COMMISSIONI RIUNITE BILANCIO E LAVORO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
Roma, mercoledì 20 maggio 2015
Audizione del Prof. Pier Carlo Padoan
Ministro dell’Economia e delle Finanze
sulle iniziative conseguenti alla sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015
Con questa Audizione, il Governo intende informare il Parlamento in merito agli effetti sui conti pubblici derivanti dalla Sentenza n. 70/2015 della Corte Costituzionale, illustrando, al contempo, le misure adottate dal Consiglio dei Ministri ieri, 18 maggio.
Con la Sentenza richiamata, com’è noto, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della misura disposta con il DL n. 201 del 2011, che prevedeva la deindicizzazione, nel biennio 2012-2013, per le pensioni di importo complessivamente superiore a tre volte il trattamento minimo.
La sentenza cancella gli effetti di una norma che bloccava per due anni la rivalutazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il trattamento minimo, ravvisando nella stessa norma profili di incostituzionalità in riferimento ad alcuni specifici aspetti. Come evidenzia la relazione che accompagna il decreto legge, ai sensi dell’art. 10 bis comma 6 della legge 196/2009, si è pertanto reso necessario un intervento normativo che affronti tale questione. Infatti in assenza di un tale intervento, avrebbe trovato applicazione il meccanismo di indicizzazione contemplato dalla legge 388 del 2000, con la conseguente corresponsione degli arretrati relativi al triennio 2012-2014, e con un incremento non sostenibile della spesa per pensioni nel 2015 e negli anni seguenti.
Secondo le regole di contabilità nazionale, che prevedono che gli effetti delle sentenze siano imputati nell'anno in cui la sentenza è emanata, gli oneri sarebbero contabilizzati nell’esercizio in corso, per la parte relativa al pagamento degli arretrati 2012-2014, e nei singoli esercizi di competenza per quella relativa al pagamento delle spese maturate nell’anno 2015 e in ciascuno degli anni successivi.
Nel 2015 la spesa aggiuntiva di competenza ammonterebbe a circa 17,6 miliardi di euro al netto degli effetti fiscali. Mantenendo immutato il quadro macroeconomico tendenziale previsto nel DEF, l’indebitamento netto tendenziale delle amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL salirebbe nell’anno in corso dal 2,5%, previsto nel recente Documento di economia e finanza 2015, al 3,6%.
Il peggioramento sarebbe classificabile in parte come riconducibile a fattori transitori, legati al pagamento degli arretrati, per circa 0,8 punti percentuali, mentre sarebbe considerato permanente la restante parte. Nel 2016, l’indebitamento netto tendenziale passerebbe, in rapporto al PIL, dall’1,4% all’1,7%.
Questi valori non consentirebbero all’Italia di rispettare le regole di bilancio europee. Ne conseguirebbe, con elevata probabilità, l’apertura di una procedura per deficit eccessivo nei confronti del nostro Paese per mancato rispetto sia del criterio del deficit, sia del criterio del debito (non sarebbe infatti possibile conseguire la riduzione richiesta dall’ordinamento comunitario).
L’indebitamento netto strutturale peggiorerebbe leggermente nel 2015; non verrebbe così conseguito il miglioramento concordato in sede europea. Tutto ciò non permetterebbe all’Italia di usufruire della clausola delle riforme richiesta per il 2016 nel Documento di programmazione, e di recente positivamente valutata dalle autorità europee.
Inoltre, i maggiori oneri connessi alla sentenza ridurrebbero significativamente i margini di bilancio e di intervento per i prossimi anni, sia in relazione all’intenzione del Governo di eliminare gli effetti delle clausole di salvaguardia che altrimenti comporterebbero un aumento dell’IVA, sia per il finanziamento di nuovi interventi da porre in essere per sostenere la ripresa.
Al fine di dare attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale, il Governo ha pertanto predisposto un apposito decreto legge che consente di salvaguardare gli obiettivi di finanza pubblica, in coerenza con il percorso di rientro dei saldi di bilancio e del debito pubblico nell’ambito dei parametri comunitari e, al contempo, di coniugare tale percorso con i criteri solidaristici all’interno del sistema previdenziale e con i principi di adeguatezza, gradualità e proporzionalità enunciati dalla stessa Corte, prevedendo modifiche alla disciplina della rivalutazione automatica delle pensioni da applicare con riferimento agli indici di rivalutazione per gli anni 2012-2013.
Tali misure consentiranno, anche utilizzando il margine di miglioramento tendenziale evidenziato nelle stime del DEF per l’anno in corso e - in misura minimale - negli anni successivi, di ricondurre il nuovo scenario tendenziale entro gli obiettivi indicati nel Documento programmatico dello scorso aprile.
Prima di illustrare il contenuto dell’intervento adottato, ritengo utile ricordare il quadro in cui furono adottati gli interventi di deindicizzazione effettuati nel 2011.
Gli interventi sull’indicizzazione delle pensioni disposti nel corso del 2011
Nel corso dell’anno 2011, con riferimento all’indicizzazione delle pensioni per il biennio 2012-2013, furono adottati due interventi nello spazio di pochi mesi:
a) l’articolo 18, comma 3 del DL 98/2011, convertito con legge n. 111/2011 – con il quale veniva prevista una deindicizzazione parziale per il biennio 2012-2013 per le pensioni di importo complessivamente (considerando anche il cumulo di più pensioni in capo al pensionato) superiore a 5 volte il trattamento minimo, prevedendo un’indicizzazione al 70% per la fascia di importo fino a 3 volte il minimo, e nessuna indicizzazione per la fascia di importo superiore;
b) l’articolo 24, comma 25 del DL 201/2011, convertito con legge n. 214/2011 – che abrogava l’intervento di cui al punto a) (all’ultimo periodo del comma 25), prevedendo la deindicizzazione totale per le pensioni di importo complessivamente superiore a 3 volte il trattamento minimo, con effetti finanziari pari al differenziale rispetto a quanto già previsto con il DL 98/2011.
L’intervento di deindicizzazione disposto dal DL 201/2011 si collocava in un momento di particolare difficoltà dell’economia italiana e delle finanze pubbliche.
Per arginare la crisi di fiducia che si era sviluppata sui mercati, e ribadire l’impegno alla realizzazione del consolidamento dei conti, furono approvate fra maggio e dicembre 2011 tre manovre correttive che, complessivamente considerate, determinarono una correzione del saldo di entità considerevole (circa 48,9 miliardi nel 2012, 75,7 miliardi nel 2013 e 81,3 miliardi nel 2014), necessaria a raggiungere il pareggio di bilancio strutturale già nel 2013.
Il DL 201 del dicembre 2011 (c.d. Salva Italia) fu l’ultimo dei provvedimenti correttivi approvati nel corso dell’anno. Esso prevedeva un’importante, ulteriore, correzione dei conti (circa 20,2 miliardi nel 2012, 21,3 miliardi nel 2013 e 21,4 miliardi nel 2014). Tra i numerosi interventi disposti con questo provvedimento, rientravano l’aumento dell’imposizione sugli immobili e sulle attività finanziarie, l’incremento dell’IVA e delle accise sui carburanti, l’aumento del carico contributivo per artigiani e commercianti. Infine, veniva anche prevista la deindicizzazione totale delle pensioni di importo pari o superiore a tre volte il minimo.
Nel 2013 l’indebitamento netto è stato ricondotto entro il limite del 3% del PIL, risultato confermato nell’anno successivo, e nel giugno del 2013 la procedura per disavanzo eccessivo è stata chiusa. In un contesto di rallentamento dell’economia europea e di tensioni finanziarie, la flessione del PIL si è arrestata solo nell’ultimo trimestre del 2014. Nel complesso, fra il 2007 e il 2014, l’economia italiana ha subito una flessione del PIL in termini reali pari a circa 9 punti percentuali.
A questa dinamica ha corrisposto un forte aumento della disoccupazione, un aumento dei lavoratori in cassa integrazione e la riduzione del potere d’acquisto di ampie fasce di lavoratori, tra i quali i lavoratori del pubblico impiego. I sacrifici imposti dalla crisi, e dai conseguenti interventi del Governo per evitare una deriva ancor più drammatica, hanno colpito tutte le fasce della popolazione italiana. Le misure sulle pensioni vanno lette in questo contesto.
Occorre, inoltre, ricordare che tra il 2011 e il 2014 (a fronte di una flessione del PIL nominale) la spesa per pensioni è aumentata da 243,7 a 256,9 miliardi, passando dal 14,9% al 15,9% del PIL; senza l’intervento attuato nel 2011, essa sarebbe salita al 16,3% del PIL.
L’intervento sulle pensioni ha reso i titolari di pensioni più elevate – anche se certo non solo quelle elevate - compartecipi della flessione del potere d’acquisto che ha interessato gli italiani in età lavorativa.
L’intervento sull’indicizzazione delle pensioni di importo superiore a tre volte il livello minimo deve essere quindi considerato alla luce di un difficile consolidamento dei conti pubblici, nel contesto di una recessione prolungata e intensa.
La sentenza della Corte costituzionale
La Sentenza n. 70/2015 della Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo periodo del comma 25 dell’articolo 24 del DL 201/2011.
Sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico, la Corte ha ritenuto che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza, con riferimento ai criteri di proporzionalità e adeguatezza delle prestazioni, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso, e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività.
La disposizione censurata si limita a richiamare genericamente la “contingente situazione finanziaria”, senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così incisivi.
L’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, è stato ritenuto irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio.
L’impatto della sentenza sui conti pubblici
Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale conseguono, come detto, rilevanti effetti negativi per la finanza pubblica rispetto al quadro di finanza pubblica previsto a legislazione vigente nel DEF 2015.
In assenza di un intervento normativo diretto a ridisciplinare la materia, riprenderebbe vigore, per gli anni in esame (il 2012 e il 2013), la disciplina dell’indicizzazione delle pensioni per fasce di importo di cui alla legge n. 388/2000. Si tratta, in particolare, del regime generale di indicizzazione (in vigore prima del 2012 e di nuovo in vigore dal 2017, allo scadere degli effetti determinati dalla Legge di Stabilità 2014), il quale prevede per tutte le pensioni l’indicizzazione al 100% per le fasce di pensioni fino a 3 volte il trattamento minimo, al 90% per le fasce di pensioni comprese tra 3 e 5 volte il trattamento minimo, e del 75% per le fasce di importo superiore a 5 volte il trattamento minimo.
Gli oneri per la finanza pubblica, rispetto al quadro di finanza pubblica previsto a legislazione vigente nel DEF 2015, risulterebbero valutabili nei seguenti termini.
Un maggiore onere, al lordo degli effetti fiscali, pari a 24,1 miliardi di euro circa per il 2015 (relativi al periodo 2012-2015), di cui circa 6,85 miliardi come competenza 2015, avente carattere strutturale per gli anni successivi al 2015, sebbene in parte decrescente (per il 2016 l’onere è infatti stimabile in circa 6,7 miliardi di euro);
Al netto degli effetti fiscali, l’impatto peggiorativo sui saldi di finanza pubblica può essere stimato – come detto – in circa 17,6 miliardi di euro per l’anno 2015 (relativi al periodo 2012-2015), di cui circa 4,5 miliardi di euro come competenza 2015, avente carattere strutturale per gli anni successivi al 2015, sebbene con una tendenza leggermente calante (per il 2016 l’onere è infatti stimabile in 4,4 miliardi di euro).
L’intervento normativo adottato dal Consiglio dei Ministri
A norma della legge di contabilità n. 196/2009 (articolo 17, comma 13), è risultato necessario adottare un intervento normativo diretto a ridisciplinare la materia, in attuazione della Sentenza in esame, in una cornice finanziaria coerente con gli obiettivi di finanza pubblica assunti a livello comunitario.
Il decreto legge interviene sulla regolamentazione del regime pensionistico per gli anni 2012 e 2013 (direttamente incisi dalla sentenza) e per gli anni successivi.
L’intervento in esame si pone un duplice obiettivo. Da un lato, dare attuazione alla Sentenza n. 70/2015, nell’ottica di ripristinare un adeguamento al costo della vita relativamente agli anni in esame per le pensioni di importo compreso tra circa 1.500 euro lordi e circa 3.000 euro lordi mensili, ispirato a criteri di proporzionalità e nell’ottica di una garanzia di adeguatezza delle prestazioni. Per le pensioni di importo superiore a circa 3.000 euro lordi mensili, la rivalutazione non viene invece riconosciuta, nell’ambito di un’impostazione solidaristica sia intra-generazionale, sia intergenerazionale, in presenza di vincoli di bilancio stringenti.
La graduazione della rivalutazione in ragione dell’importo del trattamento pensionistico risponde al principio della solidarietà intra-generazionale. In un’ottica intergenerazionale, occorre riconoscere che il pagamento di 17,6 miliardi nel 2015, e di circa 4,5 miliardi annui nei prossimi anni, si rifletterebbe negativamente sulla pressione fiscale e sulla fornitura di servizi pubblici e trasferimenti, inclusi quelli alle generazioni più giovani.
Dall’altro, coniugare i principi sanciti dalla Sentenza n. 70/2015 con il mantenimento degli obiettivi di finanza pubblica di convergenza verso l’obiettivo di medio termine (equilibrio di bilancio in termini strutturali), che parimenti si sostanzia in un interesse generale del Paese come sancito dalla Costituzione.
La disposizione adottata prevede, per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS, il riconoscimento della rivalutazione relativa agli anni 2012 e 2013 secondo le seguenti modalità:
a. per gli anni 2012 e 2013:
nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi.
nella misura del 20 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS, con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi.
nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS, con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi.
la rivalutazione non è riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi.
b. per il periodo successivo:
negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento di quanto stabilito per le mensilità del biennio 2012-2013, come sopra descritto;
a decorrere dall’anno 2016 nella misura del 50 per cento di quanto stabilito per le mensilità del biennio 2012-2013, come sopra descritto.
A titolo puramente esemplificativo e sulla base di valutazioni di massima, attese le diverse specificità dei pensionati interessati in relazione alle condizioni soggettive e allo specifico importo di pensione, possiamo dire che nel caso di un pensionato che riceve un assegno di circa 1.700 euro lordi mensili, che si colloca fra 3 e 4 volte il trattamento minimo, il beneficio di questo intervento per l’anno 2015 è stimabile in circa 750 euro netti; per un pensionato che riceve un assegno di circa 2.200 euro lordi mensili, che si colloca fra 4 e 5 volte il trattamento minimo, il beneficio è stimabile in circa 460 euro netti; per chi riceve un assegno di circa 2.700 euro lordi mensili, che si colloca fra 5 e 6 volte il trattamento minimo, il beneficio è stimabile in circa 280 euro netti.
Ancora una volta, il Governo ha prestato più attenzione a chi ha redditi più contenuti.
Gli effetti del provvedimento adottato sulla finanza pubblica
L’intervento proposto consente di ridurre la maggiore spesa per pensioni derivante dalla sentenza della Corte Costituzionale a circa 2,8 miliardi di euro per l’anno 2015 e a circa 0,7 miliardi annui dal 2016, con profilo leggermente decrescente.
Al netto degli effetti fiscali, l’onere della sentenza sui conti pubblici è pari a circa 2,2 miliardi di euro per l’anno 2015 e a circa 0,5 miliardi di euro annui dal 2016, con profilo leggermente decrescente.
Restano fermi i livelli del saldo netto da finanziare e del ricorso al mercato fissati nella legge di stabilità 2015. Il provvedimento di assestamento per il medesimo anno terrà conto degli effetti del decreto legge, nonché di quelli derivanti dal nuovo quadro di finanza pubblica.
A seguito del decreto legge, il rapporto programmatico tra l’indebitamento netto e il PIL nel 2015 risulta pertanto confermato al 2,6%. Per gli anni successivi restano sostanzialmente invariati i valori dell’indebitamento netto in rapporto al PIL previsti nel quadro tendenziale, pari all’ 1,4% nel 2016 e allo 0,2% nel 2017. Restano inoltre confermati gli obiettivi programmatici indicati nel Documento di economia e finanza. Per il 2018 e il 2019 si conferma la previsione di un avanzo di bilancio pari rispettivamente allo 0,5% e allo 0,9%.
L’intervento del Governo consente di confermare il rispetto delle regole di bilancio europee, in particolare: (1) la variazione dell’indebitamento netto strutturale , tenuto conto del pagamento di una quota relativa agli arretrati 2012-2014 che potrebbero essere considerati come una tantum, stante le decisioni che dovranno essere assunte dalla Commissione europea, nel 2015 rispetta pienamente il requisito dello 0,25% previsto dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine’; (2) il debito pubblico si mantiene su un sentiero declinante, consentendo di rispettare la regola del debito, senza dover pianificare un aumento delle privatizzazioni superiore a quanto previsto dal DEF.
La conferma dei valori dell’indebitamento netto, già approvati con risoluzione dalle Camere e valutati positivamente dalla Commissione europea nell’ambito della formulazione delle Raccomandazioni del Consiglio Europeo sul Programma Nazionale di Riforma e sul Programma di Stabilità di ciascun Paese, consentirà all’Italia di rispettare pienamente il quadro delle regole europee e nazionali.