23.6.2015 - Nello storico rione della Maddalena a Catanzaro, a mezzanotte circa del 1 aprile del 1965, sette colpi di pistola calibro 7.65 stroncano Luigi Silipo: dirigente comunista e sindacalista, in una paciosa città di 75mila abitanti in cui l’ultimo omicidio era avvenuto 25 anni prima. L’assassino (o più d’uno? Neanche questo s’è riusciti ad appurare!) non è stato mai consegnato alla giustizia. Sette colpi, “sette” moventi e tanto rumore per nulla. Delitto passionale o delitto politico? Ancora adesso, a mezzo secolo dal fattaccio, la risposta è, per quanto ci si possa lambiccare il cervello, un penoso “buh…”.
LUIGI SILIPO: “CASO” SCANDALOSAMENTE INCONCLUSO - Di sicuro: delitto feroce (l’assassino ha infierito sulla vittima, dei sette proiettili 2 alla testa), di cui forze dell’ordine e magistratura, pur avendocela messa tutta, non sono riuscite a venirne a capo. E non perché siano entrati in gioco presenze mefistofeliche, per fortuna quest’altra tesi non è stata ventilata, anche se a fomentare la suspense sul delitto c’è persino una pista cecoslovacca. Visto come sono andate le cose in quegli anni e dopo il forte interesse mediatico e una virulenta polemica politica, ogni tesi sull’omicidio s’è dissolta, benché, quella politica in specie, sia stata rivangata a più riprese dai quotidiani (dal ’66 in avanti però è calato il silenzio tombale). Caso chiuso. Scandalosamente inconcluso. Al punto che il ‘caso’, semmai, può generare tuttora interesse, sì, ma non per la tesi del delitto politico, fondata su ipotesi fragili e inconsistenti. Ma per lo spreco enorme di energie da parte degli inquirenti, che, rispetto ad un delitto circoscritto nel tempo e nello spazio, non sono riusciti a chiarire alcunché. Nemmeno – per capirci – se Silipo avesse avuto (e chi era) una fidanzata; chi erano i due tizi sospetti che il giorno prima dell’omicidio furono avvistati alla Maddalena; che fine fece il mazzo di chiavi che Silipo non trovò più e la cui esistenza ipotizzava un misterioso appartamento. Delitto, si badi, non perfetto, ma irrisolto.
TRE ANNI DI RICERCHE PER “LO STRANO DELITTO” - Resta, in ogni modo, il fatto che Lo strano delitto (edito da Città del Sole, intraprendente casa editrice reggina) e scritto dal giornalista Bruno Gemelli, dopo tre anni di ricerche negli archivi, è un avvincente giallo. Un saggio “giallo”, che purtroppo non dispone di Lilly Rush, la detective della squadra omicidi di Filadelfia specializzata in delitti irrisolti della fortunata serie televisiva “Cold Case”, ma conta soltanto sulle forze di un bravo giornalista-scrittore, il cui scavo in altri delitti irrisolti, indimenticabile il “Gobbo del Quarticciolo”, lo rendono più che affidabile. Ma una tesi, tra le diverse da Gemelli prospettate, quella politica, suggestiva senza dubbio, non è per nulla convincente. Dunque, Luigi Silipo: “una persona per bene”, 49 anni, comunista, ex segretario provinciale della Federazione di Catanzaro e membro del Comitato centrale, segretario regionale dell’associazione sindacale che faceva capo al Pci “Alleanza contadina”, direttore del periodico “Calabria domani”, figlio di un gioielliere, scapolo e “mai visto con una donna”, “senza amici”, al cinema da solo, qualche passeggiata su corso Mazzini, taciturno e discreto fino all’inverosimile, abitudinario (alle 20.30 a casa dalla madre e dalla sorella con cui coabitava), unico “vizio” le vacanze nei paesi dell’Est. Sul piano della speculazione intellettuale, Luigi Silipo, non ha ideato alcunché di rilevante, nelle battaglie per le terre che hanno incendiato il decennio ‘43/’53 il suo nome non giganteggia in nessun frangente di quelli memorabili.
SILIPO? “UNA FIGURA DI CONTORNO” - Lo descrive così, indugiando a una certa ruvidezza, il giornalista Alfonso Madeo, in un articolo per il Corriere della Sera del 9 settembre 1966, di cui Gemelli trascina un brano di un altro suo articolo nel risvolto di copertina (segno dell’autorevolezza di cui gode nell’autore del saggio “giallo” l’inviato del Corriere): “Luigi Silipo, sebbene avesse ricoperto cariche politiche importanti nel catanzarese, era una figura di contorno”. La tesi del delitto politico esplose con le dichiarazioni del senatore Luca de Luca (un anno dopo l’assassinio), comunista ed ex volontario franchista, amico di Luigi Silipo, anche se nel ’63 Silipo “non lo sostenne nella candidatura”, ed espulso dal Pci (non versava i contributi da parlamentare al partito dal ’63). Un politico, De Luca, che nel corso delle prime indagini sull’omicidio non aprì bocca, ma quando l’espulsione gli fu irrogata, sparò a zero sul Pci (in sintesi: sosteneva che l’omicidio fosse opera “un compagno di partito”). Chiarì, sempre Madeo (settembre ’66): “E’ utile operare un dimensionamento dell’idea del delitto politico nel caso Silipo. Non pare opportuno richiamarsi ad episodi di eliminazione fisica nel quadro di conflitti ideologici. Né pare che il caso Silipo possa collocarsi in episodi di conflitti fra gruppi impegnati nel mantenimento o nella conquista del potere. Luigi Silipo, sebbene avesse ricoperto cariche politiche importanti nel catanzarese, era una figura di contorno: non risulta che potesse rappresentare un problema per il Pci, che minacciasse avventure deviazionistiche o scissionistiche, che avesse una preparazione culturale e ideologica tale da infastidire i notabili”.
AVEVA UN IRRIDUCIBILE NEMICO? CHI SA PARLI! - Su Gazzetta del Sud il 7 aprile del ’66, il giornalista catanzarese Gerardo Gambardella, pur ascrivendo il delitto ad “un suo irriducibile nemico”, scarta la “faziosità politica” e scrive: “Silipo, da sindacalista e da pubblicista, non avrebbe mai potuto attirare su di sé tanto odio e ferocia”. Sgombra definitivamente la tesi del delitto politico, Pietro Ingrao che, parlando a Cosenza in quei giorni, è tranciante: “Noi chiediamo che il magistrato interroghi al più presto De Luca. E’ assai grave e al tempo stesso illuminante che De Luca, dopo aver lanciato la sua bassa insinuazione, non si sia recato subito dal magistrato. E’ sconcertante che l’ex parlamentare comunista se aveva dati ed elementi attorno all’assassinio del nostro compagno per più di un anno non li abbia comunicati al magistrato e tanto meno al partito. Il suo silenzio è molto grave e tanto più gravi appaiono le sue dichiarazioni fatte all’indomani dell’espulsione dal partito”. Punto. La domanda è: se non c’è mai stato uno straccio di prova per rendere plausibile la tesi politica, perché si continua ad ossigenarla? Forse per mettere un po’ di grasso in una ministra povera? O c’è dell’altro? Ma se c’è dell’altro, dopo mezzo secolo, chi sa esca allo scoperto. Il clima d’omertà, “la città ventriloqua”, la paura negli occhi dei catanzaresi, trame di potere, atmosfere evocanti pregnanti dissidi storici dentro la sinistra, paiono più volti a costruire “un caso”, piuttosto che a voler fare luce su un delitto tremendo che ha visto una “brava persona” uccisa e il suo assassino farla franca.
IL GIORNALE DA CRONACA A BENE CULTURALE - Formidabile, nel libro di Gemelli, è un altro aspetto. Delle 332 pagine magna pars è costituita da articoli di giornali dell’epoca. Allineati dallo scrittore con cura e passione per la verità. Che ricostruiscono, delitto a parte, il contesto del Mezzogiorno italiano in cui il delitto matura e persino i nessi tra la periferia e le dinamiche politiche ed economiche internazionali. Siamo in presenza di una mirabile enfatizzazione della funzione dei quotidiani. Qui, le cronache dei quotidiani del tempo (seguirono a più tornate l’evento gli inviati dei maggiori quotidiani) sono esaltate nella dimensione autobiografico-educativa e storiografica che, da un lato, racconta la realtà di ogni giorno e dall’altro sono fonte storica: documento del giorno prima (in questo caso di 50 anni fa), non volatile (come il web), ma relativamente stabile e controllabile Quasi una sorta, come li definisce il pedagogista Nicola Siciliani De Cumis, “di promemoria individuale e diario collettivo di massa”. Attraverso il giornale e gli articoli di mezzo secolo addietro, si riporta in luce un piccolo mondo antico sconvolto da un delitto ed inserito nella globalità degli eventi. E si rende possibile, attraverso il lavoro puntuale di decine di cronisti, ancora oggi a distanza di tanto tempo e su un caso freddo che seguita a suscitare emozioni, la crescita della capacità critica non solo delle nuove generazioni. Alla faccia di chi i giornali li vorrebbe esangui e irrilevanti al cospetto del web.