Milano, 5 maggio 2005. Non c’è pace per l’Inpgi sul fronte della libertà di cumulo. Da Milano piomba sulla testa dell’Istituto una mazzata inesorabile sotto forma di sentenza. L’Istituto deve osservare le stesse regole dell’Inps in tema di libertà di cumulo, come prescrive l’articolo 76 (punto 4) della legge 23 dicembre 2000 n. 388, in forza del quale “le forme previdenziali gestite dall’Inpgi devono essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive”. La controversia, come scrive il giudice, è stata decisa fondamentalmente sulla base di una adeguata valorizzazione dell’articolo 76. Questo è quanto emerge dalla motivazione di una sentenza, firmata dal giudice del lavoro R. Punzo del Tribunale di Milano e depositata ieri in cancelleria, che ha accolto le ragioni del giornalista CK, difeso dall’avvocato Patrizia Sordellini. Il giudice nel dispositivo della sentenza (reso noto il 10 febbraio) ha scritto: “Il tribunale di Milano, disattesa ogni altra domanda ed eccezione, dichiara che il regime di incumulabilità tra pensioni e redditi di lavoro applicato al ricorrente è in contrasto con l’articolo 76 legge n. 388/2000, condanna il convenuto (Inpgi, ndr.) a restituire quanto al periodo pregresso gli importi decurtati dal trattamento pensionistico”. Il giudice ha dichiarato compensate le spese di giudizio (data la novità della causa). I vertici dell’Inpgi dovranno restituire in fretta tutti i quattrini non percepiti da Ck. L’articolo 388 (II comma) del Cp, in caso contrario, li espone a una ritorsione micidiale: il carcere fino a tre anni. Quei quattrini negati formano un credito tutelato dalla legge. Negli anni 70 un amministratore di una grande società venne addirittura arrestato per non aver eseguito una sentenza civile di condanna al pagamento di un credito a favore di un dipendente.
In sintesi, la controversia verteva sulla legittimità del comportamento dell’Inpgi che, a partire dal gennaio 2002, ha applicato nei confronti del giornalista/ricorrente, un trattamento in materia di cumulo oggettivamente peggiorativo rispetto a quello previsto dalla disciplina comune. Più precisamente, anziché applicare per il periodo da gennaio 2002 a dicembre 2002, una trattenuta nella sola misura del 30% sul rateo mensile di pensione dovuto in conformità all’art. 72 (2° comma) della legge 23 dicembre 2000 n. 388 (c.d. Finanziaria 2001) nonché consentire per il periodo successivo il pieno cumulo fra rateo pensionistico e reddito da lavoro dipendente – secondo quanto previsto dall’articolo 44 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 (c.d. Finanziaria 2003) - l’ente previdenziale ha operato, all’inizio, una decurtazione del rateo pensionistico spettante al ricorrente nella misura del 50%, applicando l’articolo 15 del proprio Regolamento approvato con D.M. 24 luglio 1995 e, successivamente, ha azzerato l’erogazione del trattamento pensionistico, quando il ricorrente è stato di nuovo assunto...
La svolta è maturata con l’art 44 della legge 289/02 (Finanziaria per il 2003), la quale “ha introdotto il regime della totale cumulabilità tra pensioni di anzianità con redditi di lavoro di qualunque natura, quando i titolari abbiano 37 anni di contributi e 58 anni di età, consentendo inoltre in via transitoria a chi già fruisca alla data del 1.12.2002 di trattamento di anzianità, di accedere (se sprovvisto dei requisiti di età e di anzianità contributiva) alla totale cumulabilità, dietro pagamento di una somma di denaro da calcolare secondo i criteri prefissati dalla norma stessa”. Scrive ancora ilm giudice: ““Non è possibile "salvare" l'attuale regime di incumulabilità (neppure invocando l'esigenza del perseguimento dell'obiettivo tendenziale dell'equilibrio di bilancio, che ‑ come affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n° 437/02 ‑ non può comunque essere assicurato, "con il ricorso ad una normativa che, trattando in modo ingiustificatamente diverso situazioni sostanzialmente uguali, si traduce in una violazione dell'art. 3 della Costituzione" valido per i pensionati dell'Istituto convenuto a fronte di quello, opposto, ormai acquisito con riguardo alla generalità dei cittadini”. Il giudice in sostanza ha fatto propri tutti gli argomenti giuridici sollevati dal presidente dell’Ordine di Milano e di cui c’è una forte traccia nel portale dell’Ordine e nelle pagine di Tabloid oggi consultabile online (www.odg.mi.it). Ed ecco il testo integrale della sentenza:
TRIBUNALE DI MILANO SEZIONE LAVORO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Milano, in persona del .dott. R. PUNZ0, all'udienza di discussione del 10/02/05 ha pronunciato la seguente SENTENZA
nella causa civile n° 9571/03, promossa da:
C.K. elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Pa. Sordellini ‑ Milano che lo rappresenta e difende come da delega in atti - PARTE ATTRICE
nei confronti di
I.N.P.G.I. ‑ Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani "Giovanni Amendola"
el. dom. presso lo studio dell'avv. Fr. De Sio - Milano, che la rappresenta e difende come da delega in atti - PARTE CONVENUTA
OGGETTO: PREVIDENZA
FATTO E DIRITTO ‑ Visto i1 ricorso, depositato in data 16.12.2003, con cui il dott. CK, giornalista professionista, ha esposto:
che 1'Inpgi gli ha riconosciuto con decorrenza 1.11.2000 trattamento pensionistico di anzianità per lorde Lit. 000.130.686, sulla base di 419 contributi mensili accreditati presso 1'INPGI e 41 contributi presso l'INPS (36 anni e otto mesi complessivi); che egli a partire da gennaio 2002 ha instaurato un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con la BKK; che 1'INPGI, in applicazione del regolamento dell'Istituto, che consente il cumulo tra redditi di lavoro autonomo e pensione solo limitatamente alla metà, ha comunicato la decurtazione del 50% del rateo mensile della pensione; che dopo che il rapporto lavorativo del ricorrente è divenuto di carattere subordinato, l'INPGI ha sospeso per intero la corresponsione della pensione; che a nulla sono valse le ripetute istanze intese ad ottenere la cumulabilità del trattamento pensionistico con i redditi da lavoro, in applicazione delle nuove disposizioni di legge introdotte dal 2000 in poi;
e ha chiesto:
come da conclusioni in atti, sull'assunto dell'illegittimità dell'art. 15 Regolamento INPGI (approvato con D.M. 24.7.1995) e della diretta applicabilità nei confronti dell'INPGI, dell'art. 72 L. n° 388/2000 e 44 L. 289/2002, la condanna dell'INPGI a restituirgli le somme indebitante trattenute oltre che ripristinargli, dal settembre 2003, il trattamento previdenziale illegittimamente sospeso;
Vista la memoria di costituzione, con cui la parte convenuta ha resistito, contestando il fondamento delle avversarie domande, di cui ha chiesto il rigetto, deducendo, tra 1' altro, di avere modificato con delibera 106/01 e poi del 19.5.2004 la disciplina del cumulo tra redditi da lavoro e pensioni;
All'esito del deposito di note difensive, e della discussione, terminata in data odierna, e seguita dalla lettura del dispositivo sotto riportato, il Giudice OSSERVA quanto segue.
Rilevato preliminarmente che si verte in tema di trattamenti pensionistici su base "retributiva" e non "contributiva", la presente controversia ha ad oggetto esclusivamente questioni di diritto, essendo invece i fatti pacifici.
Assume la difesa del ricorrente che 1'INPGI, in forza dell'art. 76 L. 388/2000, non può applicare ai giornalisti dipendenti, in materia di cumulo tra redditi e pensione, un trattamento deteriore rispetto a quello previsto per la generalità dei lavoratori comuni, e che peraltro ove l'art. 2 d.lsvo 30.6.1994, da solo ovvero in combinato disposto con l'art 76 cit. consentisse una diversa interpretazione, sarebbe incostituzionale (e in tal senso ha sollevato questione di costituzionalità per contrasto con gli arti. 3, 4, 35 e 38 Cost.)
L'INPGI, in sostanza, afferma, invece, che esso fruisce di ampia autonomia e che ‑ come ribadito dai Ministeri vigilanti - le norme dell'assicurazione generale obbligatoria non hanno automatica applicazione nei confronti degli enti previdenziali privatizzati , i quali hanno soltanto facoltà di recepirle o meno, tenendo conto degli equilibri di gestione dei propri bilanci .
Il ricorso è fondato per quanto di ragione .
Storicamente, in passato il divieto di cumulo pensione - redditi da lavoro é stato mano a mano esteso alla generalità dei pensionati. La legge n. 421 del 1992, delegando il Governo al riordino del sistema previdenziale ha posto tra i criteri direttivi, quello dell' “armonizzazione ed estensione della disciplina in materia di limitazione al cumulo delle pensioni con i redditi da lavoro subordinato ed autonomo per tutti i lavoratori pubblici e privati" (art. 3, comma 1, lettera m), prevedendo anche che la concessione della pensione di anzianità avvenisse dopo l’effettiva cessazione dell’attività lavorativa, dipendente o autonoma, con identici criteri di non cumulabilità tra pensione e retribuzione o reddito da lavoro autonomo” (art. 3, comma 1, lettera n, punto 4). L’art. 10 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, nel testo modificato dall’art. 11 della legge n. 537 del 1993, ha disposto, per tutte le forme previdenziali dei lavoratori dipendenti, il divieto totale di cumulo fra pensione di anzianità (o trattamenti anticipati di anzianità) e redditi da lavoro subordinato, stabilendo, nel contempo, una parziale incumulabilità con i redditi da lavoro autonomo, limitata alle quote di pensione eccedenti l'ammontare del trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti; quote rese non cumulabili nella misura del 50 per cento, sino a concorrenza dei redditi stessi.
Per i lavoratori dipendenti, il trattamento è stato condizionato alla risoluzione del rapporto di lavoro (comma 6). La legge 8 agosto 1995, n. 335, in sede di riforma generale pensionistica, ha enunciato i principi generali anticumulo applicabili a regime alla nuova prestazione denominata "posione di vecchiaia” (sostitutiva, sulla base del sistema contributivo, delle precedenti pensioni di vecchiaia ed anzianità).
Sono seguiti il comma 189 dell'art 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e, per i titolari di pensioni di anzianità a carico dell'assicurazione generale dei lavoratori autonomi, il successivo comma 190 del medesimo art 1; sempre nell'ottica di limitare al massimo il cumulo e l’art. 59, comma 14, della L n. 449/97 (menzionato anche dal rimettente), 1992), che ha stabilito l'incumulabilità delle quote dei trattamenti pensionistici di anzianità dei lavoratori dipendenti, eccedenti il "trattamento minimo", con i redditi da lavoro autonomo nella misura del 50% e sino a concorrenza dei redditi stessi , a far tempo dal 1° gennaio 1998.
La tendenza di fondo è, invece, parzialmente mutata a partire con 1'art. 72, co. 2, L. 388/2000, che ha previsto la cumulabilità delle pensioni con i redditi da lavoro autonomo, nei limiti del 70 %, e ‑ in modo radicale ‑ con l’art 44 L. 289/02, la quale ha introdotto il regime della totale cumulabilità tra pensioni di anzianità con redditi di lavoro di qualunque natura, quando i titolari abbiano 37 anni di contributi e 58 anni di età, consentendo inoltre in via transitoria a chi già fruisca alla data del 1.12.2002 di trattamento di anzianità, di accedere (se sprovvisto dei requisiti di età e di anzianità contributiva) alla totale cumulabilità, dietro pagamento di una somma di denaro da calcolare secondo i criteri prefissati dalla norma stessa.
Tanto premesso, ritiene il giudicante che fondamentalmente la controversia possa essere decisa sulla base di una adeguata valorizzazione del dato testuale e della ratio dell'art. 76 L. 388/2000, secondo cui "le forme previdenziali gestite dall'INPGI devono essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive" .
Il "coordinamento" implica necessariamente un forte limite e un correlativo vincolo, anche finalistico, alla autonomia delle scelte dell'Istituto in quanto queste devono essere adottate in conformità (si badi non ai principi generali dell'ordinamento valevoli nel settore, ma) alle "norme" regolanti tra l'altro "le prestazioni" della AGO e dei regimi sostitutivi ; se questo è il parametro a cui deve essere "coordinata" l'autonomia dell'INPGI, ne discende che , una volta mutata la legge, l'INPGI deve "coordinarsi" alle nuove disposizioni di carattere generale relative alla previdenza sociale , e non può mantenere sic et simpliciter le proprie precedenti normative interne.
Il vero problema è in che limiti il "coordinamento" comporti adeguamento pieno allo ius superveniens .
Il Consiglio di Stato, con la propria decisione n° 3005/04, ha affermato che “il legislatore ha ritenuto di mantenere ferma 1'esistenza dell'Istituto e di non incidere sulla sua autonomia riguardante il regime delle prestazioni e dei contributi .... ma ha fissato una regola di raccordo con la disciplina generale sulla previdenza sociale; per evitare nette divaricazioni e disparità tra la disciplina riferibile all'attività dell'INPGI e quella degli altri enti previdenziali, il richiamato art. 76 ha previsto il principio di coordinamento ..: ciò comporta che il principio di coordinamento non ha vanificato quello di autonomia, ma lo ha integrato quale limite che non consente all'istituto di prescindere dal sistema generale della previdenza sociale, con cui tendenzialmente deve armonizzarsi".
Ad avviso del giudicante, la decisione ora riportata è pienamente condivisibile, perché realizza un ragionevole punto di equilibrio tra i due "beni" giuridici potenzialmente conflittuali della autonomia e dell'obbligo di coordinamento.
Proprio aderendo a tale autorevole interpretazione (contrariamente a quanto opina 1'INPGI) non è possibile "salvare" l'attuale regime di incumulabilità (neppure invocando l'esigenza del perseguimento dell'obiettivo tendenziale dell'equilibrio di bilancio, che ‑ come affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n° 437/02 ‑ non può comunque essere assicurato, "con il ricorso ad una normativa che, trattando in modo ingiustificatamente diverso situazioni sostanzialmente uguali, si traduce in una violazione dell'art. 3 della Costituzione" valido per i pensionati dell'Istituto convenuto a fronte di quello, opposto, ormai acquisito con riguardo alla generalità dei cittadini”.
Si tratta infatti ‑ volendo utilizzare la terminologia del Consiglio di Stato ‑ di una "divaricazione" assoluta, che si traduce nella negazione, con riguardo soltanto ad appartenenti a una ristretta categoria, del diritto alle prestazioni pensionistiche, sulla base, oltre tutto, di fatti (proventi da attività lavorativa) del tutto estranei e sopravvenuti al rapporto previdenziale ‑ assicurativo, cioè all'entità dei contributi versati e al loro normale rendimento .
E' certo che secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale (motivata con svariate esigenze, tra cui il contenimento della spesa pubblica, e la parificazione, quanto all'accesso al mercato del lavoro, dei lavoratori non pensionati rispetto a quelli pensionati) il cumulo tra pensione e redditi lavorativi può essere in tutto o in parte vietato; tuttavia, avendo la giurisprudenza costituzionale sempre rimesso le determinazioni in materia alla discrezionalità, oltre tutto "non irragionevole", del legislatore, e solo di questi, è chiaro che una volta che il legislatore ha operato discrezionalmente e del tutto legittimamente), con la legge 289 del 2002, la scelta di rendere in generale lecito il cumulo, l'ordinamento non sopporta affatto e non lascia spazio a un difforme trattamento dell' INPGI, che d'altro canto neppure fruendo della propria autonomia può pervenire a risultati che nel presente e nell'avvenire contrastino con l'obbligo del coordinamento.
Consegue dalle considerazioni ora svolte la chiara illegittimità, con decorrenza dall'entrata in vigore dell'art. 44 cit., delle disposizioni INPGI (art. 15 Regolamento approvato con D.M. 24.7.1995) applicate a CK .
In questi limiti le domande sono fondate, essendo doveroso precisare che in questa sede non possono essere prese in considerazione le disposizioni INPGI (che nelle intenzioni avrebbero dovuto sostituire quella applicata in concreto al ricorrente) adottate con delibera 106 del 2001 e 19.5.2004, perché sulla prima delibera è intervenuto decreto di annullamento del ministro del Lavoro e sulla seconda difetta tuttora la necessaria approvazione ministeriale .
Per la natura e la novità delle questioni trattate sussistono evidenti giusti motivi di compensazione delle spese.
P.Q.M.
IL GIUDICE DEL LAVORO DEL TRIBUNALE DI MILANO
disattesa ogni altra domanda ed eccezione, DICHIARA che il regime di incumulabilità tra pensione e redditi da lavoro applicato al ricorrente é in contrasto con l'art. 76 L. n° 388/2000; CONDANNA il convenuto a restituire, quanto al periodo pregresso, gli importi decurtati dal trattamento pensionistico.
Così deciso in Milano, all'udienza del 10 febbraio 2005
IL GIUDICE