26.2.2016 -Nessun risarcimento alle parti per la pubblicazione arbitraria degli atti di un procedimento penale. Infatti, l'articolo 684 del Codice, che sanziona questa condotta, ha come obiettivo esclusivo l'interesse dello Stato al corretto funzionamento dell' attività giudiziaria. Il privato non è quindi legittimato a richieste di indennizzo legate alla trasgressione di questa sola norma. La Cassazione ha così respinto le richieste di Mediaset nel confronti del quotidiano La Repubblica, che il 23 marzo 2005 aveva pubblicato un articolo dal titolo «Ora il dovere di fare chiarezza», in cui si traeva spunto dall' avviso di conclusione indagini della Procura di Milano sulla presunta frode fiscale nella compravendita di diritti televisivi commessa dai vertici della società fondata dall' allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
Mediaset aveva chiesto la condanna dell'editrice, il Gruppo editoriale L' Espresso, dell' allora direttore della testata, Ezio Mauro, e dell' autore dell' articolo, Giuseppe D' Avanzo, al risarcimento dei danni subiti, effetto della violazione sia delle norme sulla privacy sia dell' articolo 684 del Codice penale. Su quest' ultimo punto si sono concentrate le Sezioni unite civili, con la sentenza n. 3727 depositata ieri, che ha sposato una tesi sinora minoritaria in Cassazione.
La pronuncia dà infatti conto dell' indirizzo prevalente, che individua nell' articolo 684 un reato di natura plurioffensiva, diretto a tutelare nella fase istruttoria dignità e reputazione di tutti i partecipanti al processo e non solo l' interesse dello Stato al funzionamento della giustizia.
Le Sezioni unite invece ritengono che, in assenza di un'espressa violazione a riservatezza e reputazione, nulla possano chiedere le parti del procedimento. In questo senso è determinante l' articolo 114 del Codice di procedura penale, che consente sempre la pubblicazione degli atti non più coperti da segreto. Negando la riproduzione testuale, ma permettendo sintesi o parafrasi che ne divulghino il contenuto, il legislatore, osservano le Sezioni unite, ha fatto il massimo possibile per conciliare impianto accusatorio e diritto di informare e di essere informati.
«La scelta operata dal legislatore nel 1988 - scrivono le Sezioni unite - si rivela tuttavia priva di senso ove la si voglia ritenere preordinata a tutelare anche la dignità e la reputazione dei soggetti che, in varia guisa, partecipano al processo. Non si vede, invero, come siffatti beni possano essere conculcati dalla riproduzione testuale degli atti processuali più che dalla esplicitazione del loro contenuto, che mette in ogni caso sulla piazza vicende personali della parte di volta in volta interessata».
Ma le Sezioni unite fanno anche un passo ulteriore, favorendo la cronaca giudiziaria Ritengono infatti legittima la pubblicazione di atti non più coperti da segreto secondo una valutazione da effettuare caso per caso dal giudice di merito e certo nel segno della "modica quantità". Di contro è infondato l'orientamento più rigorista, nel segno di un divieto assoluto di pubblicazione, senza eccezioni. Per le Sezioni unite, infatti, una riproduzione comunque limitata si presta comunque a essere valutata nel giudizio di idoneità lesiva della condotta, tenendo presente oltretutto la nuova causa di non punibilità per tenuità del fatto in ambito penale e, in quello civile, l'irrisarcibilità del danno patrimoniale di lieve entità.