9.5.2015 - Pare che Matteo Orfini abbia avuto modo di dire qualche tempo fa, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni, che nel governo Monti c'era un "discreto numero di pippe". L'intervista che segue è dunque innanzitutto dedicata a lui: gli consigliamo di indirizzarla ai ministri del suo governo e allo stesso Presidente del Consiglio; le ipotesi che si stanno facendo in queste ore per venire incontro a quella sentenza salvando nello stesso tempo vincoli europei, conti pubblici e pareggio di bilancio (e dunque prevedendo che il recupero della mancata perequazione sia al 100 per 100 solo fino a 1500 euro al mese, per poi scendere fino a 0 per le pensioni sopra i 3000 euro) fanno temere che il rischio di avere delle pippe ancora in circolazione sia piuttosto alto.
Cominciamo: da quando è stata prima resa nota e poi pubblicata la sentenza 70/2015 della Corte Costituzionale sulla questione della perequazione dei trattamenti pensionistici quasi nessuno ha ricordato l'origine della vicenda. Nel novembre del 2013 il Tribunale di Palermo dichiarò non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale su quella norma, dando ragione ad una azione promossa da ManagerItalia e Federmanager e rinviando alla Corte Costituzionale la questione. A rappresentare queste associazioni, fino al giudizio espresso dalla Consulta, è stato l'avvocato Riccardo Troiano, dello studio Orrick Herrington e Sutcliffe, insieme alla sua collega Alessia Ciranna.
Gli abbiamo chiesto se un eventuale intervento del governo che differenziasse il livello della perequazione tra i pensionati - mantenendo il blocco della perequazione o limitandolo per alcune categorie di pensionati - si porrebbe in contrasto con la sentenza della Consulta.
"Direi proprio di sì", risponde Troiano. "Si porrebbe in contrasto con i dettami della Costituzione e della Corte Costituzionale, in quanto reitererebbe quelle misure di congelamento della perequazione che erano stati già stigmatizzate in precedenza, anche per livelli molto più alti". Troiano fa riferimento ad una precedente sentenza (la 316) della Consulta, che si era pronunciata nel 2010 sul blocco della perequazione nel 2008 che colpiva le pensioni per un ammontare pari a otto volte il minimo pensionistico. Insomma, parliamo di 4.000 euro mensili lordi: "La Corte si pronunciò su quella misura nel 2010 dichiarando costituzionale quella norma. Ma contestualmente avvertì che quel provvedimento - che pure toccava un solo anno e interveniva su trattamenti pensionistici ben più consistenti di quelli di cui si parla in questi giorni, dunque relativamente più impermeabili all'inflazione - non doveva essere ripetuta. La Consulta insomma aveva avvertito Parlamento e governo di non ripetere simili scelte”.
Se il Governo Monti avesse meglio motivato la decisione e meglio individuato la platea dei trattamenti da colpire il giudizio della Consulta stavolta sarebbe stato diverso?
"Penso proprio di no. Piuttosto vale la pena di ricordare il dibattito parlamentare che precedette il provvedimento di blocco che stiamo commentando e che viene ricordato proprio nella sentenza della Consulta di questi giorni: prima della formulazione che poi divenne legge il governo aveva proposto una misura ancor più severa, colpendo le pensioni pari a due volte il minimo. Poi - grazie al dibattito parlamentare - il livello da cui partire si innalzò a tre volte il minimo. Ricordo che ci fu, dopo il dibattito, anche una interrogazione parlamentare in cui si ricordava proprio quella sentenza del 2010, in cui si invitava il governo a considerare il rischio di una bocciatura da parte della Corte Costituzionale, alla quale il governo non ritenne neppure di rispondere. Era stato avvertito, ma non ritenne di fare nulla, e la bocciatura è puntualmente arrivata".
E dunque, per tornare alle decisioni del governo, è possibile differenziare il livello di recupero della mancata perequazione?
"La sentenza fa salvi tutti - non qualcuno più e qualcuno meno - ma tutti i trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo", risponde Troiano. Che aggiunge: "Chi oggi è chiamato ad adottare misure di contenimento dovrà farlo tenendo ben presente il quadro costituzionale nel quale si va ad intervenire, cercando di non commettere gli stessi errori commessi nel recente passato, errori che poi ricadrebbero sugli anni futuri". – TESTO IN http://argomenti-arguments.blogspot.it/2015/05/pensioni-parla-lavvocato-che-ha-vinto.html
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PENSIONI. BALDASSARRE: IL GOVERNO DEVE RIMBORSARE TUTTI. Quando la classe dirigente è scadente pagano sempre i cittadini. ROMA, 9 maggio 2015. «Sul tempo il governo ha una certa discrezionalità: rimborsando prima alcuni tipi di pensioni o rateizzando il debito. Ma non può sottrarsi all'impegno: le sentenze si eseguono. Anche perchè se i cittadini fanno ricorso, il giudice nel 99,9% dei casi dà loro ragione e l'aggravio sulle finanze aumenta. Può disciplinare la materia per il futuro, ma sugli arretrati i giudici sono stati chiari: il congelamento era illegittimo». A dirlo è Antonio Baldassarre, ex presidente della Consulta, in un'intervista al Qn. «Non si può incolpare la Corte che annulla leggi chiaramente incostituzionali. Una parte della classe politica ha una sorta di fiducia nell'impunità, ma la Carta costituzionale esiste e i giudici devono applicarla», rileva Baldassarre. «Fare riforme a grave rischio di incostituzionalità mette il Paese in difficoltà e, quando c'è una classe dirigente scadente, a pagare sono sempre i cittadini. Anche sulle pensioni c'era forse un modo migliore di agire, magari sentendo qualche esperto in più». (ANSA).
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PENSIONI. ZAGREBELSKY: SERVE UNA , LEGGE PER MEDIARE BILANCI E DIRITTI. L’equilibrio di bilancio non è un lasciapassare all’arbitrio della politica.- ROMA, 9 maggio 2015. «La Corte ha aperto la prospettiva di un risarcimento integrale ma questo non è automatico. Il legislatore, nel rispetto dei diritti essenziali, che riguardano soprattutto gli indigenti, può fare scelte». Lo afferma, in un'intervista a Repubblica, l'ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky, secondo cui «spetta ora al legislatore esplorare le soluzioni per tutelare le fasce sociali più deboli e al contempo evitare il collasso finanziario». «Come opinione privata, mi conforta che dal principio dell'equilibrio di bilancio non si sia dedotto automaticamente un lasciapassare al libero arbitrio della politica nello stabilire a chi farne pagare il prezzo. Il legislatore deve sempre e comunque tenere conto dell'uguaglianza della giustizia, tanto più in quanto siano in questione diritti previsti a salvaguardia dei ceti più deboli», osserva Zagrebelsky. «Nel dibattito politico l'appello ai conti, e ai conti conformi alle richieste dell'Europa e della finanza internazionale, rischiava di diventare la super norma costituzionale». Per Zagrebelsky il seguito della sentenza non è automatico. «La Corte si è limitata a dichiarare incostituzionale la norma della legge Fornero. Ma non ha escluso - nè avrebbe potuto farlo - che interventi diversi sull'adeguamento automatico delle pensioni siano possibili, purchè nel rispetto dei principi di giustizia stabiliti dalla Costituzione», spiega. «Questa potrebbe essere l'occasione per un discorso generale di giustizia nell' ambito dei trattamenti pensionistici delle diverse categorie». (ANSA).