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EX-FISSA. Tribunale del lavoro di Roma. Duro atto di accusa all'Inpgi nella motivazione della sentenza. L'Istituto condannato a pagare ad un ex inviato speciale del Messaggero 81.460 euro oltre agli interessi del 5 per cento annuo dalla data del suo pensionamento, il primo febbraio 2013, e assieme alla Fnsi 7.000 euro per spese e onorari.L'Inpgi non era e non è un mero gestore del Fondo ex fissa. Così come la clausola all'articolo 6 del regolamento del Fondo che esonerebbe l'Istituto dai pagamenti per ragioni di mera illiquidità, appare nulla per violazione dell'articolo 1229 (co.1) del Codice civile che vuole nulle le clausole di esonero da responsabilità per dolo e colpa grave. Nel caso dell'Inpgi saremmo di fronte ad una colpa grave per non aver l'Istituto attivato quanto previsto da regolamento e convenzione per dotarsi della liquidità necessaria al pagamento delle ex fisse. In sostanza nessuna pressione sulla Fieg perché fornisse i mezzi finanziari.

dall'inviato Francesco M. de Bonis

Roma, 29 luglio 2015. L'Inpgi non era e non è un mero gestore del Fondo ex fissa. Così come la clausola all'articolo 6 del regolamento del Fondo che esonerebbe l'Istituto dai pagamenti per ragioni di mera illiquidità, appare nulla per violazione dell'articolo 1229 co.1 del codice civile che vuole nulle le clausole di esonero da responsabilità per dolo e colpa grave. Nel caso dell'Inpgi saremmo di fronte ad una colpa grave per non aver l'Istituto attivato quanto previsto da regolamento e convenzione per dotarsi della liquidità necessaria al pagamento delle ex fisse.


Questa la sostanza, in estrema sintesi, della sentenza di primo grado depositata ieri dal giudice del lavoro di Roma, terza sezione, dottor Dario Conte, con la quale Inpgi viene condannato a pagare ad un ex inviato speciale del Messaggero 81.460 euro di ex fissa oltre agli interessi del 5 per cento annuo dalla data del suo pensionamento, il primo febbraio 2013, e assieme alla Fnsi 7.000 euro per spese e onorari.


La sentenza del giudice Conte apre nuovi scenari giuridici per una vicenda, quella della ex fissa, che vede da un lato lo studio legale Albisinni-Buonafede di Roma che rappresenta circa 35 giornalisti pensionati e dall'altro l'Inpgi e la Fnsi. Questa sentenza capovolge nettamente il senso delle prime pronunce della sezione del lavoro di Roma che, con sentenze quasi fotocopia, aveva dato ragione all'Inpgi arroccatosi dietro l'articolo 6 del regolamento, quello che lo esonerava dai pagamenti in mancanza di fondi.


Ma la sentenza depositata ieri va molto oltre. In 9 pagine di motivazione il dottor Conte smonta punto per punto i tentativi che Inpgi, attraverso i suoi legali, e Fnsi attraverso interventi ad adiuvandum, hanno fatto per dimostrare di essere essi stessi delle vittime della crisi dell'editoria e del susseguirsi, negli ultimi anni, di stati di crisi che creavano prepensionati e quindi buchi nel Fondo ex fissa.


A questo proposito, scrive il giudice Conte: "Come si è premesso, l'art. 6 co3 della convenzione obbligava l'Inpgi a sorvegliare la liquidita' della gestione ed a segnalare immediatamente agli stipulanti (Fnsi e Fieg, ndr) le necessita' di reintegro, precisando, sulla base di apposita documentazione presentata al Comitato di gestione, la somma necessaria e l'ente o gli enti tenuti al reintegro. Orbene - prosegue la sentenza- sebbene l'Inpgi stesso assuma di essere in crisi di liquidita' da almeno 4 anni, non consta che esso abbia mai assolto all'obbligo di chiedere il reintegro della liquidita', tantomeno con le modalita' previste dall'articolo 6, co.3, limitandosi a comunicare mensilmente agli stipulanti le somme erogate e le pratiche giacenti e a deliberare, nel dicembre 2010, infruttuosamente, per mancata approvazione dei ministeri vigilanti, un prestito al Fondo integrativo a rivalersi sulle aziende editrici".


Prosegue il dottor Conte nella sentenza (di fatto smascherando l'inattivita' a recuperare liquidita' da parte dell'Inpgi): "peraltro la piu' "antica" comunicazione, quella del 5/72010, dava gia' atto di 427 giacenze per pendenze gia' allora ammontanti a oltre 46 milioni di euro contro appena 102 pratiche liquidate, il che considerato che di li' in poi le giacenze sono aumentate di poche decine al mese, rende evidente che la situazione di illiquidita' risaliva ad espoca ben anteriore e, solo aggravata dalla congiuntura, trovava causa nella totale mancanza di strumenti di programmazione atti a consentire la tempestiva verifica dell'adeguatezza delle entrate in rapporto alle uscite. Di cio' da' conferma la ridetta delibera del 14/12/2012 che afferma che la crisi del serrore dell'editoria aveva "comportato un alteriore differimento temporale nell'erogazione delle prestazioni rispetto alla relativa maturazione", i cui tempi di attesa erano ormai (gia' allora) di circa 5 anni. Il che significa che c'erano gia' nel 2010 pendenze per illiquidita' dal 2005/2006, eppure nulla era stato fatto fino ad allora per dotare il fondo della liquidita' necessaria a soddisfare i diritti che andavano a maturare".


Un duro atto di accusa, questo passaggio della sentenza del giudice del lavoro di Roma, nei confronti dell'Inpgi e dei suoi amministratori, di chi avrebbe dovuto vigilare e intervenire immediatamente sul Fondo e sui soldi che gli editori versavano a nome dei giornalisti. Invece degli accantonamenti cosi' come previsto da regolamento e convenzione Inpgi ha fatto un grande calderone di quei soldi, senza dare l'allarme dell'approssimarsi dell'illiquidita' sin dall'inizio degli anni Duemila.


Un altro cavallo di battaglia della difesa Inpgi e Fnsi miseramente smontato dalla sentenza del giudice Conte - sul quale avevano di contro puntato altre precedenti sentenze- e' quello relativo al recente accordo contrattuale e successive deliberazioni del giugno- luglio 2014. Quello della cancellazione del Fondo, dell'accordo transitorio e del pagamento (?) in 12 anni (se mai ci sara' la disponibilita' del dovuto attraverso il prestito agli editori.


Scrive il giudice Conte: "L'opponente (Inpgi) e l'interveniente (Fnsi) hanno opposto al ricorrente (il giornalista e i suoi legali Albisinni e Buonafede) la nuova regolamentazione, alla luce della quale egli dovrebbe attendere 12 anni per vedersi liquidare la prestazione gia' maturata il primo febbraio 2013 secondo l'art. 5 del Regolamento approvato con l'accordo del 1994. Il nuovo accordo, come fondatamente eccepito dalla difesa del giornalista, non appare a questi opponibile. E' infatti condivisibile ius receptum che la contrattazione collettiva, in assenza di specifico mandato o assenso in ratifica del lavoratore, non puo' incidere in senso peggiorativo sui cd. diritti quesiti, tali da intendersi diritti gia' maturati, ossia entrati a far parte del patrimonio del prestatore, per essersi gia' verificati i fatti costitutivi del diritto ed essere questo gia' divenuto esigibile (Cassazione 14944/2014, 13960/2014,3982/2014,20838/2009)".


La sentenza così si conclude: "In base all'esito compressivo della lite e' soccombente l'Inpgi, che ha dato causa al giudizio rifiutando indebitamente si erogare la prestazione dovuta. Soccombente e' altresì la FNSI che ne ha infondatamente difeso le ragioni".





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