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"Voce delle voci". Udienza chiave per il giornale pignorato per diffamazione. Il 7 luglio 2015 a Campobasso il Gip decide se rinviare a giudizio per abuso d'ufficio il giudice che nel 2013 pronunciò la sentenza di condanna a 90mila euro di danni.


30.6.2015 – (ossigeno)  Si attende nei prossimi giorni una decisione che potrebbe restituire un futuro al mensile “La voce delle voci” che, dopo oltre trent’anni di storia, a marzo 2014 ha cessato le pubblicazioni in edicola per gli effetti di una pesante condanna per diffamazione a mezzo stampa che ha imposto un risarcimento danni di 90mila euro a favore dell’insegnante molisana Annita Zinni. La condanna ha privato di ogni risorsa i giornalisti e la cooperativa editrice e ha prodotto il pignoramento della testata.


Martedì 7 luglio 2015, al Tribunale di Campobasso, i giudici si riuniranno in camera di consiglio per decidere se disporre nuove indagini, oppure il rinvio a giudizio, o l'archiviazione, per i reati di abuso d’ufficio ed omissione di atti d’ufficio commessi  (ai danni dei giornalisti del mensile, Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola) dal giudice Massimo Marasca del Tribunale di Sulmona che il 25 marzo 2013 ha emesso la sentenza di condanna.


La camera di consiglio è stata convocata dal giudice per le indagini preliminari, Libera Maria Rosaria Rinaldi, in difformità con la richiesta di archiviazione del pubblico ministero Barbara Lombardi e aderendo alla richiesta del difensore dei giornalisti della Voce, avvocato Serena Improta.


I giornalisti della Voce ritengono di avere fatto ciò che il giornalismo d’inchiesta deve fare, definiscono “paradossale” l’intera vicenda e affermano che la decisione che sarà assunta in Camera di consiglio a Campobasso il 7 luglio avrà “particolare rilievo non solo per la Voce, ma per il destino del giornalismo in Italia”.


Il fascicolo penale a carico di Marasca è stato aperto alla Procura di Campobasso, competente per territorio sul distretto di Sulmona, dopo una segnalazione inviata alla Procura generale presso la Cassazione dai giornalisti della Voce. In considerazione dell’indagine penale in corso a carico di Marasca, gli stessi giornalisti hanno chiesto alla Corte d'appello dell'Aquila la sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado con la quale lo stesso giudice Massimo Marasca li ha condannati a versare oltre 90mila euro di risarcimento e in ragione della quale sono già stati eseguiti alcuni pignoramenti.


Tra il 2014 e il 2015, i legali di Anita Zinni (avvocato Sergio Russo di Roma e avvocato Alessandra Vella di Sulmona) hanno notificato atti di pignoramento nei confronti dei giornalisti e della cooperativa editrice del mensile all’intero sistema bancario italiano e al dipartimento editoria della presidenza del consiglio in riferimento ai  contributi della legge dell’editoria spettanti alla cooperativa editrice della Voce. I legali hanno inoltre pignorato la testata La Voce delle Voci e hanno chiesto al Tribunale di Napoli di venderla all’asta per soddisfare il credito della loro cliente. I giornalisti hanno presentato ricorso contro la sentenza di primo grado. Il processo d’appello ha subito vari rinvii e adesso è prevista una udienza alla fine del 2016.


La complessa vicenda giudiziaria è nata dopo la pubblicazione, nel 2008, sulla Voce, di un articolo sul movimento politico Italia dei Valori, fondato da Antonio Di Pietro, e sui rapporti fra il leader e le persone che lo rappresentavano a livello locale. Fra l’altro nell’articolo si parlava delle voci, già riferite da alcuni quotidiani nazionali, secondo le quali Cristiano Di Pietro, figlio del leader di IdV, avrebbe superato gli esami di maturità anche grazie all’interessamento di Annita Zinni, insegnante molisana amica di famiglia dei Di Pietro. Oltre un anno dopo la pubblicazione dell’articolo, Anita Zinni reagì citando in giudizio presso il Tribunale civile di Sulmona, la città in cui risiedeva ed insegnava, i giornalisti e la cooperativa editrice per diffamazione a mezzo stampa, dichiarando false le circostanze riferite nell’articolo e chiedendo quarantamila euro di risarcimento danni per il “patema d’animo transeunte” sofferto.


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