Diffamazione. I “paletti” che limitano la discrezionalità dei giudici nazionali. LA CORTE UE: NO A CONDANNE PENALI PER L’INFORMAZIONE. di Marina Castellaneta Il Sole 24 Ore 9.7.2015
Le sanzioni penali per i giornalisti non convincono la Corte europea dei diritti dell’uomo, anche quando si tratta unicamente di sanzioni pecuniarie. Con la sentenza del 23 giugno (Niskasaari contro Finlandia), Strasburgo fissa i paletti al margine di discrezionalità concesso agli Stati e in particolare ai giudici nazionali chiamati a decidere tra due diritti in gioco: libertà di espressione e tutela della reputazione. Con un preciso obbligo, cioè considerare che la posizione del giornalista è diversa da quella di chi si avvale generalmente della libertà di espressione.
A rivolgersi a Strasburgo, l’editore e un giornalista di un magazine, che aveva pubblicato un articolo critico nei confronti di un collega della televisione pubblica per un reportage sulle foreste, con alcuni dati falsi. Citati in giudizio, i due erano stati condannati: il giornalista a una multa di 240 euro e 2mila per i danni, l’editore a 4mila euro per danni e 25mila per i costi sostenuti dal diffamato in tribunale. Una conclusione che non ha convinto la Corte europea. Per Strasburgo è vero che gli Stati e quindi le autorità giurisdizionali nazionali hanno un certo margine di apprezzamento nello stabilire a quale diritto dare la prevalenza – reputazione o libertà di espressione (articoli 8 e 10 della Convenzione) – ma la Corte europea mantiene il diritto di supervisionare il pieno rispetto della Convenzione.
Tanto più che i tribunali interni sono tenuti a seguire i parametri fissati dalla Corte e, quindi, nei casi in cui è in gioco la libertà stampa, accertare il contributo al dibattito su questioni di interesse generale, la notorietà della persona oggetto dell’articolo e il contenuto, la condotta della persona interessata, il metodo utilizzato per ottenere informazioni e la veridicità, il contenuto, la forma e le conseguenze della pubblicazione e la severità della sanzione. La Corte utilizza la congiunzione “e”, segno che tutti gli elementi devono essere oggetto di valutazione, con un margine che così diventa ristretto. Tanto più che – scrivono i giudici internazionali – solo se sussistono forti ragioni è possibile sostituire i parametri individuati dalla Corte con quelli propri dei giudici nazionali, tenuti a considerare il ruolo particolare del giornalista. Proprio a quest’ultimo aspetto i giudici interni non avevano prestato sufficiente attenzione, mentre avrebbero dovuto farlo secondo Strasburgo, che così tiene a sottolineare la necessità di un diverso trattamento per la stampa. La sanzione, poi, era stata sproporzionata confrontando le misure previste dal diritto finlandese per altri reati. Di qui la condanna dello Stato in causa, tenuto a versare 32mila euro per i danni patrimoniali, 1.500 per quelli non patrimoniali e 3mila per le spese.
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