto è disposto dall'articolo precedente, qualunque altra omissione o inesattezza nelle indicazioni prescritte dall'articolo 2 o la violazione dell'ultimo comma dello stesso articolo è punita con la sanzione amministrativa sino a lire 100.000 (20).


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(20)  La sanzione originaria dell'ammenda è stata sostituita, da ultimo, con la sanzione amministrativa dall'art. 32, L. 24 novembre 1981, n. 689. L'importo della sanzione è stato così elevato dall'art. 114, primo comma, della citata L. 24 novembre 1981, n. 689, in relazione all'art. 113, secondo comma, della stessa legge. Per effetto dell'art. 26 c.p. l'entità della sanzione non può essere inferiore a lire 4.000.


 


18. Violazione degli obblighi stabiliti dall'articolo 6.


Chi non effettua la dichiarazione di mutamento nel termine indicato nell'art. 6, o continua la pubblicazione di un giornale o altro periodico dopo che sia stata rifiutata l'annotazione del mutamento, è punito con la sanzione amministrativa fino a lire 250.000 (21).


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(21)  La sanzione originaria dell'ammenda è stata sostituita, da ultimo, con la sanzione amministrativa dall'art. 32, L. 24 novembre 1981, n. 689. L'importo della sanzione è stato così elevato dall'art. 114, primo comma, della citata L. 24 novembre 1981, n. 689, in relazione all'art. 113, secondo comma, della stessa legge. Per effetto dell'art. 26 c.p. l'entità della sanzione non può essere inferiore a lire 4.000.


 


19. False dichiarazioni nella registrazione di periodici.


Chi nelle dichiarazioni prescritte dagli artt. 5 e 6 espone dati non conformi al vero è punito a norma del primo comma dell'art. 483 del Codice penale.


 


20. Asportazione, distruzione o deterioramento di stampati.


Chiunque asporta, distrugge o deteriora stampati per i quali siano state osservate le prescrizioni di legge, allo scopo di impedirne la vendita, distribuzione o diffusione, è punito, se il fatto non costituisce reato più grave, con la reclusione da sei mesi a tre anni.


Con la stessa pena è punito chiunque con violenza o minaccia impedisce la stampa, pubblicazione o diffusione dei periodici, per i quali siano state osservate le prescrizioni di legge.


La pena è aumentata se il fatto è commesso da più persone riunite o in luogo pubblico, ovvero presso tipografie, edicole, agenzie o altri locali destinati a pubblica vendita.


Per i reati suddetti si procede per direttissima (22).


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(22)  Vedi, anche, l'art. 8, L. 4 aprile 1956, n. 212.


 


21. Competenza e forme del giudizio.


La cognizione dei reati commessi col mezzo della stampa appartiene al tribunale, salvo che non sia competente la Corte di assise.


Non è consentita la rimessione del procedimento al pretore.


Al giudizio si procede col rito direttissimo.


È fatto obbligo al giudice di emettere in ogni caso la sentenza nel termine massimo di un mese dalla data di presentazione della querela o della denuncia.


La competenza per i giudizi conseguenti alle violazioni delle norme in tema di rettifica, di cui all'articolo 8 della presente legge, appartiene al pretore (23).


Al giudizio si procede con il rito direttissimo (24).


È fatto obbligo:


a) al pretore di depositare in ogni caso la sentenza entro sessanta giorni dalla presentazione della denuncia;


b) al giudice di appello di depositare la sentenza entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la presentazione dei motivi di appello;


c) alla Corte di cassazione di depositare la sentenza entro sessanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione dei motivi del ricorso (25).


I processi di cui al presente articolo sono trattati anche nel periodo feriale previsto dall'articolo 91 dell'ordinamento giudiziario approvato con R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (26).


La colpevole inosservanza dell'obbligo previsto nel settimo comma costituisce infrazione disciplinare (27).


In ogni caso, il richiedente la rettifica può rivolgersi al pretore affinché, in via d'urgenza, anche ai sensi degli articoli 232 e 219 del codice di procedura penale, ordini al direttore la immediata pubblicazione o la trasmissione delle risposte, rettifiche o dichiarazioni (28).


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(23)  Comma aggiunto dall'art. 43, L. 5 agosto 1981, n. 416.


(24)  Comma aggiunto dall'art. 43, L. 5 agosto 1981, n. 416.


(25)  Comma aggiunto dall'art. 43, L. 5 agosto 1981, n. 416.


(26)  Comma aggiunto dall'art. 43, L. 5 agosto 1981, n. 416.


(27)  Comma aggiunto dall'art. 43, L. 5 agosto 1981, n. 416.


(28)  Comma aggiunto dall'art. 43, L. 5 agosto 1981, n. 416.


 


Massime


In tema di risarcimento di danno extracontrattuale, per lesione del diritto all'immagine conseguente alla pubblicazione di una fotografia su stampa periodica, territorialmente competente a decidere la causa a norma dell'art. 20 cod. proc. civ. è, alternativamente, il giudice del luogo ove il quotidiano è stampato e dove la notizia diviene per la prima volta pubblica e perciò idonea a pregiudicare l'altrui diritto ("forum commissi delicti"), ovvero il giudice del luogo ove il danneggiante ha la residenza o il domicilio ("forum destinatae solutionis"), essendo l'obbligazione da fatto illecito un debito di valore il cui adempimento va effettuato al domicilio che il debitore aveva al tempo della scadenza (nella specie, si trattava della domanda di risarcimento del danno proposta da un noto attore cinematografico nei confronti di una casa produttrice di calzature, che aveva utilizzato la sua immagine per una campagna pubblicitaria su quotidiani a diffusione nazionale). (Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 7037 del 28-07-1997).


 


La pubblicità sanitaria abusiva eseguita "a mezzo stampa" costituisce reato commesso col mezzo della stampa e, in quanto tale, rientra nella competenza per materia del tribunale. (Cassazione penale, Sez. U., sent. n. 26 del 27-11-1984),


 


Rientra nella categoria dei reati commessi con il mezzo della stampa l'affissione ed esposizione in luogo pubblico di manifesti contrari al pudore o alla pubblica decenza, in quanto la stampa in essi costituisce lo strumento attraverso il quale si concreta l'azione antigiuridica. (Applicazione del principio in tema di competenza per materia). (Cassazione penale, Sez. III, sent. n. 23 del 03-01-1986).


 


22. Periodici già autorizzati.


Per i giornali e gli altri periodici autorizzati ai sensi delle leggi precedenti, la registrazione prescritta dall'articolo 5 deve essere effettuata nel termine di quattro mesi dall'entrata in vigore della presente legge.


 


23. Abrogazioni.


Sono abrogati il regio decreto-legge 14 gennaio 1944, n. 13, e ogni altra disposizione contraria o incompatibile con quelle della presente legge.


 


24. Norme di attuazione.


Il Governo emanerà le norme per l'attuazione della presente legge (29).


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(29)  Tali norme non sono state mai emanate.


 


25. Entrata in vigore della legge.


La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.





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