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EQUO COMPENSO, il Tar Lazio annulla totalmente la delibera 19 giugno 2014 della Commissione di Palazzo Chigi (delibera ora da riesaminare e da riapprovare “tempestivamente”): “La delibera introduce parametri di 'equo compenso' non proporzionati alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, e del tutto insufficienti a garantire un'esistenza libera e dignitosa al giornalista autonomo”. Vittoria napoleonica dell’Ordine nazionale dei giornalisti contro Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico, nonché Fieg, Fnsi e Inpgi. La sentenza riconosce il ruolo dell’Ordine, che tutela la “dignità” dei propri iscritti (ex sentenza 11/1968 della Consulta). “(La delibera realizza) una “indebita restrizione del campo applicativo rispetto alla chiara indicazione della legge ("giornalisti iscritti all'albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato ...")”. La legge sull’equo compenso include “sia il lavoro autonomo libero professionale sia il lavoro autonomo coordinato e continuativo”. “Il 19 giugno 2014 (giorno della firma della libera oggi annullata, ndr) è stato un giorno di vergogna per il sindacato, il 7 aprile 2015 (giorno del deposito della sentenza, ndr) riapre la speranza in quanti vengono trattati da anni come schiavi” ha commentato Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti.


Roma, 8 aprile 2015. Il Tar Lazio, con una sentenza  ampiamente motivata (riportata integralmente qui sotto), ha annullato totalmnte la deliberazione 19 giugno 2014 della Commissione per la valutazione dell'equo compenso nel lavoro giornalistico istituita presso Palazzo Chigi ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 233/2012 “per promuovere l'equità retributiva dei giornalisti iscritti all'albo, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e di periodici, anche telematici, delle agenzie di stampa e delle emittenti radiotelevisive”. Contro la deliberazione aveva presentato ricorso (accolto in parte) il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, che ha citato in giudizio la “Presidenza del Consiglio dei Ministri - Commissione Valutazione Equo Compenso nel Lavoro Giornalistico, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Per L'Informazione e L'Editoria, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dello Sviluppo Economico, nonché Fieg, Fnsi e Inpgi. Il Tribunale amministrativo ha riconosciuto pienamente il ruolo dell’Ordine (confermato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 11/1968) “di salvaguardia, erga omnes e nell'interesse della collettività, della dignità professionale e della libertà di informazione e di critica dei propri iscritti, principi che si traducono, in primo luogo, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla”. “La delibera – si legge nella sentenza - introduce parametri di 'equo compenso' non proporzionati alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, e del tutto insufficienti a garantire un'esistenza libera e dignitosa al giornalista autonomo”. “(La delibera realizza) una “indebita restrizione del campo applicativo rispetto alla chiara indicazione della legge ("giornalisti iscritti all'albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato ...")”. La legge sull’equo compenso include “sia il lavoro autonomo libero professionale sia il lavoro autonomo coordinato e continuativo”. Scrive il Tar: “Osserva peraltro il Collegio che la delibera impugnata ha natura ordinamentale e vincolante per la determinazione dei compensi della generalità dei giornalisti privi di un contratto di lavoro dipendente, e lede quindi in via immediata gli interessi del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, sia quale unico componente della Commissione che ha espresso voto contrario all'adozione della delibera, sia per il suo ruolo (confermato dalla stessa Corte costituzionale con sentenza n. 11/1968) di salvaguardia, erga omnes e nell'interesse della collettività, della dignità professionale e della libertà di informazione e di critica dei propri iscritti, principi che si traducono, in primo luogo, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla. In particolare, la determinazione da parte della Commissione di un minimo retributivo determinato contra legem, se non addirittura mancante, appare immediatamente lesiva della dignità professionale dei giornalisti privi di un contratto di lavoro dipendente, che espone al rischio costante di non vedere riconosciuta la propria professionalità”. Questo il commento lapidario di Enzo Iacopino presidente dell’Ordine nazionale di giornalisti: “Il 19 giugno 2014 è stato un giorno di vergogna per il sindacato, il 7 aprile 2015 (giorno del deposito della sentenza, ndr) riapre la speranza in quanti vengono trattati da anni come schiavi”. Per l'Ordine è indubbiamente, sotto molteplici profili, una vittoria napoleonica contro il Governo e le altre istituioni della professione giornalistica. Qui sotto il testo integrale della sentenza:


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N. 05054/2015 REG.PROV.COLL. - N. 11219/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) ha pronunciato la presente  SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 11219 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:  



Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Crisostomo Sciacca, Piero D'Amelio, con domicilio eletto presso Associati D'Amelio Sciacca in Roma, Via di Porta Pinciana, 6;



contro



Presidenza del Consiglio dei Ministri - Commissione Valutazione Equo Compenso Nel Lavoro Giornalistico, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Per L'Informazione e L'Editoria, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dello Sviluppo Economico, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;



nei confronti di



Federazione Italiana Editori Giornali Fieg, Federazione Nazionale Stampa Italiana Fnsi, Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani Giovanni Amendola Inpgi;



per l'annullamento della deliberazione in data 19 giugno 2014 della Commissione per la valutazione dell'equo compenso nel lavoro giornalistico istituita ai sensi dell'art. 2 della L. n. 233/2012 per promuovere l'equità retributiva dei giornalisti iscritti all'albo, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e di periodici, anche telematici, delle agenzie di stampa e delle emittenti televisive;



Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;



Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri - Commissione Valutazione Equo Compenso nel Lavoro Giornalistico e di Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Per L'Informazione e L'Editoria e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e di Ministero dello Sviluppo Economico;



Viste le memorie difensive;



Visti tutti gli atti della causa;



Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2015 il dott. Raffaello Sestini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;



Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO



1- Il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti con il ricorso in epigrafe chiede l'annullamento, previa adozione di idonee misure cautelari, della deliberazione in data 19 giugno 2014 della Commissione per la valutazione dell'equo compenso nel lavoro giornalistico, istituita ai sensi dell'art. 2 della legge n. 233 del 2012, nonché di tutti gli atti ad essa presupposti, connessi e consequenziali, ed in particolare della deliberazione in data 29 gennaio 2014 della medesima Commissione.



2 – Vengono dedotti i seguenti motivi di ricorso:



1) Violazione dell'articolo 1 della legge n. 233 del 2012 e dell'articolo 12 delle ”preleggi” ed eccesso di potere per illogicità e difetto di istruttoria, in quanto la Commissione avrebbe illegittimamente circoscritto - rispetto alla portata della legge 233/2012 - l'ambito di applicazione dei destinatari della normativa sull'equo compenso;



2) Violazione dell'articolo 36 della Costituzione e dell'art. 1, comma 2, della legge n. 233 del 2012, difetto di motivazione e contrasto tra premesse e conclusioni, poiché la deliberazione impugnata introdurrebbe dei parametri dell'equo compenso non proporzionati alla quantità e alla qualità del lavoro svolto;



3) Violazione dell'articolo 1 della legge n. 233 del 2012 ed eccesso di potere per illogicità, contrasto tra premesse e conclusioni, difetto di istruttoria, poiché l'allegato della delibera impugnata presenterebbe contenuti difformi rispetto a quelli della tabella approvata dalla Commissione nel corso della riunione del 19 giugno 2014.



3 - Con motivi aggiunti di ricorso viene altresì contestata la non veritiera, erronea e illogica ricostruzione dei fatti contenuta nella nota in data 5 agosto 2014 del Capo del Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri in risposta alla missiva del Consiglio dell'ordine dei Giornalisti in data 7 luglio 2014.



4 – l’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed argomenta l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso. Alla camera di consiglio dell’8 ottobre 2014 la domanda cautelare è stata rinviata al merito. A seguito della pubblica udienza del 28 gennaio 2015 il ricorso è stato infine introitato dal Collegio per la decisione.



5 – la vicenda controversa origina dalla legge 31 dicembre 2012, n. 233, che ha introdotto nel nostro ordinamento il c.d. equo compenso nel settore giornalistico, con la finalità di promuovere, in attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, l'equità retributiva dei giornalisti iscritti all'albo di cui alla legge n. 69 del 1963, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato nei quotidiani, periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive.



L'articolo 2 della citata legge ha previsto l'istituzione, presso il Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della "Commissione per la valutazione dell'equo compenso nel lavoro giornalistico", incaricata di procedere alla determinazione dell'equo compenso. La Commissione, presieduta dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega per l'informazione, la comunicazione e l'editoria e composta da un rappresentante del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, un rappresentante del Ministero dello Sviluppo economico, un rappresentante del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, un rappresentante delle organizzazioni sindacali dei giornalisti comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, un rappresentante delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei committenti comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, un rappresentante dell'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, è stata formalmente istituita con D.P.C.M. del 17 giugno 2013, dovendo (art. 2, comma 3) entro due mesi dal suo insediamento, valutate le prassi retributive dei quotidiani e dei periodici, anche telematici, delle agenzie di stampa e delle emittenti radiotelevisive, per definire l'equo compenso dei giornalisti iscritti all'albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato con quotidiani e con periodici, anche telematici, con agenzie di stampa e con emittenti radiotelevisive, avuto riguardo alla natura e alle caratteristiche della prestazione nonché in coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato.



L'articolo 3 della legge prevede inoltre,, a partire dal 10 gennaio 2013, nell'ipotesi di mancata iscrizione, per un periodo superiore a 6 mesi, nell'elenco dei quotidiani, dei periodici, delle agenzie di stampa e delle emittenti radiotelevisive che garantiscono il rispetto di un equo compenso, la decadenza dal contributo pubblico in favore dell'editoria e da eventuali altri benefici pubblici, fino alla successiva iscrizione.



6 – L’Amministrazione eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire del Consiglio nazione dell'Ordine dei giornalisti, in quanto la delibera impugnata determinerebbe solo i parametri (nella forma di trattamenti economici "minimi" e di trattamenti economi "variabili") per la determinazione dell' "equo compenso" richiedendo, per la sua effettiva operatività, l'adozione di successivi atti applicativi, e non sarebbe immediatamente lesiva della sfera giuridica dei destinatari.



Pertanto non sussisterebbe in capo al ricorrente alcun interesse ad impugnare la deliberazione della Commissione in quanto - stante la sua non immediata operatività - non vi sarebbe alcuna lesione attuale, diretta e concreta nella sfera giuridica della categoria dei giornalisti da esso rappresentata.



7 – Osserva peraltro il Collegio che la delibera impugnata ha natura ordinamentale e vincolante per la determinazione dei compensi della generalità dei giornalisti privi di un contratto di lavoro dipendente, e lede quindi in via immediata gli interessi del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, sia quale unico componente della Commissione che ha espresso voto contrario all'adozione della delibera, sia per il suo ruolo (confermato dalla stessa Corte costituzionale con sentenza n. 11/1968) di salvaguardia, erga omnes e nell'interesse della collettività, della dignità professionale e della libertà di informazione e di critica dei propri iscritti, principi che si traducono, in primo luogo, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla.



In particolare, la determinazione da parte della Commissione di un minimo retributivo determinato contra legem, se non addirittura mancante, appare immediatamente lesiva della dignità professionale dei giornalisti privi di un contratto di lavoro dipendente, che espone al rischio costante di non vedere riconosciuta la propria professionalità.



L’eccezione in esame deve pertanto essere respinta.



8 – Nel merito, con l’impugnata delibera la Commissione ha circoscritto l'ambito di applicazione dei soggetti destinatari, ritenendo che, in mancanza di specifica disciplina contrattuale, per la definizione dell'equo compenso giornalistico possano ritenersi applicabili, analogicamente, i principi e i criteri generali di cui alla disciplina di riforma del mercato del lavoro (legge “Fornero” n. 92 del 2012), ed ha quindi circoscritto i soggetti destinatari della norma ai collaboratori a progetto di cui al D. Lgs. n. 276 del 2003, come riformato dalla L. n. 92 del 2012, con i voti favorevoli di sei dei sette componenti, ovvero con il voto contrario del ricorrente Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti.



Inoltre, sono stati lasciati alla libera contrattazione l’articolazione dello scaglione superiore a 288 articoli , i trattamenti economici variabili dei Quotidiani e la determinazione dei compensi per prestazioni superiori per estensione, complessità e ricerca giornalistica, rispetto ai minimi previsti per i Periodici editi dalle imprese firmatarie del contratto USPI.



9 - Il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti ha quindi proposto ricorso davanti a questo Tribunale Amministrativo, deducendo censure che risultano in parte fondate.



10 - In particolare, risultano fondate le censure di violazione dell'art 1 della legge n. 233 del 2012 e dell'art. 12 delle “preleggi” e di eccesso di potere sotto plurimi profili sintomatici in relazione alla indebita restrizione del campo applicativo rispetto alla chiara indicazione della legge ("giornalisti iscritti all'albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato ..."), secondo tutte le diverse fattispecie previste dall'art. 2222 e ss. cod. civ., nelle varie e possibili tipologie, in accordo con l’interpretazione letterale della univoca norma nonché secondo la ratio legis, in relazione al compito, demandato per legge alla Commissione, di definire "l'equo compenso dei giornalisti iscritti all'albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato", senza possibilità di operare ulteriori distinzioni e/o classificazioni, ma comprendendovi obbligatoriamente sia il lavoro autonomo libero professionale che il lavoro autonomo coordinato e continuativo.



11 – Al riguardo, non appare decisiva neppure l’obiezione della Presidenza del Consiglio, che eccepisce l'inammissibilità del motivo, in quanto il riferimento all'ambito di applicazione della normativa dell'equo compenso risulterebbe contenuto non già nella delibera della Commissione del 19 giugno 2014, oggetto del ricorso, bensì nella precedente deliberazione adottata il 29 gennaio 2014 con il voto favorevole di tutti i suoi componenti, tra i quali anche quello dell'Ordine nazionale dei giornalisti. Infatti, il 29 gennaio 2014 la Commissione ha deliberato interlocutoriamente "che la proposta per la definizione dei parametri di cui al punto 1 sarà sottoposta alla valutazione e approvazione da parte della Commissione", e solo nella successiva seduta del 19 giugno 2014 la Commissione ha approvato in via definitiva "i parametri di determinazione dell'equo compenso contenuti nelle proposte esaminate”.



12 – Parzialmente fondata risulta anche la censura di violazione dell'art. 36 Cost. e dell'art. 1 della L. n. 233 del 2012, di contrasto tra premesse e conclusioni e di difetto di motivazione. Infatti, secondo l'art. 1, Co. 1, della I. n. 233 del 2012 “In attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, la presente legge è finalizzata a promuovere l'equità retributiva dei giornalisti iscritti all'albo [...] titolari di un rapporto di lavoro non subordinato”, imponendo di valorizzare in sede attuativa il diritto ad una retribuzione 'proporzionata alla quantità e alla qualità' del lavoro del giornalista privo di contratto di lavoro subordinato, mentre al contrario la delibera introduce parametri di 'equo compenso' non proporzionati alla quantità e qualità del lavoro svolto, e del tutto insufficienti a garantire un'esistenza libera e dignitosa al giornalista autonomo, in quanto le tabelle riconoscono e legittimano un sistema di lavoro 'a pezzo' o 'a chiamata' che vede aumentare la forza contrattuale degli editori, essendosi in realtà la Commissione limitata a fissare una sorta di "minimo garantito", che peraltro non corrisponde all'equo compenso identificato dall'art. 1, Co. 1, della legge n. 233 in attuazione dell'articolo 36. primo comma, della Costituzione, equo compenso che tuttavia- ritiene necessario precisare il Collegio- neppure può corrispondere alle tariffe del ricorrente ordine, che eliminerebbero ogni margine di contrattazione atto a valorizzare il rapporto di proporzionalità fra quantità e qualità del lavoro specificamente svolto, in contrasto con le indicate finalità della legge, ed in tal senso il motivo di ricorso in esame è solo in parte fondato.



13 – Non risulta viceversa fondata la censura di violazione dell'art. 1, co. 2 e dell'art. 2, co. 3, lett. a) della L. n. 233 del 2012, di contrasto tra premesse e conclusioni e di difetto di motivazione, in quanto la previsione che il compenso dei giornalisti non titolari di un rapporto di lavoro subordinato debba essere determinato anche “in coerenza” con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato introduce, secondo l’interpretazione della lettera e della ratio della legge operata dal Collegio, solo un criterio di larga massima, sindacabile “in negativo” in caso di aperto contrasto ma non “in positivo” al fine di rivendicare una specifica “simmetria” fra situazioni che restano diverse e quindi giuridicamente non comparabili.



14 – Neppure può essere accolta la censura di violazione dell'art. 1 della L. n. 233 del 2012, di eccesso di potere per illogicità, contrasto tra premesse e conclusioni, difetto di istruttoria, relativamente all’affermata difformità dell’allegato dell'impugnata delibera del 19 giugno 2014 rispetto a quello in precedenza approvato, trattandosi di lavori istruttori destinati ad ulteriore revisione nel corso dei lavori della Commissione.



15 - In ogni caso, il Collegio ritiene da potersi astenere dall’ulteriore esame delle connesse censure riguardanti le tabelle allegate alla delibera ed il relativi scaglioni, in quanto l’accoglimento delle pregresse censure nei termini e nei limiti sopra indicati comporta comunque l’annullamento dell’intera delibera impugnata –che costituisce sotto tale profilo un insieme unitario- con il conseguente obbligo per la Commissione di procedere ad una sua tempestiva riapprovazione in senso conforme alla presente sentenza.



16 – Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto nei sensi sopraindicati. La complessità delle questioni giustifica tuttavia la compensazione delle spese di giudizio fra le parti.



P.Q.M.



Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla la delibera impugnata.



Spese compensate.



Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.



Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:



Luigi Tosti, Presidente



Giulia Ferrari, Consigliere



Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore



L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE



DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 07/04/2015



IL SEGRETARIO



(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)



TESTO IN https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=DTBIAPGD4KSSIO6IPSWQMMAXLM&q=EQUO



 



 



 



 



 



 



 



 



 






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