30.5.2015 - “Il patrimonio accantonato, che supera i 2,3 miliardi di euro, non è stato intaccato, nonostante il grave quadro di sistema” afferma il comunicato diramato il 28 maggio dall’Inpgi dando conto dell’approvazione del bilancio consuntivo 2014 (in http://www.inpgi.it/?q=node/1354#/). Purtroppo non è così. Ezio Chiodini spiega in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=17973, dopo una lettura critica del bilancio, che nel corso del 2014 l’Istituto ha venduto titoli per 60 milioni “per il soddisfacimento delle esigenze di liquidità”. E che titoli per 102.997.000 erano stati già venduti nel corso del 2013 sempre “per il soddisfacimento delle esigenze di liquidità”. Questa notizia in sé gravissima denota lo stato di crisi dell’Inpgi insieme ad altri indicatori: l’ente incassa 100 euro per contributi e ne spende 130 per prestazioni pensionistiche. Il rapporto pensionati/attivi desta amare preoccupazioni: a fronte di un pensionati versano contributi meno di due giornalisti attivi (1,91 per l’esattezza, mentre fino a non molti anni fa il rapporto era 1-2,8). Questo quadro ha spinto il Cda a studiare una riforma “responsabile”, che, comunque, si muove in un contesto ideologico e sindacale e che respinge per ora le innovazioni della “legge Fornero” e del Jobs Act. Un “documento Camporese” spiega la riforma (ipotizzata) dell’Inpgi: sono sette gli interventi strutturali sulla gestione previdenziale. Le proposte prevedono sia interventi sulle entrate contributive sia misure finalizzate al contenimento della spesa per prestazioni. La discussione in seno al CdA ha fissato questi obiettivi:
.Azioni graduali e prospettiche che escludano la creazione di scaloni ed "esodati", salvaguardando scelte di vita già compiute;
.Mantenimento della possibilità di andare in pensione con i 40 anni;
.La non applicabilità dell'aspettativa di vita;
.La tutela degli accordi in essere connessi agli stati di crisi;
.Un intervento molto limitato sul livello degli ammortizzatori sociali che, per buona parte, discendono da norme generali di legge;
.Il mantenimento di forme di flessibilità in uscita che consegnino ai singoli la possibilità di decidere la data del proprio pensionamento dentro un quadro di sostenibilità dell’Ente;
.Mantenimento di sostanziali ed evidenti specificità e vantaggi rispetto al sistema generale garantito dall'Inps.
Appare difficile ipotizzare che con queste misure “sindacali” si possa realizzare un intervento strutturale che garantisca la sostenibilità della gestione nel lungo periodo. Il documento nulla dice sulle due forme di pensione di anzianità a 57 anni e a 62 anni con 35 anni di contributi (entrambe prevedono la penalizzazione del 20 per cento). La pensioni di anzianità (1.700 circa a fine 2013) sono state abolite per tutti gli italiani. E’ evidente che nessuno chiede di agire con l’accetta, ma è altrettanto evidente che la pensione a 57 anni sia da cancellare nel giro di tre anni, mentre quella (contrattuale, art 33 Cnlg) a 62 anni potrebbe sopravvivere come soluzione flessibile di uscita dal sistema produttivo con la penalizzazione esistente del 20%. I prepensionamenti (ex legge 416/1981, art 37) sono da abolire o da correggere: oggi scattano con due numeri (58 anni di età e almeno 18 anni di contributi). L’età va innalzata (60/61 anni?) e i contributi pure (25?). Lo scivolo di 5 anni? E’ un istituto ormai morto, un regalo insostenibile per l’erario. Un membro del Cda ha spiegato che oggi l’Inpgi a ogni cassintegrato regala 21mila euro in più rispetto all’Inps e a ogni pensionato 17mila euro in più rispetto all’Inps. Possiamo ancora permetterci questi lussi? I contratti di solidarietà non andrebbero scaricati sulla fiscalità generale? L’Inpgi per di più deve adottare le regole Inps anche per quanto riguarda il metodo contributivo (quello Inpgi sarebbe troppo blando). La crisi dell’editoria ha travolto l’Istituto, che può sopravvivere a patto che i suoi dirigenti siano responsabili e decisi ad uscire dagli schemi sindacali e ideologici. L’Inpgi deve pagare le pensioni e non fare politica sociale. Quest’ultima è assicurata dallo Stato con il Jobs Act (Aspi, Naspi, Asdi, DisColl). Finora Fnsi e Fieg hanno addossato all’Inpgi i costi delle loro scelte. Gli editori devono all’Inpgi 301 milioni di contributi e 140 milioni al Fondo ex fissa. L’Inpgi e la Fnsi hanno tenuto un comportamento morbido in vista della firma del contratto? Ma ora chiederanno i quattrini a lor signori? O staranno zitti? La festa è davvero finita. Il Cda dell’Inpgi oggi è chiamato “ad una assunzione di responsabilità netta e senza alibi o prove di appello verso le generazioni future”. Il virgolettato è di Andrea Camporese, ma è valido anche per completare il discorso fatto in maniera che qualcuno definirà “non politico”. Ma la politica cosa c’entra con l’Inpgi? L’Inpgi non ha altre scelte per salvarsi oppure dovrà necessariamente, come Inpdai e Inpdap, confluire nell’Inps di cui, unica Cassa, è ente sostitutivo. E poi, attuando nei fatti la trasparenza, gli iscritti hanno diritto di saper tutto sul “Fondo immobiliare Giovanni Amendola”. Le Casse in verità amano circondare di segreti i loro investimenti immobiliari come si può leggere oggi sul Sole 24 Ore/Plus. Ma questi investimenti non vengono fatti con soldi versati dagli iscritti sotto forma di contributi?
NOTA. Alcune menti eccelse del Cda dell’Inpgi pensavano di presentare il conto della crisi ai pensionati sotto forma di prelievi (sugli assegni) non previsti dallo Statuto dell’Istituto. Il Cda si occupa delle pensioni future non di quelle in essere. La Cassazione ha già ripetutamente stabilito che le Casse non possono tagliare le pensioni per via amministrativa. Il ministro dell’Economia, Pier Giorgio Padoan, ha dichiarato pochi giorni fa che “i diritti acquisiti si preservano sempre”. Padoan è il ministro che, con Giuliano Poletti, dovrebbe ratificare le eventuali decisioni creative del Cda dell’Inpgi. Poletti peraltro ha escluso il ricalcolo contributivo delle pensioni in essere. L’Inpgi è avvertito. (in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=17929)