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INPGI, NON TUTTI I GIOCHI SONO FATTI SULLA RIFORMA. IL CDA NON SI SOSTITUISCA AL PARLAMENTO. Abbiamo concesso alla Fieg di essere padrona a casa nostra, abbiamo ceduto ricchezze, non abbiamo difeso con la lotta i posti di lavoro, abbiamo consentito di usare la crisi mondiale come alibi per l'abuso degli stati di crisi e del ricorso alle pensioni di anzianità.

di Carlo Chianura*


A un passo dalla riforma della previdenza, ma non tutti i giochi sono fatti o scontati. Lo sa bene anche il presidente dell'Inpgi Camporese quando a noi componenti del Cda scrive che ci sono ancora "alcuni nodi aperti" che devono essere approfonditi. Abbiamo apprezzato in questi mesi come minoranza di Inpgi Futuro in Cda un metodo di lavoro fatto di condivisione degli obiettivi: vogliamo salvare la previdenza dei giornalisti italiani. Tutti.


Diversa è stata l'analisi sulle cause della profonda crisi vissuta dall'Inpgi: ma non poteva che essere così. La maggioranza che voterà questa riforma (testo in  link) è la stessa che su altri tavoli, quello sindacale per primo, è responsabile di scelte che hanno messo in ginocchio l'istituto. E' anche quella che viviamo, non solo ma soprattutto, una crisi figlia della subalternità con cui il sindacato ha negli ultimi dieci anni vissuto il suo rapporto con gli editori.


Abbiamo concesso alla Fieg di essere padrona a casa nostra, abbiamo ceduto ricchezze, non abbiamo difeso con la lotta i posti di lavoro, abbiamo consentito di usare la crisi mondiale come alibi per l'abuso degli stati di crisi e del ricorso alle pensioni di anzianità, non siamo stati interlocutori credibili per il governo e il Parlamento, abbiamo noi per primi rinunciato alle prerogative costituzionali della nostra professione, ci siamo fatti trattare dagli editori come macchinari da rottamare invece che come la vera ricchezza della fabbrica dell'informazione.


Ecco: sappiamo tutti che l'Inpgi è stata l'incudine su cui si è abbattuto il martello degli abusi che ho appena descritto sommariamente.


Guardiamo a oggi. Come minoranza che non ha partecipato a questo strame, avremmo potuto dire che noi lasciavamo ai responsabili di questo stato di cose il compito di porvi riparo. Responsabilmente non lo abbiamo fatto e non lo faremo, non perché siamo buoni ma perché abbiamo in odio la demagogia e il pressappochismo della protesta a prescindere. E perché ci avete eletto all'Inpgi su queste basi: onestà, competenza, concretezza, difesa dei comuni interessi e diritti.


Di qui a dire che tutto quello che Camporese illustra ci va bene ne passa e lo abbiamo già fatto presente nelle sedi opportune.


Manteniamo a esempio riserve sulla velocità della eliminazione delle pensioni di anzianità, come sulle modalità di introduzione della flessibilità in uscita, come anche sulla quota di abbattimento dei rendimenti. Abbiamo inoltre seri dubbi sulla presunzione che l'Inpgi possa sostituirsi al Parlamento introducendo un contributo di solidarietà a carico delle pensioni in essere. Crediamo sia giusto chiedere incrementi contributivi sia agli editori che ai giornalisti, ma non vogliamo che si inseriscano elementi ultronei nel dibattito come ad esempio la richiesta di un posticino in più in consiglio di amministrazione per gli editori.


IN DEFINITIVA la nostra linea è quella di assecondare una riforma che tuteli il quadro delle migliori prestazioni finora garantite dall’Inpgi rispetto al quadro generale.


La riforma delle prestazioni deve poi andare di pari passo rispetto alla riduzione delle spese generali e di funzionamento degli organi.


Analogamente, nessuna misura anche la più draconiana potrà salvare i conti dell’istituto senza un complesso di misure e iniziative che ci si augura possa concretizzarsi nel tavolo per l’editoria convocato dal governo.


In quest’ultimo senso, sono indifferibili alcune iniziative anche legislative. A partire da un serio riesame della 416 sugli stati di crisi, dal finanziamento virtuoso dell’editoria, dalla discussione sulla tassazione delle società web straniere che non pagano imposte in Italia, dal pagamento dei contenuti giornalistici anche attraverso una tassa di scopo sui contratti telefonici, dalla struttura (cioè dalle distorsioni) del mercato pubblicitario.


E ancora, dall’intervento legislativo per contenere almeno al livello di caporedattore il tetto dei contributi figurativi per i giornalisti che ricoprano incarichi elettivi. Un sistema perverso attraverso il quale chi è in aspettativa perché eletto per esempio al Parlamento paga solo l’8 per cento della contribuzione, mentre tocca all’Inpgi coprire la quota aziendale relativa alla qualifica ricoperta al momento dell’elezione.


Ci sono insomma da reperire risorse per garantire nuova occupazione. Ma sarebbe tutto inutile, per il mercato del lavoro e per lo stesso Inpgi, se questa occupazione non avesse le caratteristiche della solidità e della giusta remunerazione.


Ho già fatto presente che per quanto mi riguarda la riforma può essere votata a maggioranza nel caso in cui non si registrasse una adeguata e unanime presa di coscienza della necessità di restituire qualcosa alla collettività giornalistica da parte di una imprenditoria che ha raccolto enormi frutti nel primo decennio del Duemila. Per quello che ho potuto mi sono appellato al senso di responsabilità della Fieg, che spero raccolga questo invito. A noi componente giornalistica del Cda spetta di fare la nostra parte con la dovuta attenzione alla solidarietà, all’equità, al giusto riformismo. E al rispetto della legge e delle sentenze della magistratura.


* Cda Inpgi per "Inpgi Futuro", portavoce di Puntoeacapo


TESTO IN  http://www.puntoeacapo.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1055:inpgi-non-tutti-i-giochi-sono-fatti-sulla-riforma-il-cda-non-si-sostituisca-al-parlamento&catid=63:inpgi&Itemid=76



 



 






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