Roma, 16 giugno 2015. Il Gruppo romano dei giornalisti pensionati, riunito in assemblea, ha detto no alla cosiddetta manovra correttiva Inpgi in itinere, e che, così come è stata congegnata, appare velleitaria nell’impostazione, ingiusta e illegittima nel colpire le pensioni in essere, e, soprattutto, inadeguata a colmare l’abisso apertosi nel rapporto fra entrate contributive e prestazioni sociali (rosso di 81 milioni solo nel 2014). Con l’effetto di esporre il nostro sistema previdenziale alla scure ben più traumatica del Governo, tramite i ministeri vigilanti dell’Economia e del Lavoro, un Governo che non sarà facile da incantare e che finirà per trattarci peggio della Grecia.
Velleitaria perché ci si illude che, raschiando il fondo della botte, si possano rimettere in sesto i conti, quando solo la ripresa del mercato del lavoro (non ancora all’orizzonte), radicali riforme nel settore dell’editoria promesse da anni, il ricarico sulla fiscalità generale degli ammortizzatori sociali (spesi lo scorso anno ben 40milioni), secondo criteri in atto per tutti gli altri lavoratori, possono rivitalizzare la previdenza dei giornalisti.
Inadeguata perché scava e riscava, in cerca di risorse, in terreni già sfruttati e inariditi con l’obiettivo di realizzare la bella cifra di 80 milioni l’anno che, nel giro di 10, dovrebbero riossigenare i bilanci del 60/70%. L’altro 30/40% è affidato all’incognita del rilancio dell’occupazione, ignorando o fingendo di ignorare che la stragrande maggioranza delle nuove figure di giornalisti/comunicatori ottengono al massimo contratti di collaborazione con posizioni previdenziali che non portano un euro all’asfittico regime principale dell’Inpgi 1. Nell’operazione cash, spicca in primo piano il rincaro delle aliquote contributive (1,53% agli editori che storcono il naso avendone appena sborsati 2 punti, 0,50 a carico di una categoria giornalistica in affanno e con i nervi a fior di pelle per le crisi aziendali e i licenziamenti a raffica, 3mila negli ultimi anni). Da questo intervento si attende un ritorno finanziario intorno agli 11 milioni. A ruota, in sintonia con lo 0,50 chiesto ai colleghi in attività, si pretende un contributo di solidarietà dai pensionati; in soldoni intorno ai 10/15/20 euro al mese per fasce di reddito. La resa è calcolata sul milione e 400 mila, curiosamente uguale ai costi per gli organi collegiali che governano l’Inpgi. Altri ricavi/risparmi, non meglio quantificati, si otterrebbero, fra l’altro, dalla revisione dei meccanismi delle pensioni d’anzianità, da riduzioni della durata dell’indennità di disoccupazione, da un giro di vite ulteriore del welfare (stretta sulle pensioni di reversibilità, sulla superinvalidità e persino sulle case di riposo), fiore all’occhiello dell’Istituto fin dalla sua nascita. Se la manovra, così come configurata, portasse a casa 30/40 milioni annui, sarebbe già un risultato clamoroso. Senza contare che la categoria faticherebbe a metabolizzarla, perché non contiene atti convincenti per una spending review in via Nizza e per una cura dimagrante dei pletorici organismi di governo.
Per la verità, la proposta del contributo di solidarietà, caldeggiata dalla Fnsi all’insegna del patto generazionale a dispetto dei diritti acquisiti conquistati proprio grazie all’opera del sindacato, provoca incertezze e dilemmi nella stessa Inpgi con la preoccupazione che possa ritorcersi contro. Si è consapevoli che sentenze e prese di posizione della Corte Costituzionale, della Cassazione e lo stesso Statuto dell’Inpgi rendano le pensioni praticamente intoccabili. Imboccare a testa bassa la strada dei tagli rischierebbe di provocare un’ondata di ricorsi dagli esiti scontati o quasi a favore dei proponenti.
L’obiezione dell’esiguità del contributo potrebbe indurre qualche collega ad accettare per dubbio di coscienza, o per la speranza di aiutare giovani sfortunati. Uno specchietto per l’allodole concepito per sorprendere la buona fede dei pensionati, precostituendo con il loro consenso un alibi per stangate del governo ben più pesanti delle sforbiciatine programmate dall’Inpgi e a rischio di bocciatura da parte dei ministeri vigilanti. Comunque, non sarà una passeggiata convincere gente con il dente avvelenato. Hanno subito una perdita di 20milioni di euro in 4 anni con il blocco della perequazione ai limiti della legittimità da parte dell’Inpgi, che si è piegato alle decisioni del governo in base a un regolamento di esile validità, e non a norme statutarie. I pensionati, infine, mal sopportano il senso di ingiustizia che caratterizza i tagli sotto il profilo del metodo e delle procedure, perché la solidarietà non può essere frutto di una delibera, bensì di un gesto volontario di liberalità. Metterli davanti al fatto compiuto e non consultarli uno per uno magari soltanto via email, appare una inaccettabile scorrettezza.