9.3.2015 - Nella causa sul poligono di Salto di Quirra il giudice ha applicato il 3° comma dell’art. 96 C.p.c. finora inapplicato. Come ha quantificato l’indennizzo. Non conosco il giudice Anna Cattaneo del Tribunale Civile di Milano, ma voglio idealmente stringerle la mano e ringraziarla a nome di tutti i giornalisti che subiscono cause pretestuose per diffamazione, e a nome dei cittadini ai quali si nega il diritto di conoscere informazioni di grande interesse pubblico abusando platealmente del diritto di difendere la propria reputazione.
Il 28 febbraio il giudice Cattaneo ha emesso una sentenza esemplare: ha prosciolto il giornalista Paolo Carta dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa riconoscendo l’assoluta correttezza del suo operato e, contestualmente, ha condannato il Gruppo Internazionale SGS, che gli aveva ingiustamente chiesto un risarcimento di 500mila euro, a versargli un indennizzo di 18mila euro.
Per imporre questo indennizzo il giudice ha applicato il terzo comma dell’articolo 96 del codice di procedura civile, un codicillo dormiente fin dal 2009, inapplicato fin da quando fu introdotto, in recepimento di una normativa comunitaria che intende reprimere e scoraggiare i comportamenti di chi si rivolge alla giustizia per chiedere la riparazione di un torto pur sapendo di non averlo subito. Finalmente, di fronte all’abuso sempre più frequente delle cause civili per diffamazione a mezzo stampa, che nel nostro paese sono una vera piaga, un giudice italiano ha avuto il coraggio di applicare questa norma.
Non è un caso che sia stato un giudice del Tribunale Civile di Milano a superare le esitazioni, a sciogliere il nodo gordiano. Questo Tribunale studia da tempo il modo di applicare la norma risolvendo il problemino che finora l’ha resa di difficile attuazione: la mancanza nel testo del codice dei parametri con i quali determinare l’entità dell’indennizzo da assegnare in via equitativa. Questo è il problema, il 9 aprile 2011, al Circolo della Stampa di Milano nel corso di un convegno organizzato con la collaborazione dell’osservatorio Ossigeno per l’Informazione e di Stampa Democratica, il giudice Roberto Bichi, presidente della prima sezione del Tribunale Civile di Milano, quella che si occupa di citazioni per danni.
Dunque già quattro anni fa i giudici di Milano studiavamo il modo di risolvere il problema, di trovare parametri tali da rendere l’indennizzo una norma deterrente efficace e allo stesso tempo non troppo onerosa. Nella sentenza del 28 febbraio il parametro è stato fissato nel doppio dell’importo delle spese legali sostenute dal convenuto e addebitate all’attore della causa.
Si può discutere dell’efficacia deterrente e dell’effetto equitativo di siffatta parametrazione, e sarà bene farlo. Ma è fuor di dubbio che la sentenza di Milano, per il fatto stesso che ha trovato il modo di applicare concretamente una norma ritenuta inapplicabile, il terzo comma dell’articolo 96 del c.p.c., avrà un effetto che andrà al di là del caso concreto.
La sentenza dimostra che contro le cause temerarie esistono strumenti giuridici utilizzabili e, io credo, farà scoprire che nei nostri codici ci sono deterrenti applicabili anche contro le querele pretestuose. Si troveranno se solo si vorrà riflettere sul vero significato del termine ‘querela temeraria’ e sulle circostanze che permettono di perseguire per calunnia chi accusa falsamente di aver commesso il reato di diffamazione a mezzo stampa. Su queste questioni si riflette da tempo girando intorno al problema e aspetti vergognosi, come diceva il non dimenticato avvocato Oreste Flammini Minuto. È importante che si riattivino queste riflessioni mentre il Parlamento discute (ormai da tre anni) senza giungere a conclusioni concrete sul modo di rendere meno punitiva per i giornalisti la normativa sulla diffamazione a mezzo stampa.
Ci sono altri aspetti interessanti nella sentenza sul caso dell’Unione Sarda. Mi auguro che siano i giuristi a sottolinearli.
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La Segreteria di Ossigeno per l'Informazione
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