Possono le ragioni dell'economia diventare più importanti di quelle del diritto? Anzi: dei diritti? Il quesito è in questi giorni particolarmente d'attualità: la Consulta ha bocciato i tagli di Mario Monti alle pensioni costringendo il governo a correre ai ripari. Ma non c'è solo questo: è attesa a giorni la decisione sulla liceità dell'aggio di Equitalia (la commissione dell'8% incassata sul riscosso). Ieri Repubblica dava conto di un allarme della società, che in caso di sentenza favorevole ai ricorrenti, potrebbe ritrovarsi con un buco da 2,5 miliardi. Sull'equilibrio tra diritti costituzionali e situazione economica abbiamo chiesto lumi a Massimo Villone, costituzionalista dell'Università Federico II di Napoli ed ex senatore Ds: "È evidente che c'è un notevole pressing sulla Consulta. Le mosse di Equitalia lo dimostrano: di questo passo ognuno si presenterà col conto dei costi insieme alla memoria. Naturalmente non è che non si debba tener conto delle condizioni economiche dello Stato, ma attenzione anche ai mezzi e ai comportamenti: non si mandano le veline ai giornali, come è successo nel caso di Equitalia. Mi pare un comportamento improprio e intimidatorio nei confronti della Corte".
È attesa anche la decisione sul blocco degli stipendi dei dipendenti statali.
In passato la Consulta ha dato una lettura anche troppo sbilanciata, e non a favore dei diritti. Ci sono state aperture rispetto alla rilevanza degli oneri di bilancio. Ma anche qui bisogna intendersi: l'equilibrio di bilancio è sempre frutto di una scelta politica. Si tratta di capire se queste scelte vogliono essere attente ai diritti o no. Se un governo - come io credo dovrebbe - vuole, può costruire il suo bilancio attorno ai diritti. Se invece, come capita all'attuale esecutivo, pensa che i diritti siano un optional, allora costruisce il bilancio attorno ad altre priorità. Facciamo il più banale esempio: gli F-35. C'è sempre la possibilità di fare scelte diverse. Non si venga a dire "non ci sono i soldi".
L'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione può mettere in discussione i diritti fondamentali, come quello a una retribuzione che assicuri una vita dignitosa È un problema aggiuntivo perché di fatto riduce le possibilità di politiche espansive, diciamo keynesiane.
È l'introduzione in Costituzione di una specifica ideologia oggi imperante, cioè l'austerity. Si è voluto far assurgere a rango costituzionale principi che favoriscono la recessione, il che si traduce in una ulteriore compressione dei diritti a valle. È stato, tra scene di giubilo in Parlamento e applausi generali al momento dell'approvazione, il primo vero segnale della liquefazione della sinistra. In America, quando si è discusso di irrigidire il pareggio di bilancio, un gruppo di premi Nobel ha scritto a Obama per avvisarlo di quanto fosse rovinoso introdurre quel principio. Ne è nato un dibattito pubblico: da noi praticamente non se n'è parlato.
Il ministro Padoan, però, ha detto che la Consulta avrebbe dovuto tener conto dell'impatto economico della sentenza sulla legge Fornero.
Ha perso una buona occasione per tacere, come ho scritto sul manifesto. Intanto perché sul fatto in sé la sentenza, per il futuro, apre a discipline differenziate, anche relativamente agli oneri di spesa. Ma per il passato bisognava tutelare chi aveva maturato dei crediti. I governi non criticano le sentenze della Corte, perché la Corte è un organo di garanzia, ovviamente contrapposto a chi fa le leggi perché ne deve controllare la legittimità. È lo stesso atteggiamento intimidatorio di Equitalia. L'obiettivo a me non sembra questa o quella sentenza, mi pare più generale: si vuole consolidare l'idea che è il governo a decidere che Paese si fa e nel Paese chi ha diritto e a che cosa. Non bisogna disturbare il manovratore. Non si ammette l'idea che è previsto un pluralismo di poteri e un sistema di controlli. Questo governo tende a dimenticarsi della Carta e della Consulta: basta vedere l'Italicum, che ha persino peggiorato il Porcellum. Ed era davvero difficile.