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L'ossessione dello scoop, Riina jr. e l’oligarchia dell’antimafia.

di Aldo Forbice/Avanti

8.4.2016 - Due fatti mi hanno particolarmente colpito negli ultimi giorni. Il primo è la discussa intervista al figlio di Riina a Porta a Porta. E’ noto come l’ immarcescibile Bruno Vespa abbia giustificato l’evento giornalistico e come i contestatori –in primis la presidente della Commissione antimafia,Rosy Bindi – abbiano aspramente criticato quella scelta, col “negazionismo” (della mafia,s’intende). Penso però che le cose vadano viste diversamente. In primo luogo da quella piatta e insipida intervista di un bamboccione (anche se condannato per mafia), nato e cresciuto in un ambiente tipicamente mafioso,non abbiamo saputo nulla di più di quanto già non si sapesse. Il “ragazzo” ha risposto vagamente alle domande “chiave”, del tipo “non  so, non sapevo, non tocca a me giudicare, mio padre faceva un mestiere particolare“ e cose di questo tipo. E’  incomprensibile e comunque non credibile che un uomo di 29 anni, a conoscenza  di delitti orrendi, anche di bambini sciolti nell’acido, abbia fatto di tutto  per apparire un bravo ragazzo, rispettoso delle istituzioni e delle leggi, che  comunque si rifiuta di giudicare, senza voler distinguere il bene dal male, anche se quest’ultimo è rappresentato dal “capo dei capi” delle cosche mafiose. Che cosa ci ha regalato di inedito il buon “Vespone”? Eppure, a suo tempo, il  conduttore di Porta a Porta criticò severamente Santoro, quando intervistò il  figlio di Ciancimino (Quando intervistai per un programma tv Ciancimino padre, che era sindaco di Palermo, a una domanda sulla mafia, mi rispose che “la mafia non esisteva, era solo una invenzione dei giornalisti”. Peccato che l’ex sindaco non avesse letto nulla della vasta letteratura sulla mafia: lo studioso Matteo Di Gesù in “L’invenzione della Sicilia”, Carrocci editore, elenca più di 300 saggi sulla materia, pubblicati fra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del ‘900, compresi quelli del leader democratico Napoleone Colajanni,  del socialista Paolo Valera e del contemporaneo Leonardo Sciascia).
In realtà, per incrementare gli ormai esangui ascolti del suo programma, il cattolicissimo  Vespa intervisterebbe anche il diavolo, con la motivazione che per combattere il male bisogna conoscerlo da vicino. Si tratta di una sua personale interpretazione del servizio pubblico, visto che mette sullo stesso piano carnefici e vittime. Solo che questa volta non si è trattato di “negazionismo”: una definizione che non ha alcun senso, ma più semplicemente si tratta di “ossessione dello scoop “. Ma uno scoop avrebbe avuto un senso se questo Riina minore avesse detto: non sono mafioso, condanno quel supercriminale di mio padre ed ho deciso di fare il francescano o il frate benedettino perchè Papa Francesco mi ha convertito. Ma, come si è visto, non è stato neanche uno scoop. Tutto il resto è semplicemente ridicolo: l’ad Campo Dall’Orto e la presidente Monica Maggioni che danno “il via libera”, poi criticano ma vanno dalla Commissione antimafia per “giustificare” le scelte del “caro Bruno”, “grande professionista”,soprattutto ora che è diventato amico anche di Matteo Renzi. E Fico che sbraita contro “Vespone”… Sembra una scena della Commedia dell’arte… E strano poi  che questo esponente di M5S abbia brillato per il suo silenzio da quando svolge quel ruolo: nessun presidente è stato così sottotono come lui. Eppure, quando era fuori da questo organismo, gridava forte, protestava, alzava cartelli e si faceva sentire molto, fuori e dentro il parlamento. Stupisce anche il silenzio del Cda della Rai,in questa vicenda . C’è da dire che il consiglio non ha più i poteri di una volta,ma è rimasto comunque silenzioso. Non mi risulta che sia stato imbavagliato. E’ ancora riconosciuta la libertà di opinione e quella del dissenso. Ma evidentemente Renzi intimidisce e persino il loquace Freccero è rimasto paralizzato e senza voce.
L’altro fatto rilevante è rappresentato dal lungo editoriale di Paolo Mieli sul “Corriere”di qualche giorno fa (“Antimafia,la profezia di Sciascia”). L’ex direttore del più diffuso quotidiano italiano  ha compiuto un’analisi coraggiosa e anticonformista sui cosiddetti “professionisti dell’antimafia”, come definì lo scrittore siciliano le lobby che combattevano (a parole ) le cosche di “Cosa nostra”, ma che, in realtà, coltivano i loro interessi, politici (e non solo). Mieli è andato oltre, mettendo sotto accusa associazioni imprenditoriali (pezzi di Confindustria), conniventi con la criminalità e altre realtà ufficialmente schierate contro la mafia. Ha elencato una fitta serie di casi, lasciando sbigottiti (e sdegnati) dall’ipocrisia dilagante, dalla demagogia e dalle falsità uomini, associazioni e comunità che di fatto finiscono,i n nome dell’antimafia, col diventare “compagni di strada”, se non addirittura protagonisti, dei misfatti delle cosche. Senza nominarla esplicitamente Mieli accusa anche associazioni come “Libera”, che finiscono col gestire una quantità di beni (terreni,immobili,ecc.) sottratti alle famiglie mafiose ma che non producono reddito. Anzi, spesso chiedono aiuti allo Stato o agli enti locali per mantenere in piedi aziende decotte, palesemente fuori  mercato. E’ un tema questo che meriterebbe un approfondimento particolare perché si tratta di beni del valore di decine di miliardi di euro, quasi sempre mal gestiti, e che andrebbero semplicemente sottratti ad ogni possibile speculazione, immettendoli sul mercato. Con la loro alienazione si potrebbero ricavare alcune decine di miliardi da utilizzare per opere pubbliche.
Come osserva lo stesso Mieli, che si va sempre più caratterizzando come un giornalista autenticamente liberal, sta crescendo la schiera dei contestatori delle lobby antimafia. Un libro, uscito in questi giorni, di un giovane giornalista siciliano, Giacomo Di Girolamo (“Contro l’antimafia”, il Saggiatore) sostiene che la stessa definizione di Sciascia appare superata  perché “oggi comanda un’oligarchia dell’antimafia e chiunque osi metterla in  discussione viene accusato di complicità”. Di Girolamo (che ha anche scritto un libro sul capo di Cosa nostra,Matteo Messina Denaro) conclude il libro con la  necessità di ripartire da zero nella lotta alla mafia, abbandonando la militanza settaria per abbracciare gli strumenti della cultura, dell’onestà  intellettuale, dell’impegno e della fatica. Come dargli torto ?






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