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In allegato l’indagine di
AstroRicerche: "Il futuro
del giornalismo. Le notizie,
le idee, gli italiani, la pubblicità".

Il megaconvegno dell’Ordine
lombardo privo di novità:
confermato che l’Italia
non ama i giornalisti e che li
ritiene “bugiardi cronici
e non indipendenti”. E’ la
scoperta dell’acqua calda.

Gli inserzionisti, dopo averne
distrutto la credibilità, chiedono
ora una stampa autorevole
per dare forza anche ai messaggi
pubblicitari. L’Ordine di Milano,
inascoltato e in solitudine, diede
tra il novembre ‘86 e il maggio 2007
l’allarme più volte sulle “relazioni
pericolose” all’interno delle
redazioni dei periodici (e non solo).

In coda la cronaca di www.odg.mi.it

Milano, 1 ottobre 2008. Poco informati, non indipendenti, addirittura bugiardi cronici: questa l'opinione della maggioranza degli italiani sui 'loro' giornalisti, un risultato poco gratificante che emerge da un'indagine condotta dalla società specializzata AstraRicerche (diretta da Enrico Finzi). Secondo l'indagine, commissionata dall'Ordine dei giornalisti della Lombardia e presentata nel corso di un convegno sul “futuro della professione” svoltosi oggi all’Università statale di Milano, l'immagine sociale degli operatori dell'informazione in dieci anni è tra l'altro sensibilmente peggiorata. "In effetti il giudizio sociale sui giornalisti è in continuo peggioramento – ha precisato  Finzi - ma dall'indagine emerge sopratutto come il patrimonio della professione non sia dilapidato: esiste un'enorme domanda insoddisfatta di buona informazione".


Dalla ricerca demoscopica, il 68% degli italiani definisce i giornalisti "bugiardi", contro un tasso del 60% registrato in una precedente indagine, effettuata nel 1997. Oggi il 60% del campione, sintetizza l’Ansa,  ritiene i giornalisti "non o poco informati", contro il 48% della precedente ricerca. Stabile il giudizio sulla mancanza di indipendenza: è l'opinione del 52% degli italiani, contro il 51% registrato nel 1997. Scendono sotto la metà del campione, ma rimangono comunque una minoranza molto consistente, coloro che ritengono i giornalisti "di parte" (48%) o addirittura "corrotti" (40%). Un giudizio riassunto dalla valutazione complessiva sulla professione: il 45% degli italiani giudica positivamente la preparazione degli operatori dell'informazione (ottima per il 15%, buona per il 20%, sufficiente secondo il 10%), contro un 55% non soddisfatto, con un giudizio pessimo (32% delle risposte) o cattivo (23%). Ma il ruolo del giornalismo non viene ritenuto secondario, anzi: l'83% degli intervistati cita eccezioni positive, con la stragrande maggioranza degli italiani (73%) che sente ancora l'utilità della professione. Evidentemente se fatta bene: il 38% definisce "altissimo" il ruolo sociale del giornalismo, il 16% lo ritiene "alto", il 19% "medio". Solo il 15% definisce "scarsa" l'utilità sociale dell'informazione, il 12% ritiene del tutto "nulla".


L'indagine di AstraRicerche, sintetizza ancora l’Ansa, individua anche quelli che si potrebbero chiamare i 'dodici comandamenti' per i giornalisti richiesti dal loro pubblico. Il primo è la "competenza tematica", derivante dalla specializzazione settoriale o dal metodo di lavoro: la chiede il 90% degli intervistati. La seconda qualità indispensabile, indicata dal 79% del campione, é "la professionalità e il corretto utilizzo del know-how". Seguono la chiarezza (77%), la capacità di coinvolgere emozionalmente (73%), l'efficacia comunicativa (65%), l'eticità (64%), la pacatezza non aggressiva o ansiogena (62%), il rispetto degli altri (53%), l'aiuto a capire (50%), l'utilità informativa (47%) e la cosiddetta 'education' (37%), cioé la capacità di far 'crescere' nel tempo la capacità del lettore o dell'ascoltatore nel seguire i temi di proprio interesse. C'é una sola concessione che gli italiani sembrano fare a chi lavora nell'informazione: il giornalista può anche non essere simpatico. Solo il 36% degli intervistati ritiene infatti la simpatia una caratteristica cruciale per chi scrive articoli, legge notiziari televisivi o comunque veicola le informazioni al grande pubblico.


“IN SINTESI, LA CATEGORIA, - scrive Finzi -, RISULTA NON APPREZZATA MENTRE SINGOLI GIORNALISTI (LE "ECCEZIONI") SONO STIMATI E AMATI, ESEMPI DEL GIORNALISTA 'IDEALE' (POCO DIFFUSO). EMERGE FORTISSIMA LA DOMANDA D'UN GIORNALISMO FORTE, COMPETENTE, AVVOCATO DELLA VERITÀ, APPASSIONATO E UTILE. I GIORNALISTI ITALIANI HANNO UN GRAVE PROBLEMA DI IMMAGINE,  DI REPUTATION”.


Andiamo, osserva Finzi, “VERSO UNA SVOLTA EPOCALE: DALLA PUBBLICITÀ 'COLONIALISTA' ALLA PUBBLICITÀ INTERESSATA ALLA QUALITÀ DEL PRODOTTO (editoriale, grafica e giornalistica) E DELLA SUA RELAZIONE COL CITTADINO. LA SVOLTA EPOCALE si registra DALLA FINE DEGLI ANNI '60, con accelerazione dai primi anni '80, I 'MEZZI' SPESSO, scrive Finzi, SONO DIVENUTI NON VEICOLI MA MERI CONTENITORI DI PUBBLICITÀ. I GIORNALISTI SONO DIVENTATI PER LO PIÙ: UN DISTURBO, UN VINCOLO, UNA MINACCIA, SE AUTONOMI; SERVI, MEGAFONI, A VOLTE SICARI: SE 'COERENTI COL PROGETTO' AZIENDALE. Oggi la pubblicità, - secondo Finzi -, ha bisogno di un giornalismo competente, autonomo, critico ed etico: l’unico in grado di salvare la pubblicità stessa sui vecchi e sui nuovi media”.  In un convegno degli intermediari pubblicitari svoltosi a Firenze 7 anni fa, Franco Abruzzo sviluppò questi stessi concetti e venne sonoramente  fischiato. I tempi, però, cambiano. Speriamo in meglio.


La storia del giornalismo non è una materia di moda tra i cronisti. Se lo fosse, tutti saprebbero che a fine 600, il Papa felicemente regnante  parificò i “gazzettieri” alle puttane (“le signore che vanno in carrozza”). Il protagonista di "Bel-Ami" di Guy de Maupassant (romanzo pubblicato nel  1885) è descritto – e lo ha ricordato Valentino Parlato intervistato dagli allievi dell’Ifg -   come un giornalista cinico, canaglia, senza scrupoli, arrampicatore sociale spregiudicato, pronto alla spacconeria e alle bravate. Quell’immagine, tracciata da Guy de Maupassant, è rimasta  appiccicata ai giornalisti in maniera indelebile, anche se le generalizzazioni hanno limiti facilmente percepibili.  I giudizi sui giornalisti italiani, tra il 1997 e oggi, come riferito, sono diventati più sprezzanti.


Tra il 1991 e il 2007 l'efficacia della pubblicità, è emerso dalla ricerca, si è praticamente dimezzata e gli investitori, depurata l'inflazione, devono spendere più del doppio per raggiungere gli stessi obiettivi. «Dopo aver in diversi modi contribuito a rendere meno autorevoli i media - spiega Finzi - ora gi investitori hanno però bisogno di giornali e veicoli credibili: serve un giornalismo riposizionato e abbiamo diversi segnali per dire che continueranno a nascere nuove testate, non solo sul web».  A questo punto Finzi ha accusato Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine lombardo dal maggio 1989 al giugno 2007, di aver condotto “processi simbolici”, in sostanza di non aver colpito tutti i giornalisti, che, nel corso degli anni, hanno violato la deontologia sul fronte della commistione pubblicità/informazione. Sul punto Franco Abruzzo ha rilasciato questa dichiarazione: “Finzi fa finta di non non conoscere che  l’Ordine di Milano, con me presidente, ha costruito il diritto  vivente in tema di commistione anche grazie alle sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello di Milano (nonché della Cassazione) che hanno confermato le nostre delibere. Il Consiglio è formato da 9 giornalisti volontari, che fanno i giudici senza alcuna copertura pubblica sui rischi connessi a questa attività. E’ noto che le Procure all’inizio di ogni anno decidono quali reati perseguire e quali no di fronte alla mole immensa delle denunce. Finzi pretende da un Consiglio dell’Ordine, che non ha la polizia giudiziaria a sua disposizione, di controllare tutta la stampa (quotidiana e periodica), i Tg, i radiogiornali e i giornali web. Una impresa impossibile. Abbiamo un promotore di giustizia, che è la Procura generale, che in 18 anni avrà segnalato non più di 10 illeciti disciplinari. In conclusione ci siamo mossi con il metodo dei giudici di professione, non siamo diventati giustizieri ciechi e sordi, che menano fendenti dove capita. La collezione di “Tabloid” offre una rassegna puntuale di decisioni rigorose ed equilibrate nei confronti dio testate di  grandi e medio-piccole case editrici”. 


“Il Consiglio da me presieduto –  afferma Abruzzo - ha maturato la convinzione  che la commistione pubblicità/informazione appare una risposta miope e sbagliata da parte degli editori, che non si pongono il problema di  tutelare i diritti dei lettori. Le inserzioni ingannevoli sono una truffa. E’ eccessivo pretendere la correttezza dei messaggi? Il Consiglio ha  affermato in diverse delibere che esiste una strategia precisa degli editori  secondo la quale la pubblicità deve presentarsi come informazione e/o frammista all’informazione. Gli editori puntano da anni a collocare il messaggio pubblicitario in maniera sempre più diretta all'interno dell'informazione.  La nuova frontiera della pubblicità, che sta invadendo l'informazione, mette in discussione l'autonomia professionale del giornalista con ricadute lesive sull’immagine del giornalista, dell’Ordine, della professione e delle stesse testate. Abbiamo sanzionato i direttori di decine e decine di testate.  Finzi ora giura che gli editori sono pentiti dei danni che hanno fatto ai giornali, ma, quando afferma che “LE RELAZIONI PUBBLICHE HANNO SPESSO ACCRESCIUTO IL CONTROLLO DEGLI INVESTITORI SUI PRODOTTI EDITORIALI”  scopre l’acqua calda. E’ un fatto che conosciamo. Gli inserzionisti della moda addirittura scelgono le foto che vengono poi pubblicate anche nelle copertine dei periodici”.


“Il Consiglio continua Abruzzo – sa tutto sul peso della pubblicità della fattura dei giornali. Mi riferisco alla celebre audizione (1 luglio 1996) della collega Mirella Pallotti, che da direttore di diverse testate,  spiegò quello che accadeva in redazione. Mirella Pallotti affermò che ‘è la pubblicità a dettare i contenuti informativi delle riviste femminili’ (1). Quella audizione può essere letta nel sito dell’Ordine all’indirizzo  http://www.odg.mi.it/node/31239.  Nella battaglia contro il cancro dei giornali, la commistione, il sindacato è stato assente: i Cdr, in pochissimi casi, hanno segnalato la violazione delle regole deontologiche. Eravamo soli. Alcuni direttori ci hanno citato in giudizio per aver pubblicato la notizia delle sanzioni inflitte a loro carico. Il tribunale civile di Milano ha stabilito che le decisioni disciplinari sono pubbliche e divulgabili. Una bella vittoria del diritto di cronaca. Di questo non si è parlato nel convegno. Il mio giudizio sul convegno resta, quindi, per le ragioni illustrate, motivatamente negativo. Ho apprezzato l’abbraccio del presidente del sindacato al presidente dell’Ordine:  vivono giornate difficili sul fronte del contratto e  sul futuro dell’Ordine stesso minacciato di referendum da una iniziativa grillesca. Vanno capiti e compresi. Nessuno, però, sa spiegarsi l’inerzia (15 mesi) del Consiglio entrato in carica nel giugno 2007 sulla commistione. Non regge l’alibi secondo il quale i direttori dei  giornali non possono essere trascinati in giudizio in un periodo di carenza di  pubblicità. Ovviamente nessuno ne ha parlato”.  (Francesco M. de Bonis, documenti AstraRicerche,  tre lanci dell’ANSA).


(1). Mirella Pallotti in quell'occasione ha precisato: "Succede che, addirittura per ordini scritti - e dico ordini perché il direttore in pratica non si può sottrarre - la pubblicità ti dice, spesso numero per numero, cosa devi pubblicare e di chi. Questo molto specificamente soprattutto su settori moda, bellezza, arredamento e cucina. Spesso comunque ci sono delle intromissioni anche nell'attualità. Nell'attualità non avviene per ordine scritto, avviene  per richieste a voce del tipo: . Devo dire che sull'attualità vera e propria comunque le pressioni ci sono, ma non sono istituzionalizzate per iscritto. … Un giornale al servizio della pubblicità - questa è la tesi e la ragione per cui ho rilasciato due anni fa quell'intervi­sta - un giornale troppo al servizio della pubblicità fini­sce per morire. Ci sono dei casi che abbiamo visto, casi di giornali gloriosi, che vendevano un tempo 300.000 copie e che oggi ne vendono 60.000 perché sono ridotti a cataloghi pubblicitari. …Dicevo che ci sono ordini scritti - dei quali ho testimonianza, con documenti che vi posso lasciare - non solo di ciò che bisogna pubblicare, ma anche di ciò che non bisogna pubblicare”.


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da: www.odg.mi.it


Il futuro del giornalismo: i risultati del convegno.


Ora una grande vertenza sulla libertà dell'informazione


: così Letizia Gonzales, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, a chiusura del convegno su “Il futuro del giornalismo. Le notizie, le idee, gli italiani, la pubblicità” che si è svolto ieri nell’aula magna dell’Università Statale di Milano.


 


Milano, 2 ottobre 2008. l convegno è stata l’occasione per presentare i risultati di una ricerca scientifica che l’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha commissionato a Enrico Finzi di AstraRicerche. Lo studio demoscopico (il primo del genere in Italia) ha preso in esame tre filoni: l’immagine dei giornalisti tra i lettori, il ruolo di Internet e l’efficacia della pubblicità. I risultati della ricerca sono stati poi dibattuti in una tavola rotonda moderata da Enrico Regazzoni (Direttore dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Milano) con Lorenzo Del Boca, presidente Ordine nazionale giornalisti (“Oggi non è più il giornalista che cerca le notizia, ma sono le notizie che cercano il giornalista. Internet ha cambiato il “mestiere” e messo in difficoltà la nostra professione. Abbiamo di fronte una sfida che dobbiamo affrontare e vincere, ma la società civile dica se vuole un giornalismo omologato o se vuole ancora che il giornalismo sia cane da guardia del potere”), Maurizio Belpietro, direttore direttore di Panorama (“siamo troppo autoreferenziali. Rappresentiamo un sistema di potere che parla al potere. Oggi c’è un’overdose d’informazioni, il lettore chiede di capire e di essere orientato”), Emilio Carelli, direttore di Sky Tg 24 (“Nostro obietivo è fare Tg indipendenti e non schierati: è l’unico modo per differenziarci. Su Internet si leggono troppo spesso delle bufale: è necessario verificarle, sempre. In questo senso il ruolo del giornalista va difeso a oltranza”), Giampiero Gramaglia, direttore Ansa (“è nostro dovere selezionare, scegliere e certificare le notizie. Per noi, poi, è tempestivo non chi dà per primo la notizia, ma chi sa mettere in evidenza gli elementi essenziali e certi”), Carlo Malinconico, presidente Fieg (“il numero delle copie vendute dai giornali è in continuo calo, ma la domanda e il ruolo del giornalista rimane fondamentale. La presenza di nuovi soggetti sul mercato deve essere interpretata come risorsa. Ma chi lavora in questo mondo ha ancora troppe barriere che coinvolgono il sistema, dalla produzione alla distribuzione”), Rosanna Massarenti, direttore di Altroconsumo (“abbiamo 300mila abbonati e niente pubblicità. Siamo quindi, per nostra natura, indipendenti e vogliamo fare servizi e inchieste con un tipo di informazione che risponde solo ai lettori e su prodotti anche usando il metodo comparativo. E’ un tipo di giornalismo che altri media preferiscono non fare”), Roberto Natale, presidente Fnsi (“il contratto può servire per diminuire quella forbice tra i giudizi negativi e le aspettative positive dei lettori. Il precariato abbassa la qualità. Puntiamo su un accesso qualificato e sulla deontologia come punti cardine per una riforma radicale dell’Ordine. Se i giudizi dei lettori s’incontrano col ‘grillismo’ che chiede l’abolizione, le conseguenze saranno pesantissime”), Giancarlo Santalmassi, direttore di  Radio 24 Il Sole 24 Ore (“i giornalisti devono essere chiari e farsi capire. Oggi la distinzione fra buon  giornalismo e cattivo giornalismo è diventata oscura. In Italia la politica ha mangiato tutto e svuotato, è necessario che il giornalismo faccia ancora il cane da guardia al potere, non del potere”), Carlo Verdelli, direttore de La Gazzetta dello Sport (“bisogna rimettere il lettore al centro di tutto. Sia in Vanity Fair sia nella Gazzetta dello Sport non ho fatto altro che inserire argomenti che prima non avevano spazio, ma va combattuta l’overdose d’informazioni”), Emanuele Pirella, presidente Lowe Pirella Fronzoni (La pubblicità non è necessariamente un elemento di disturbo, può invece essere un mezzo per dare vitalità e nuove idee. Con la sua creatività e imprevedibilità può dare una mano, l’importante è che venga mantenuta la separazione tra contenitore e contenuto”). Sono state, inoltre, proiettate alcune videointerviste registrate a Ferruccio De Bortoli, direttore de Il Sole 24Ore, don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, Ezio Mauro, direttore de La Repubblica, Concita De Gregorio, direttore de L’Unità, Valentino Parlato, presidente de Il Manifesto e Vincenzo Vitelli, vice Presidente Upa. , spiega Letizia Gonzales. Al convegno ha portato i suoi saluti il rettore dell’Università Statale di Milano Enrico Decleva. Tra gli ospiti: Piergaetano Marchetti, presidente di Rcs, Giampaolo Roidi, direttore di Metro, Franco Siddi, segretario della Fnsi, Giovanni Negri, presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti e Roberto Antoniotti, esperto internazionale di tecnologie applicate al giornalismo e collaboratore dell’Associazione internazionale dei quotidiani. News e aggiornamenti nel form a fianco.


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"Il futuro del giornalismo.
Le notizie, le idee,
gli italiani, la pubblicità".



Il megaconvegno (inutile?)
dell’Ordine dei Giornalisti
della Lombardia su materie
sviscerate da almeno 80 anni:
serve dare continuità al
lavoro fatto, tra il 1977
e il 2007, nel campo
della deontologia e della
formazione. Le chiacchiere
non fanno sangue e sostanza,
ma deviano l’attenzione
della gente dai problemi veri
di una professione contestata.

IN CODA LA DOCUMENTAZIONE
sull'immagine dei giornalisti tra i lettori,
sulle nuove tecnologie (e il ruolo di
Internet in particolare) e sulla pubblicità


Materiali sul giornalismo oggi  e spunti critici elaborati da Franco Abruzzo.




Milano, 29 settembre 2008. L'immagine dei giornalisti tra i lettori, le nuove tecnologie (e il ruolo di Internet in particolare) e l'efficacia della pubblicità. Sono i tre filoni in cui, come si legge in un  comunicato diramato dall’Ordine dei giornalisti di Milano,  si articola "Il futuro del giornalismo", una ricerca condotta da Enrico Finzi su commissione dello stesso Ordine dei giornalisti della Lombardia, che verrà presentata l'1 ottobre a Milano. I risultati del lavoro di Finzi saranno infatti al centro di un Convegno -"Il futuro del giornalismo. Le notizie, le idee, gli italiani, la pubblicità" - organizzato dall'Odg lombardo, che si terrà nell'Aula Magna dell'Università Statale di Milano. Questa la notizia con il corollario di una dichiarazione trionfalistica fuori luogo come dimostreremo: "E' la prima volta, in Italia, che - spiega il presidente dell’OgL in una newsletter recente dell'Odg lombardo - un Ordine professionale affronta, con un'analisi scientifica e in modo esplicito, i problemi del giornalismo visti nell'ottica del lettore. I risultati della ricerca sono davvero sorprendenti - prosegue la nota - potranno essere un punto di partenza (spero non l'unico)  per riflettere sui problemi che, come categoria, siamo chiamati a studiare per assicurare ai lettori un'autorevole qualità dei giornali che sono sul mercato e dei media in genere. Quale l'immagine pubblica della professione giornalistica? Ma soprattutto  quale il suo futuro, in un momento di grandi cambiamenti tecnologici? Su questi temi ci interrogheremo durante il convegno. Con l'ausilio dei dati, dei numeri e delle tendenze indagate da Finzi presso il pubblico dei fruitori dei mezzi di comunicazione, affronteremo a carte scoperte quanto di positivo e quanto di negativo c'è oggi nel fare giornalismo".  Il comunicato è annacquato rispetto a quello del 9 luglio, quando il presidente dell’OgLaffermava incredibilmente: Il Convegno prende spunto  da una ricerca (la prima nel suo genere in Italia) che l'Ordine dei giornalisti della Lombardia ha commissionato al sociologo ricercatore (nonché giornalista) Enrico Finzi,  modulata in tre sezioni. La prima misura la percezione sociale del giornalista. La seconda che guarda al futuro dei giornalismi  determinati dalle  nuove tecnologie. La terza che esprime il bisogno non solo dei lettori ma anche della parte più sensibile degli investitori pubblicitari, di un'informazione autorevole, altamente qualificata che aggiunge  qualità alla pubblicità”. L’informazione aggiunge qualità alla pubblicità? Una bestemmia. L'informazione, così si racconta nelle scuole di giornalismo, deve dare qualità solo ai giornali. Secondo la nuova visione dell'Ordine di Milano, l’informazione dovrà fare da supporto alla pubblicità. Evidentemente le critiche (in: www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=2367) hanno costretto a togliere quella infelice espressione dai comunicati successivi.


La storia del giornalismo non è una materia di moda tra i cronisti. Se lo fosse, tutti saprebbero che a fine 600, il Papa felicemente regnante  parificò i “gazzettieri” alle puttane (“le signore che vanno in carrozza”). Il protagonista di "Bel-Ami" di Guy de Maupassant (romanzo pubblicato nel  1885) è descritto  come un giornalista cinico, canaglia, senza scrupoli, arrampicatore sociale spregiudicato, pronto alla spacconeria e alle bravate. Quell’immagine, tracciata da Guy de Maupassant, è rimasta  appiccicata ai giornalisti in maniera indelebile, anche se le generalizzazioni hanno limiti facilmente percepibili.  La perdita attuale di prestigio dei giornalisti è dimostrata  dalle note di agenzie, che pubblichiamo qui sotto (“Gb: crolla la fiducia nei giornalisti, peggio soltanto gli agenti immobiliari”;  “Professioni. La verità? Il pompiere ha più fascino del giornalista  Harris Poll pubblica i risultati di un sondaggio sul prestigio esercitato dalle diverse professioni”).



Per quanto riguarda le nuove tecnologie applicate al giornalismo offriamo al lettore un campionario eloquente di notizie di prima mano. Sul tema della pubblicità chi scrive ha una posizione netta, ma non prevenuta:  gli inserzionisti non possono essere di fatto i padroni dei giornali. Informazione e pubblicità sono mondi diversi, da non confondere sul presupposto che la commistione lede la fiducia dei lettori nella stampa, è ingannevole, è una truffa. Chi legge, deve leggere una notizia  (o un commento) e non un pubbliredazionale. In questa campo l’Ordine di Milano dal  novembre 1986 al  maggio 2007 ha scritto delibere e pagine limpide e chiare. La crisi attuale della stampa non può far arretrare la vigilanza. Anche su questo punto la documentazione appare sufficiente. Concludendo si può dire che siamo alle prese con un convegno superfluo e forse inutile: i temi al centro di un dibattito di meno di 5 ore sono già sviscerati e noti da anni almeno a chi se ne occupa professionalmente (basterebbe consultare  la collezione ultratrentennale di “Problemi dell’informazione”, la bella rivista edita dal Mulino e diretta da Paolo Murialdi e oggi da Angelo Agostini).


Serve ben altro: innanzitutto una classe dirigente che sappia essere giudice disciplinare vigile. Solo così si possono risollevare le sorti della professione, che non vive soltanto di premi, di borse di studio, della stampa di bollettini superficiali e di dibattiti pubblici noiosi. La professione ha due cuori: la deontologia e la formazione.  Il n. 3/1997 di “Tabloid” ospitò un articolo di Emilio Pozzi che aveva questo titolo: “GRAMSCI: NO ALLA PRATICACCIA, IL GIORNALISMO È DA INSEGNARE”. Scriveva Gramsci: “Il principio, però, che il giornalismo debba essere insegnato e che non sia razionale lasciare che il giornalista si formi da sé, casualmente, attraverso la 'praticaccia' è vitale e si andrà sempre più imponendo a mano a mano che il giornalismo anche in Italia, diventerà un'industria più complessa e un organismo civile più responsabile”.  Era il 1928: siamo alla vigilia del varo di un regio decreto che avrebbe dato vita, a Roma, alla Scuola di giornalismo (1930/1933) e, a Perugia, alla laurea in giornalismo  nell’ambito del corso di laurea in Scienze politiche. Gramsci polemizzava con il regime fascista, che aveva varato quelle iniziative,  stimando che “le scuole di giornalismo saranno scuole di propaganda politica generale”.  Che i giornalisti debbano formarsi in Università o in master di caratura universitaria non è, quindi, una scoperta di oggi: la prima scuola di giornalismo, nel Missouri, è nata nel 1866. L’Ordine di Milano ha istituito l’Ifg nell’ottobre 1977, mentre dal 1990 in poi sono nati  20 master universitari biennali in giornalismo con il praticantato incorporato.


Il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti di Milano deve preoccuparsi, questo è il modesto consiglio,  di dare più forte e incisiva continuità al lavoro fatto, tra l’ottobre 1977 e il maggio 2007, nel campo della deontologia e della formazione. Le chiacchiere non fanno sangue e sostanza,  ma deviano l’attenzione della gente dai problemi veri di una professione contestata.


E’ forte la convinzione in chi scrive  che solo dal rispetto delle regole deontologiche  possa determinarsi una reale rinascita morale della categoria, che deve procedere di pari passo con una  forte iniziativa nel campo della formazione continua da rendere obbligatoria quale titolo per l’iscrizione nell’Albo.


Frattanto la  realtà editoriale ha subito cambiamenti sostanziali sul piano interno e internazionale




  • I quotidiani gratuiti rappresentano ormai quasi il 50% del mercato dei giornali in Europa (in Italia si  diffondono 2,5 milioni di copie);

  • “La decisione del New York Times di abbandonare il proprio modello di abbonamento per l’online segna una svolta nella questione della gratuità o meno delle informazioni su internet”.

  • Una riflessione di Peter Osnos, esperto di media alla The Century Foundation (www.lsdi.it), parla di un mondo futuro dominato dai giornali gratuiti, che vivono di pubblicità;

  • Il New York Times  “guadagna ormai più attraverso il web che con la carta”: ha infatti una media di milione e mezzo di visitatori al giorno contro 1,1 milioni di abbonati all'edizione cartacea.

  • “I ricavi derivati dalla pubblicità dei quotidiani americani tendono a scendere di mese in mese. Sono diminuite in modo vistoso le inserzioni sulle versioni cartacee delle testate, mentre sono in aumento le pubblicità sulle edizioni ondine”. In genere gli Usa anticipano quello che poi accadrà nei Paesi europei.

 


Le novità si possono cogliere anche attraverso 10 titoli di lanci di  varie agenzie tra il giugno 2006 e il settembre 2007:


·        Marchetti (Rcs): “Lo sviluppo tecnologico è decisivo per sopravvivere”. (Milano, 28 settembre 2007). 


·        Il Wall Street Journal unifica le  redazioni tecnologia e media.


·        Anche gli Usa scoprono la free press: “E’ Internet a stampa”.


·        Editoria/Usa, continua il declino della pubblicità sulla carta stampata, mentre è in aumento quella online.


·        Editoria: New York Times in formato ridotto.


·        Fuga dalla carta a favore dell’online (dal New York Times al  Los Angeles Times)..


·        Internet: un tedesco su cinque si informa online.


·        Usa:  i giovani non leggono più,  guardano internet.


·        Ai giovani europei piace la free press. Un terzo dei lettori ha meno di 29 anni.


·        Dibattito a Bagnaia: “I giovani leggono poco. Quotidiani troppo difficili”.  (Bagnaia.-Siena, 21 giugno 2006).


 


Tutti dobbiamo interrogarci su una realtà in cui la carta stampata è sotto assedio ad opera di tv, radio e web, mentre i gusti e le tendenze  dei cittadini/lettori cambiano rapidamente. I giornali di carta hanno resistito alla concorrenza della radio prima, poi della tv. Resisteranno anche alla concorrenza di internet, ma dovranno radicalmente cambiare. Come? Questa è la domanda che si devono porre i giornalisti e il sindacato dei giornalisti. Non deve essere fatto l’errore dei poligrafici degli anni 70: rifiutavano le novità, pretendevano di ribattere nei giornali i lanci delle agenzie che arrivavano via cavo nelle memorie elettroniche. Il passaggio dal caldo al freddo  - con la teletrasmissione – ha segnato uno sviluppo incredibile dei giornali, che sono passati da 32 a 64/96 pagine con edizioni regionali multiple. E’ aumentata tanto l’occupazione giornalistica, mentre quella poligrafica ha subito un cambiamento nel dna (non più operai, ma tecnici). Internet imporrà un cambiamento eguale:  giornali fortemente radicati sul territorio, ma anche giornali, che, sul modello dei settimanali, spiegano i grandi fatti e i grandi eventi, annunciati dagli altri meda. L’idea che i giornali, tutti i giornali, siano distribuiti gratuitamente  come la free press, fa paura: vuole dire che avremmo fogli sottomessi alla logica degli affari con i giornalisti ridotti a impiegati-copywryter. Vuol dire che gli inserzionisti sono i padroni dei giornali.


Altra annotazione critica: la Fnsi ha mancato l’appuntamento anche con la formazione continua (che è norma contrattuale), quando (d’intesa con la Fieg) ha dirottato nelle casse dell’Inpgi i quattrini (2,5 milioni di euro all’anno)  della formazione ancorati all’articolo 116 della legge 3888/2000. In questa fase, fase di cambiamenti, la formazione è strategica anche per i giornalisti occupati. Non è il caso di pentirsi dei propri errori? 


CONCLUSIONI. Fa discutere il sorpasso  dei media digitali su quelli tradizionali.  La notizia di Google che in Gran Bretagna per  la prima volta ha superato Itv (che è la maggiore rete tv commerciale) nella raccolta pubblicitaria, è un dato epocale o quantomeno molto significativo e affatto scontato: tutto il mondo della pubblicità guarda a questo dato come IL SORPASSO (dei media digitali sui media tradizionali). Bisogna ricordare nei manuali di storia la data dell’evento: 10 novembre 2007.


Internet è il "Sesto potere" nelle mani di 24 milioni di italiani, come l'ha definita Layla Pavone presidente di Iab Italia.  Internet che vede crescere il numero dei navigatori (24 milioni conferma il rapporto Assinform), della diffusione della banda larga e degli investimenti pubblicitari, rappresenta «il Sesto Potere perché fornisce ai consumatori - spiega la Pavone - la libertà di scegliere e il potere di influenzare il comportamento delle marche».


Fino agli anni 20 del XX secolo la carta stampata era la regina assoluta dell’informazione. Poi sono arrivati nell’ordine la  Radio attorno al 1928, la tv nel 1954, ed oggi spopola internet. La carta stampata si è adattata di volta in volta alla concorrenza.


"Nel 2043 l'ultima copia di un giornale cartaceo verrà stampata e letta":  è questa la previsione fatta dall'Economist il 25 agosto 2006. La rivista diretta da John Micklethwait  ha dedicato alla morte del quotidiano la copertina e un lungo articolo, lanciando un preoccupante allarme: nei prossimi decenni la diffusione della carta stampata è destinata a crollare sotto i colpi di internet e del disinteresse dei lettori. Il 2043 è destinata a diventare la data di scomparsa dei giornali in America, secondo un libro di Philip Meyer citato dall'Economist.


La crisi dei giornali è già una realtà: la loro diffusione é ormai da decenni in costante calo in Europa occidentale e negli Stati Uniti. Le persone che lavorano nel settore negli Usa sono diminuite del 18% tra il 1990 e il 2004. La Knight Ridder, società editrice proprietaria di alcuni dei maggiori quotidiani americani, ha dato il via ad un'operazione di smobilitazione, mettendo la parola fine ad una storia lunga 114 anni. Tutti segnali di quello che sta accadendo al più vecchio dei media. La condanna della carta stampata sembra ancora più inevitabile a causa dell'avanzata di internet: i ragazzi britannici tra i 15 e i 24 anni passano quasi il 30% in meno del loro tempo a leggere da quando hanno conosciuto la Rete. "Nei prossimi decenni, forse metà dei giornali del mondo sviluppato dovrà chiudere", questa la lapidaria conclusione della rivista britannica. Cosa resterà alla fine? «Pubblicazioni come il New York Times o il Wall Street Journal saranno in grado, per l'alta qualità dell'informazione che offrono, di alzare il proprio prezzo di vendita e compensare così il calo degli introiti pubblicitari persi a causa di internet», pronostica l' Economist. Si salveranno, probabilmente, anche i giornali locali. Per tutti gli altri, invece, sarà dura.


Una tesi che, pur con meno pessimismo, anche il Financial Times sembra appoggiare. In un commento intitolato «OldTube, NewTube» (gioco di parole fra le «condutture» per diffondere contenuti e il sito web YouTube) il quotidiano britannico ha sottolineato che «internet non sarà la fine dei media old-style». Ma, alla fine del ragionamento, arriva alle stesse conclusioni: che i giornali devono sviluppare la «qualità» di quello che offrono. E butta lì un paragone fra parole e cinema: «Il web non ha certo cambiato l'economia di Hollywood — osserva il giornale —. Per realizzare il Titanic serve gente che lo sappia fare e abbia 200 milioni di dollari di budget, non bastano i clip amatoriali diffusi via blog».


"I giornali non spariranno a causa dello sviluppo dei nuovi media e di internet; si andrà soltanto verso un nuovo assetto, come è successo quando sono comparse la radio e la televisione": è  il parere di Giovanni Giovannini, per molti anni presidente della Federazione Italiana Editori Giornali e dell'agenzia Ansa, al quale la sua città natale, Bibbiena, ha intitolato la biblioteca comunale. "Io sono un divulgatore - ha aggiunto - e un difensore dei nuovi media e nel mio libro 'Dalla selce al silicio' parlo della rivoluzione che hanno operato nel mondo della comunicazione come della 'grande mutazione'". Per quanto riguarda il fenomeno della free press Giovannini non pensa che esso potrebbe arrivare a mettere in crisi i giornali tradizionali. "I giornali gratuiti - ha osservato - attraggono una fetta marginale di pubblico, dunque possiamo parlare di complementarietà più che di concorrenza dato che hanno due mercati diversi. Se io fossi un editore risolverei la questione pubblicando due giornali nella mia zona: uno free press e uno tradizionale".


Non mancano le prime significative risposte al vento della crisi. La versione audio integrale lanciata nel luglio 2007 dall'Economist è l'ultima frontiera dell'evoluzione di quotidiani e periodici che, specie nel mondo anglosassone, si stanno sempre più riposizionando sui nuovi media, in particolare su Internet, capace di attirare nuova linfa in termini di investimenti pubblicitari. A capire per primo che la tendenza è ormai questa è stato probabilmente il New York Times, che guadagna ormai più attraverso il web che con la carta: ha infatti una media di milione e mezzo di visitatori al giorno contro 1,1 milioni di abbonati all'edizione cartacea. La versione sperimentale, con navigazione accelerata, una impaginazione simile a quella del giornale cartaceo, la stampa su due o tre colonne più foto, piace e convince. Non a caso in un'intervista shock al quotidiano israeliano Haaretz, che a febbraio scorso ha fatto parecchio discutere, l'editore del NYT Arthur Ochs Sulzberger ha intonato il de profundis alla carta stampata: "Non so davvero se fra cinque anni stamperemo ancora il Times - ha detto - e volete sapere una cosa? Neanche me ne importa". Anche il Los Angeles Times punta sul web per uscire dalla crisi in cui viaggia il giornale di carta. Il nuovo piano editoriale del direttore, James O'Shea, che si è insediato lo scorso novembre, punta a a potenziare il traffico e i proventi del sito www.latimes.com, invitando i giornalisti a pensare alla pagina online come il vettore primario per la diffusione delle notizie. Tra le principali iniziative, la totale fusione delle redazioni di carta e online. Su questa linea si è mosso negli ultimi tempi anche il gruppo Time Inc. cui fanno capo, tra l'altro, i settimanali Time, People, Fortune Sports Illustrated.


Ha scritto Indro Montanelli il 29 novembre 1999 rispondendo a un lettore: “Sopravviveranno i giornali di carta? Penso di sì. Il quotidiano tradizionale è un'invenzione a suo modo perfetta: si piega, si trasporta, si legge, si butta. Non credo sarà facile inventare uno schermo con le stesse caratteristiche, e gli stessi costi. I quotidiani come li conosciamo diventeranno però l'abitudine di una minoranza, ancora più ristretta di quella attuale. Il motivo? La concorrenza, sostanzialmente. Sessant'anni fa, quand'ero inviato speciale, l'Italia aspettava i miei articoli, per sapere cosa stava accadendo in Finlandia. Oggi qualsiasi avvenimento è «coperto», come si dice in gergo, da televisione, radio, quotidiani nazionali e locali, agenzie, settimanali, mensili, internet e quant'altro. Questo bombardamento di informazioni equivale, spesso, a nessuna informazione. Sono sicuro che se chiedessimo a lettori e telespettatori cosa ricordano del recente vertice di Firenze, risponderebbero: la signora Blair aspetta un altro figlio, eppure non è più tanto giovane. Vuole sapere se sono amareggiato? No, rassegnato. I quotidiani, ho l'impressione, diventeranno un segno di distinzione come i libri, i congiuntivi e le posate d'argento. Verranno molto copiati, molto citati e letti poco. Alcune informazioni specializzate arriveranno via internet, se ho capito cos'è. La massa guarderà un televisore, giocherà con un computer, infilerà una cassetta nel videoregistratore. Non mi stupirei perciò se l'offerta di questi media, sempre in caccia dei grandi numeri, scendesse ancora di livello. Guardi quello che sta accadendo in televisione. I programmi di successo sono, di solito, i più beceri. I prodotti dignitosi piacciono a pochi. Proprio come i giornali, ammesso (e non concesso) che si facciano bene. Perché se si fanno male, non avremo nemmeno quel premio di consolazione”.


Aveva ragione il vecchio Indro. I quotidiani come li conosciamo diventeranno l'abitudine di una minoranza, ancora più ristretta di quella attuale. I quotidiani diventeranno un segno di distinzione come i libri, i congiuntivi e le posate d'argento.


La battaglia è sulla qualità. Bisogna far bene i giornali suggeriva Montanelli. I giornali vanno ripensati. Sul terreno della diffusione delle notizie i giornali di carta sono perdenti rispetto a tv, radio e web. Serve una nuova generazione di giornalisti, che esca dalle Università e che maturi in fretta esperienze internazionali.  E  che abbia la forza e la determinazione  di rompere con i poteri politici ed economici. I vassalli restano sempre vassalli. C’è bisogno di persone indipendenti e di una stampa veramente indipendente, svincolata dal mondo della politica e delle imprese. Gli editori devono occuparsi solo di carta stampata, web, radio e tv. Il loro cuore non deve battere in altre realtà. Una volta si parlava di editori puri, che oggi servono e che devono essere capaci di resistere alle pressioni indecenti della pubblicità.  Bisogna sentire la libertà come un dovere e non solo come un diritto: il vecchio ammonimento di  Mario Borsa è sempre di più attuale. La sfida è  stampare giornali, che scavino dentro e attorno alle notizie, che diano una chiave di lettura delle tante realtà  che ci circondano, che in breve superino le notizie. Non è una impresa facile. Il giornale va visto integrato in un sistema che comprenda anche tv, radio e web. Le imprese devono diventare fabbriche di notizie, che parlano ai cittadino attraverso tutti i linguaggi, dal più vecchio, la scrittura, ai più moderni (voce, immagini, rete).



 



 


DOCUMENTAZIONE


 


Gb: crolla la fiducia nei giornalisti, peggio soltanto gli agenti immobiliari


Londra, 28 maggio 2008. E' letteralmente crollata la fiducia nei giornalisti da parte dei cittadini britannici. Una ricerca condotta da YouGov e pubblicata dal British Journalism Review, mostra infatti che il pubblico si fida sempre meno dei professionisti dell'informazione, in particolare dei giornalisti radiotelevisivi, forse anche a causa degli scandali che hanno coinvolto recentemente la tv pubblica del Regno Unito. Non va comunque molto meglio nemmeno ai giornalisti della stampa locale e dei grandi quotidiani nazionali – anch'essi al centro negli ultimi mesi di qualche caso “oscuro” come quello riguardante i genitori della piccola Maddie McCann o le cimici piazzate negli appartamenti della famiglia reale. Nel quadro ben poco promettente per la stampa britannica, c'è comunque una buona notizia: se nel 2003 i giornalisti dei tabloid scandalistici (i cosiddetti “redtop” dal colore dominante sulle loro testate) occupavano l'ultima posizione nella classifica della fiducia del pubblico, nell'ultimo sondaggio il cucchiaio di legno va agli agenti immobiliari, che hanno visto la propria affidabilità calare del 6% nell'opinione pubblica. In vetta alla classifica della fiducia ci sono invece i medici di famiglia, che hanno totalizzato un 87% di risposte positive (“molto” o “abbastanza”) alla domanda posta agli intervistati (“quanto vi fidate di ciò che dicono le seguenti categorie?”). Dietro ai medici si piazzano gli insegnanti (76%), i poliziotti di quartiere (76%), i presidi (71%) e al quinto posto i giornalisti della BBC (61%, meno 20% rispetto a cinque anni fa). Per incontrare altri rappresentanti della categoria bisogna scendere all'ottavo posto (dopo giudici e ufficiali delle forze dell'ordine), dove si trovano i giornalisti delle tv privata ITV (51%, -31%) e Channel 4 (51%, -29%), seguiti dai reporter dei giornali più autorevoli (43%, -22%) e della stampa locale (40%, -20%). In fondo alla classifica si trovano i giornalisti dei quotidiani di fascia media (18%, -18%) e dei tabloid (15%, +1%), che come detto lasciano la maglia nera agli agenti immobiliari (10%, -6%). (www.9-colonne.it)


 


Professioni. La verità? Il pompiere ha più fascino del giornalista  Harris Poll pubblica i risultati di un sondaggio sul prestigio esercitato dalle diverse professioni


New YorK, 1 settembre 2007.  Nel 1976, due splendidi giovani attori hollywoodiani interpretavano la parte di giornalisti, decisamente motivati e intraprendenti, del Washington Post. I due personaggi venivano impegnati, in piena campagna elettorale, in un'inchiesta di spionaggio da parte degli uomini di Nixon, ai danni degli avversari democratici. Una storia dalla trama decisamente fitta per Robert Redford e Dustin Hoffman, che per il film “Tutti gli uomini del presidente”, divennero rappresentanti, di indiscusso fascino, della professione giornalistica.


Ma dopo 30 anni il mood sembra aver invertito rotta. A dimostrarlo sono gli esiti di un recente sondaggio della società Harris Poll, che confermano la perdita di prestigio del lavoro di reporter. Primi in classifica: vigili del fuoco, scienziati ed insegnanti; i giornalisti scivolano sul fondo della classifica posizionandosi sedicesimi, sorpassati anche da atleti, preti e agricoltori. Nonostante le ragioni di questa destabilizzazione siano diverse, gli analisti ci tengono a suggerirne una in particolare: la nascita, piuttosto recente, di una figura battezzata “reporter diffuso”. Si tratterebbe di un nuovo soggetto dell’informazione che manca di professionalità, ma brilla di volontà e che riesce, con notevole facilità, ad immettersi nei canali di comunicazione di massa diffondendo foto, video o articoli più o meno originali. Il primo esempio eclatante fu quello legato all’11 settembre: l’80% del materiale audiovisivo mostrato dai tg per riprendere il crollo delle Twin Towers, proveniva da fonti non ufficiali (telefonini, videocamere di passanti). Questo episodio ha permesso la diramazione esponenziale del fenomeno “diffuso”, andando a colpire i canali online dell’informazione, dove la proliferazione dei blogger (70 milioni in tutto il mondo) ha facilitato, e facilita continuamente, la pubblicazione, quasi in tempo reale, di notizie recuperate da fonti ufficiali cartacee o da agenzie di stampa online. Vita dura per il giornalista professionista, che soprattutto in Italia, anche a causa del considerevole numero di iscritti all’Ordine, perde quel prestigio costruitosi nel tempo e immortalato da numerose pellicole cinematografiche. (M.M.- www.newslinet.it)


 


Francia. Editoria in crisi. SARKOZY CONVOCA GLI “STATI GENERALI”.


Parigi, 27 maggio 2008. Nicolas Sarkozy convoca gli "stati generali" della stampa scritta, radiofonica e televisiva per trovare soluzioni alla crisi economica e finanziaria dell'editoria. Fra le proposte avanzata stamane ai microfoni dell'emittente RTL dal capo dello stato francese, una più capillare consegna dei giornali a domicilio e la moltiplicazione dei punti di vendita. "La democrazia - ha detto Sarkozy - non può funzionare con una stampa permanentemente sul baratro di un crollo economico". Il problema, ha riconosciuto, è "notevole". "C'é un gigantesco problema di distribuzione - ha proseguito il capo dell'Eliseo - bisogna aiutare la stampa scritta a fare consegne a domicilio, questo creerà posti di lavoro e consentirà di avere i giornali presto al mattino". "Allo stesso modo - ha detto ancora Sarkozy - bisogna moltiplicare i punti di vendita dei giornali perché oggi, nelle grandi città, trovare il proprio giornale diventa un lavoro". Sarkozy ha detto di auspicare di poter "ritrovare un minimo di vivibilità per la stampa" riunendo "proprietari e direttori di giornali": "aggiungo - ha concluso - che il problema di internet è considerevole perché come volete che la genti compri il giornale in edicola se su internet lo legge gratis?". (ANSA).


 


INTERNET. VARIAN (GOOGLE): PER GIORNALI FUTURO DI NICCHIA


Prato, 27 settembre 2008. Il futuro della carta stampata è quello di diventare «un prodotto di nicchia». Lo ha detto il capo economista di Google, Hal Varian, che parlando con i giornalisti a margine del Forum 'Economia al cubò, organizzato dalla Regione Toscana a Prato, ha spiegato la sua convinzione riferendosi alle «abitudini dei più giovani», per cui è probabile che presto, nelle metropoli di tutto il mondo «i giornali verranno letti sul telefonino». «La fonte a cui attingono maggiormente i giovani - ha proseguito Varian - è internet, ed è difficile pensare ad un cambiamento di percorso». Varian non si sbilancia sui tempi ma, sorridendo, ricorda che «ogni anno i giovani di oggi crescono di un anno». (ANSA).


 


Contro i ‘’tagli’’ alle inchieste nasce in Usa un gruppo specializzato in giornalismo investigativo.


Washington, 20 ottobre 2007. Si chiama Pro Publica e sarà finanziato con 10 milioni di dollari l’anno da una coppia di imprenditori californiani schierati coi democratici – La struttura non ha fini di lucro e assumerà oltre 35 persone, fra cui 24 giornalisti, reporter di grande esperienza e giovani cronisti appassionati del lavoro investigativo – Il gruppo cercherà di ‘’vendere’’ ai vari giornali i suoi reportage (da: www.lsdi.it).


 


Il Wall Street Journal unifica redazioni tecnologia e media.


New York, 26 settembre 2007. Il mondo dei media e della tecnologia cambia e il Wall Street Journal risponde, unendo la redazione tecnologica di New York con il gruppo Media & Marketing. La redazione tecnologica si occupa di coprire una serie di tematiche, principalmente connesse con i settori telecom, Internet e cavo. Tuttavia, l’azienda si è resa conto che la separazione tra contents e tecnologie tende a diventare sempre meno netta. Anche altri gruppi dei media stanno adottando strategie simili, da Aol che cerca di trasformarsi da Internet-service provider ad advertising company alle aziende telefoniche che portano programmi televisivi e banda larga dentro le case. Rispondere meglio ai profondi cambiamenti dell’industria è ciò che ha spinto il Wall Street Journal a fondere i due uffici: “Questo ci permetterà di creare o modificare i nostri settori di interesse per meglio riflettere il modo in cui le persone guardano o creano video, leggono news e comunicano tra di loro”. Rich Turner, capo della divisione Media & Marketing, diventerà direttore dei due uffici unificati, mentre Almar Latour, ex capo della redazione tecnologica di New York technology, passa a managing editor del sito WSJ.com. (9Colonne)


 


Giappone: i tre maggiori quotidiani si alleano e sfidano la stampa on-line


Roma, 2 ottobre 2007. Tre dei maggiori quotidiani giapponesi hanno annunciato ieri di aver stretto un’alleanza per sfidare sul suo terreno la stampa on-line, in continua ascesa anche nel paese del Sol Levante.  Il patto ha coinvolto lo Yomiuri Shmbun, considerato il giornale che vende più copie al mondo, il suo storico rivale, il liberale Asahi Shimbun e il quotidiano economico Nikkei. Le testate daranno vita a un sito internet che presenterà l’uno accanto all’altro gli articoli dei tre quotidiani, un espediente che secondo gli addetti ai lavori dovrebbe spingere molti giovani lettori a pagare l’abbonamento per il nuovo sito web. Ma i tre giganti della carta stampata collaboreranno anche a livello di distribuzione al di fuori delle grandi città: una cooperazione tutt’altro che di poco conto, se si considera che lo Yomiuri e l’Asahi vendono ripsettivamente dieci e otto milioni di copie al giorno. L’alleanza fra i tre quotidiani è stata stretta in un momento in cui l’industria della carta stampata in Giappone è in difficoltà nel mantenere la distribuzione porta a porta, specialmente nelle zone rurali - dove la popolazione è in graduale diminuzione. Il Giappone rimane comunque uno dei pochi Paesi industrializzati dove la circolazione dei quotidiani non è in calo, anche grazie alla stessa distribuzione porta a porta, che riesce ad assicurare alle varie testate uno “zoccolo duro” di lettori fedeli. (9Colonne-www.fnsi.it)


 


MEDIA: TV E GIORNALI TEDESCHI ALLEATI SU WEB


Berlino, 5 novembre 2007. La tv pubblica tedesca si allea con i giornali per qualificare i contenuti del web. L'operazione è stata annunciata dal sito on-line del settimanale "Der Spiegel". L'accordo sarebbe stato stipulato dal primo canale della televisione pubblica Ard e dalla lega degli editori di giornali tedeschi, che equivale alla nostra Fieg. Il materiale audio e video prodotto dalla tv e i contenuti testuali dei giornali creeranno un’offerta unica a beneficio degli utenti. Non è ancora nota la modalità di questa collaborazione. In ogni caso, l'alleanza metterebbe fine a una gara tra editori che entrano in rotta di collisione nella loro attività su web. Secondo la legge tedesca, i giornali che offrono servizi audio-video on-line di propria produzione svolgono un'attività di "tele media" che non necessita di autorizzazione speciali. Hanno invece bisogno di conseguire la licenza di "emittenti" dagli organi di controllo regionale per i mass media se propongono audio e video editi dalla televisiva pubblica. (9Colonne)


 


MARCHETTI (Rcs): “Lo SVILUPPO TECNOLOGICO E’ DECISIVO PER  SOPRAVVIVERE”


Milano, 28 settembre 2007.  Lo sviluppo tecnologico e' ''decisivo'' per Rcs. A sostenerlo e' stato questa mattina lo stesso presidente del gruppo editoriale, Pier Gaetano Marchetti, che ha partecipato al Politecnico di Milano a un convegno dedicato all'innovazione tecnologica. ''Il nostro - ha osservato Marchetti - e' un gruppo editoriale che opera in un paradosso'', in quanto ''opera in un settore estremamente maturo che affonda le sue radici nella tradizione, ma che si trova ad affrontare processi di sviluppo tecnologico come carta decisiva per il proprio sviluppo e la propria sopravvivenza''. Ecco perche' ''la nostra caratteristica e' quella di essere un gruppo multimediale''. Infatti, ha osservato ancora Marchetti, ''e' ormai da tempo che ci si e' resi conto come lo sviluppo di un'impresa editoriale passi dallo sviluppo e l'integrazione della multimedialita', che affonda le sue radici nell'innovazione tecnologica''. L'obiettivo per Marchetti e' quello di ''creare un circuito virtuoso e integrato della comunicazione e dell'informazione''. Un'impresa definita da Marchetti come ''un'impresa culturale, ardua e difficile'' dal momento che si tratta di un ''fenomeno del tutto nuovo''. Fino a qualche tempo fa, infatti, a giudizio di Marchetti, ''nell'editoria i comparti erano molto stagni. Il problema e' far capire agli operatori dell'informazione che il cittadino di questa citta' multimediale non e' piu' cittadino di un solo settore''. Insomma, lo sviluppo tecnologico e l'impronta sempre piu' multimediale di Rcs serve per rispondere ''a un bisogno del consumatore''. Accanto alla multimedialita', Marchetti si e' soffermato anche sul carattere sempre piu' internazionale del gruppo Rcs: non a caso, ha concluso, ''ci avviamo ad ottenere la maggioranza dei ricavi e dell'ebitda all'estero''. (ASCA)


 


Informazione online? Solo la replica del cartaceo. Sondaggio statunitense rileva


che il 70% dei lettori preferisce il web. Il commento di Fieg.


Il fascino del web colpisce ogni giorno milioni di lettori, che preferiscono la comodità di una lettura veloce e gratuita in sostituzione al tradizionale, talvolta anche ingombrante, quotidiano cartaceo. Utenti e internauti leggono a colpi di click, saltando da un sito d’informazione all’altro, passando per domini di testate ufficiali, piccoli periodici telematici e blog di utenti comuni, forse più esperti della media, ma comunque privi della competenza di un vero giornalista. Internet è facile, semplice, veloce, apparentemente pieno di nuove notizie e sintesi, ma il suo successo non sarebbe tanto riconosciuto se la vecchia stampa avesse smesso di lavorare (anche per lui). Un recente sondaggio condotto negli Stati Uniti certifica come il 70% della popolazione preferisca accedere ad informazioni e notizie sul web, ma senza conoscere la vera natura delle fonti che, attualmente, è ancora proveniente dal cartaceo. E se il fenomeno può apparentemente mostrare il lato pigro dei lettori, deve altrettanto preoccupare sullo stato del lavoro di editori e giornalisti, la cui fatica e creatività non viene ripagata. Anzi, oltre il danno, la beffa: i professionisti dell’informazione, non solo non vengono ragionevolmente compensati per gli sforzi fatti, ma permettono di ingrassare (economicamente) a tutti quei siti web che sfruttano gli stessi loro articoli per divulgare news in formato gratuito, riuscendo così ad aumentare la dose di pubblicità sul proprio sito web. Si tratta di un fenomeno piuttosto irragionevole, che in passato ha già obbligato Google (il primo nella lista dei fatidici nemici dell’Informazione) ha prendere provvedimenti contro le accuse della stampa, stanca di vedere le proprie notizie pubblicate (o anche solo “linkate”) nell’apposita sezione di news, senza diritto e soprattutto senza compenso. Non c’è dubbio sul fatto che le case editrici debbano essere pronte alla sfida giornalistica del web, ma è pur vero che regolare contenuti e fonti è doveroso. Fieg (Federazione editori giornali italiani) denuncia internet, come colpevole di aver creato un contesto assai complesso e disastroso dove l’internauta sarebbe stato erroneamente convinto di poter fruire dell’informazione sempre e comunque in modo “free”. E proseguendo, la stessa Federazione si chiede come sia possibile che il pubblico sia facilmente propenso a spendere centinaia di euro per apparecchi come tv e telefonini, attraverso i quali poi raggiungono l’informazione, ma non pochi euro per acquistare la carta stampata. (Marco Menoncello per www.newslinet.it del 10 marzo 2008) 


 


Giornalisti: professione sotto scacco in Europa


Roma, 5 novembre 2007. Per la professione giornalistica "é allarme in tutta Europa": perciò "serve una direttiva europea per la libertà e l'indipendenza dell'informazione e per la tutela del giornalismo e della sua funzione di controllo in democrazia". E' quanto ha sottolineato oggi il presidente della Federazione nazionale della stampa, Franco Siddi, a un convegno organizzato a Roma per la Giornata della difesa e del giornalismo in Europa, voluta dalla Federazione internazionale ed europea dei giornalisti d'intesa con le federazioni nazionali. L'iniziativa, ha detto Siddi, "rappresenta un'azione simbolica senza precedenti, che ci incoraggia a stare insieme attorno ai valori della professione". Se in Italia "il contratto ai giornalisti è negato da quasi mille giorni" e "la Camera ha approvato una legge sulle intercettazioni fortemente restrittiva del diritto di cronaca", in Europa le cose non vanno meglio: "In Germania - ha sottolineato ancora il presidente della Fnsi - quasi metà dei giornalisti non ha contratti di lavoro certi. In Ungheria tutti i giornalisti non hanno un contratto pieno. In Francia esistono sedici contratti divisi per aree e si sta mettendo in discussione l'accordo storico relativo ai collaboratori. In Svizzera non si rinnova il contratto da quattro anni. In Slovenia le interferenze del governo sono continue. In Irlanda gli editori non pensano più a investire nei giornalisti né sulle tecnologie, ma solo a far quadrare i conti. In Portogallo la professione è sotto attacco e si fanno strada leggi che bloccano l'accesso alle fonti di infomazione". Di recente, ha ricordato Siddi, "il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla tutela delle fonti: é solo il primo passo. Dobbiamo insistere su questa linea e trovare una convergenza fra tutti i sindacati europei". Quanto al contratto dei giornalisti italiani, Siddi si è detto "certo che il prossimo congresso della Fnsi (dal 26 al 30 novembre, ndr) saprà trovare il passo giusto per andare avanti nel negoziato con gli editori". Un auspicio condiviso dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all'editoria, Ricardo Franco Levi, che ha definito "non più ammissibile, in un settore delicatissimo, andare avanti senza contratto". Raffaele Fiengo del Corriere della Sera ha messo in evidenza la necessità "di ascoltare il lettori e rilanciare il dialogo con la comunità": di qui l'apertura di un blog, intitolato Stand up for information, al quale si può accedere da www.lsdii.it e presto dal sito della Fnsi e ancora all'indirizzo http://giornali-egiornalismi.blogspot.com. (ANSA).


 


www.lsdi.it. Tre riflessioni che dovrebbero interessare anche Ordine ed Fnsi.


1. Il giornalismo, un mestiere smarrito.


Malinconia e decadenza della professione in un libro appena uscito in Francia (“Notre métier a mal tourné”, ed. Mille et une nuits) – Il giornalismo come si sogna e si promuove e come invece è diventato – Un feroce attacco al giornalista investigativo, che si appoggia a una sola fonte escludendo il lavoro d’ inchiesta – L’ideologia del giornalismo come una sorta di “proseguimento della rivoluzione con altri mezzi”, un surrogato della rivoluzione nato dalle ceneri del ‘68 – Il fallimento del progetto di indipendenza dei giornalisti che animava le Monde e l’incertezza sul modello economico dell’informazione ondine.


2. Ancora sul ‘churnalism’: un’altra ragione del declino dei giornali.


Oggi i cronisti non vanno più in giro, passano il loro tempo inchiodati al desk, attaccati ai telefoni. Più “storie significa più articoli dove le cose gli arrivano addosso oppure vengono copiate dalle agenzie. Spesso non le controllano neppure. E’ nata da questa amara analisi di Davies, spiega Dawley, la decisione del Dipartimento di giornalismo dell’ Università di Cardiff di realizzare una ricerca sullo stato dell’arte. Lo studio ha analizzato 2.207 articoli pubblicati da cinque grossi giornali britannici in due settimane e ha scoperto che l’ 80% di esse erano interamente, principalmente o parzialmente basate su informazioni prodotte da uffici stampa o lanci di agenzia. Dell’ 8% degli articoli non si capivano bene le origini. E solo il 12% di esse erano nettamente e chiaramente originali.


3. Da grande voglio fare il giornalista. Conviene davvero?


Una ricerca di Scott Reinardy, docente della Ball State University, mostra come negli Stati Uniti ci sia una grande percentuale di giornalisti insoddisfatti del proprio mestiere e che vorrebbero cambiare settore 


 


1. Il giornalismo, un mestiere smarrito.


Malinconia del giornalismo: è la sensazione di fondo che domina “Notre métier a mal tourné”, un libro di due noti giornalisti francesi, Philippe Cohen ed Elisabeth Lévy, su un mestiere che – spiega Guillaume Narvic in una recensione su AgoraVox.fr – “si è profondamente  smarrito e corrotto negli ultimi 25 anni”.


Il libro (edito da  Mille et une Nuits) è diviso in quattro parti, completamente separate l’ una dall’ altra, nella forma e nel soggetto. Ogni parte più che un capitolo sembra un articolo sul giornalismo, e insieme ricostruiscono una sorta di viaggio di osservazione e di analisi, di riflessione e di prospettiva.


Gli stessi autori d’ altronde – aggiunge Narvic – designano questo libro come “una traversata” nel mondo del giornalismo francese, dalle origini ai nostri giorni.


Grandezza e decadenza del giornalismo


Il giornalismo come esso stesso si sogna (o si promuove) e come invece è concretamente o come è diventato. In attesa di poterlo leggere direttamente, sembra comunque stimolante la parte dedicata al giornalista investigativo. E’ contro quest’ultimo che la carica di astio degli autori del libro è più forte, anche violenta, e apertamente ad hominem: Edwy Plenel (fondatore di Mediapart, vedi Lsdi, Mediapart sotto attacco giudiziario) in particolare è nel mirino e gli autori fanno fuoco!


Interessanti – anche per una riflessione che può riguardare direttamente il giornalismo italiano – alcuni brani scelti da Narvic.


-* Il "giornalismo investigativo" (inventato negli anni ’80 al posto del giornalismo d’ inchiesta, che era stato molto sperimentato precedentemente) "nasconde un grosso imbroglio".


"La sua pretesa neutralità è la facciata comoda di una ideologia moralizzatrice e sospettosa” 


- * Pubblicando sulla base  "di una sola fonte", sotto forma di "feuilleton", delle informazioni che vengono loro fornite nel quadro di "manipolazioni" sulle quali si rifiutano di interrogarsi, i giornalisti investigativi hanno accettato di diventare alla fine, senza mantenere alcuna distanza, i tappetini dei giudici.


- * Hanno così contribuito alla distruzione del segreto istruttorio e, di conseguenza, a quella della presunzione di innocenza. 


- * Negli anni ’90  "la macchina si imballa": i giornalisti sono "inebriati dalla loro stessa potenza", "in assenza di qualsiasi contro-potere".


- * Lévy e Cohen denunciano alla fine "l’abuso della libertà conquistata": "il giornalismo d’ investigazione ha partorito un mostro".


Questo giornalismo d’investigazione, secondo gli autori del libro, è andato all’attacco soprattutto del potere politico, contribuendo largamente al suo discredito, mentre quelli che detenevano il potere economico facevano man bassa dell’insieme dei grandi media francesi (radio, televisione e stampa scritta), bloccando ogni possibilità di inchiesta sui propri affari. Ecco un’altra truffa del “giornalismo investigativo”. Oggi – rileva ancora Narvic – l’inchiesta ha abbandonato la stampa e si è rifugiata nei libri. I giornali si limitano a pubblicarne degli estratti e si guardano bene dall’approfondirla con le proprie indagini.


Il giornalismo come surrogato della “rivoluzione”


La seconda parte del libro è una riflessione più filosofica sulla “ideologia del giornalismo”, una figura apparsa nel paesaggio politico con la generazione dei giornalisti usciti (solo una sintesi) dalle barricate del Maggio ’68 Gli autori avanzano la tesi secondo cui rinunciando a fare la rivoluzione in strada, una generazione di studenti del Maggio ’68 si è lanciata nella stampa per ingaggiare una sorta di “rivoluzione del giornalismo”, “il proseguimento della rivoluzione con altri mezzi”. Farebbero parte di questa generazione personaggi come Serge July o Edwy Plenel, e vari altri finiti anche dalle parti di Sarkozy.


Rinunciando a Marx e a Mao ma restando all’ avanguardia, questa generazione sarebbe all’ origine della trasformazione del giornalismo stesso in ideologia.


La terza parte dell’ opera torna molto all’indetro, analizzando quello che è rimasto del progetto storico uscito dalla Resistenza di assicurare l’ indipendenza dell’ informazione garantendo l’ indipendenza dei giornalisti e delle loro redazioni.


E’ una storia che diventa “una tragedia”, “tra rivolta e schiavitù”, secondo gli autori, che tracciano nei dettagli la decadenza del progetto fondatore di le Monde e di Libération, e si chiedono anche attraverso le crisi recenti a le Monde e a les Echos, se "le società dei redattori stiano rialzando la testa".


E adesso?


Infine, l’ultima parte ("E adesso?") è un tentativo interessante di anticipare il futuro della professione in un momento in cui si profila uno spostamento della professione verso internet.


Una strada obbligata ma il modello economico che sta sotto alla stampa online, finanziato al 100% dalla pubblicità, non la condanna a una corsa all’ audiencee alla proletarizzazione delle redazioni online sottopagate e precarie?


Per il momento, in ogni caso, "la battaglia per l’ audience ha condotto gli attori del settore a concentrare i propri sforzi sulla circolazione dell’ informazione e non sulla sua raccolta”.


Se riconoscono nei blog un nuovo spazio di libertà, a volte di grande qualità, gli autori sono relativamente scettici sui risultati concreti delle esperienze di giornalismo partecipativo ondine e di collaborazione fra professionisti e ‘amatori’, e lo stesso vale per la qualità reale dell’ apporto interattivo dei commenti dei lettori. E cercano di conservare una posizione di equilibrio fra "lo scetticismo assoluto” et "l’entusiasmo beato" : "tra il blog personale e i rubinetti delle agenzie di stampa esistono delle opzioni multiple, molte delle quali sono state appena esplorate”.


La posta fondamentale resta naturalmente il modello economico.


Il futuro della stampa, elettronica o meno, dipende da quelli che la fanno, in particolare dai giornalisti. Ma dipende anche dal pubblico. Spetta a lui infatti decidere se vuole o meno una informazione di qualità – e se è pronto a pagarne il costo”.


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2. Ancora sul ‘churnalism’: un’altra ragione del declino dei giornali.


Nick Davies*, il giornalista britannico che ha coniato il termine “churnalism” (vedi Lsdi, “Churnalism”, produzione di massa di ignoranza) ha pubblicato un libro dal titolo “Flat Earth News”** in cui articola ampiamente la sua analisi sulla deriva del giornalismo contemporaneo. In quelle riflessioni un ruolo centrale spetta al problema del tempo, il “tempo rubato” (vedi Lsdi, Riconquistare il tempo rubato al giornalismo), che Davies definisce in un articolo su Media Life Magazine “la più preziosa risorsa di lavoro che avevamo come giornalisti”.


I cronisti sfornano a ciclo continuo i loro articoli per riempire buchi informativi sempre più grandi, ma con redazioni sempre più piccole e senza tempo a disposizione per fare un lavoro originale, commenta Sterling Hager su Agency Next. Non fanno le verifiche per mancanza di tempo. E si tratta sempre di più di articoli fatti con comunicati stampa o notizie di agenzia. Che vengono presi per oro colato.


I giornalisti lo sanno bene. E i lettori meglio. E’ per questo che ogni giorno – aggiunge Hager – i giornali che lascio qui la mattina nel corridoio quando vado a lavorare restano nella loro fascetta. Alla fine della settimana il padrone di casa, Doug, li prende e li getta nell’ immondizia.


A casa, mio padre, che ha 96 anni, riceve due giornali ogni giorno. In uno trova le parole crociate e butta l’altro in una scatola di cartone del droghiere che poi ogni martedì andrà fra la carta da riciclare. Si potrebbe dire che anche lui, come i giornalisti, sta semplicemente riciclando notizie.


Come la commercializzazione ha indebolito le redazioni


“Il churnalism è il più evidente esempio del modo con cui la commercializzazione ha invaso e indebolito le redazioni”, dice Davies a Heidi Dawley, di Media Life. “Ci siamo fatti strappare la più preziosa risorsa di lavoro che avevamo come giornalisti, il tempo”.


Qualcuno sostiene che i proprietari vecchio stile dei giornali regnassero sull’età d’oro del giornalismo. Davies non è fra di essi. Questi editori old-style avevano la loro agenda e spesso dovevano orientare certe notizie per fare piacere a qualche potente o servire qualche causa politica.


Ma anche se era così, dice Davies, essi davano ai cronisti un tempo di lavoro per la redazione dei loro articoli onesto. I loro reporter avevano il tempo per chiamare il posto di polizia o attendere un incontro governativo, e aggirare le fonti locali per capire che cosa stava veramente succedendo.


Oggi i cronisti non vanno più in giro, passano il loro tempo inchiodati al desk, attaccati ai telefoni. Più “storie significa più articoli dove le cose gli arrivano addosso oppure vengono copiate dalle agenzie. Spesso non le controllano neppure. E’ nata da questa amara analisi di Davies, spiega Dawley, la decisione del Dipartimento di giornalismo dell’ Università di Cardiff di realizzare una ricerca sullo stato dell’arte ***. Lo studio ha analizzato 2.207 articoli pubblicati da cinque grossi giornali britannici in due settimane e ha scoperto che l’ 80% di esse erano interamente, principalmente o parzialmente basate su informazioni prodotte da uffici stampa o lanci di agenzia. Dell’ 8% degli articoli non si capivano bene le origini. E solo il 12% di esse erano nettamente e chiaramente originali.


La ricerca ha poi accertato che le redazioni attualmente sono parecchio più ridotte di 20 anni fa mentre le pagine di prodotto redazionale sono tre volte di più.


“Le aziende che vogliono far soldi hanno introdotto dei cambiamenti tali per cui l’ errore non è più un fatto occasionale. Mi sembra che siamo stati strutturalmente modificati in maniera che ciò accada”, dice Davies.


“E’ il peggiore degli errori, anche. Non è che i fatti non tornano, è che l’ intera storia è sbagliata. E cioè che si tratta di flat earth news, ricostruzioni che contraddicono tutti i dati e tutte le ragioni, ma che alla fine vengono accettate per l’ assoluta insistenza di quelli che hanno bisogno che esse siano così”.


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*Nick Davies è uno dei più famosi giornalisti d’inchiesta del Regno Unito. Vincitore di vari premi per il suo lavoro di ricerca sul crimine, il traffico di droga, la povertà e in generale i problemi sociali, lavora per il Guardian. Ha realizzato anche documentari per la Tv.


** Letteralmente ‘’notizie dalla Terra piatta‿, ma potrebbe essere “produzione intensiva di ignoranza‿ e cioè, di nuovo, churnalism.


***Il sottotitolo è: An Award-winning Reporter Exposes Falsehood, Distortion and Propaganda in the Global Media. (Chatto & Windus, £17.99, pp320).


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3. Da grande voglio fare il giornalista. Conviene davvero?


Una ricerca di Scott Reinardy, docente della Ball State University, mostra come negli Stati Uniti ci sia una grande percentuale di giornalisti insoddisfatti del proprio mestiere e che vorrebbero cambiare settore 


 


 “Provate a immaginare: siete un giornalista in un piccolo quotidiano. Al direttore non importa proprio nulla se la vostra fonte ha staccato il telefono e non richiama: vuole il pezzo sulla scrivania per le 10 di sera. Anche oggi non riuscirete a salutare i vostri figli prima che vadano a dormire perché l’incontro a Washington di cui dovete scrivere sta andando avanti ben oltre il previsto. Avete passato il pomeriggio a schivare le proteste telefoniche di personaggi che non sono d’accordo su diversi passaggi di un articolo che avete pubblicato oggi. Senza contare le centinaia di maniaci che vi chiamano ogni tre minuti per proporvi storie improbabili che non interessano a nessuno. Ma, e qui viene il peggio, fate tutto questo con la consapevolezza di essere sottopagati. Ecco perché non avete più voglia di fare i giornalisti”. Questo impietoso quanto veritiero ritratto della professione giornalistica è opera di Scott Reinardy, docente di giornalismo della Ball State University, per diciotto anni cronista per diverse testate, specie nel settore sportivo. Reinardy ha condotto un’indagine su un campione di 770 giornalisti americani e questo ritratto ne è la premessa. La maggior parte di questi sarebbe stanca della propria professione, sarebbero perennemente con l’occhio puntato su altri settori, in attesa di trovare miglior sorte altrove. Il mito della professione giornalistica non esiste più, quindi. Ma non solo: secondo il Center for desease control, ente statunitense che si occupa di malattie sul lavoro, il mestiere giornalistico sarebbe al settimo posto nella speciale classifica dei lavori più stressanti ed usuranti. Se, poi, vi si aggiunge il fattore-remunerazione, ecco che si configura il ritratto tracciato da Reinardy. Secondo la sua ricerca, il 25% del totale dei giornalisti vorrebbe cambiare mestiere; il 36,2% ha risposto a questa domanda con uno scoraggiato “non so”. Se, poi, si restringe al campo alla fascia d’età al di sotto dei 35 anni, il numero degli insoddisfatti aumenta ulteriormente: il 31% vorrebbe abbandonare la redazione, il 43% si trincera ancora dietro un enigmatico “non so”. I fattori che maggiormente contribuiscono a questo dato sono lo stress, il cinismo che accompagna ogni aspetto della vita da redazione e, ovviamente, lo stipendio troppo basso. “Credo che gli editori dovrebbero tener conto di questi risultati – continua il docente – scarsa soddisfazione porta a scarsa qualità del prodotto in tutti i settori, giornalismo non escluso”. E se un tempo si diceva che fare il giornalista era sempre meglio che lavorare, adesso questa massima farebbe storcere il naso alla miriade di cronisti che alla vita da giornalista d’assalto preferirebbero un lavoro ben più tranquillo, magari con orari fissi e stipendi un po’ più alti. Se poi quest’indagine portata avanti dal professor Reindardy fosse stata condotta in Italia, con ogni probabilità, i dati riguardo il livello di soddisfazione sarebbero stati ancor più raccapriccianti. (Giuseppe Colucci per www-newslinet.it del 19/2/2008)


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In: www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=2597


GIORNALISTI E GIORNALI NELLA LETTERATURA:


1. Guy de Maupassant: Bel-Ami.


2. Evelyn Waugh: L'inviato Speciale.


3. Arto Paasilinna: L'anno della lepre.


4. Evelyn Waugh: Waugh in Abissinia.


Quattro volumi, ristampati tra il 2001


e il 2002 e recensiti da Paola Pastacaldi


in “Tabloid” diretto da Franco Abruzzo.


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COMMISTIONE PUBBLICITA’-INFORMAZIONE


in: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=1447


Il ''publigiornalista'', professionista


''geneticamente modificato''


Giuseppe Altamore, vice-caporedattore di Famiglia Cristiana,


denuncia al congresso "Scienza e Società" della Fondazione


Diritti Genetici la commistione tra informazione e pubblicità.


 


in: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=1517


Rivista “Il diritto dell’informazione e dell’informatica”


n. 4/5 del 2007 (pagg. 871-894).


FRANCO ABRUZZO:


"La commistione informazione/pubblicità


nella giurisprudenza ordinaria e disciplinare


vista attraverso le sentenze dei tribunali".


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BIBLIOTECA. INTERNET ED ERA DIGITALE.


I NUOVI MEDIA.  SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE.


A. Berretti e V. Zambardino, Internet. Avviso ai naviganti, Donzelli, Roma 1996


Carlo Cambini e Tommaso Valletti, I mercati della comunicazione nell’era digitale, Il Mulino, Bologna 2002


G. Bettetini e F. Colombo (a cura di), Le nuove tecnologie della comunicazione, Bompiani, Milano 1993.


Gianfranco Bettetini, Stefania Garassini, Barbara Gasparini e Nicoletta Cittadini, I nuovi strumenti del comunicare, Bompiani-RCS Libri, Milano 2001


M. Boni, Informatica, Apogeo, Milano 1996.


M. Calvo, F. Ciotti, G. Roncaglia, M. Zela, Internet 2000, Laterza, Roma-Bari 2000.


F. Carlini, Lo stile del web, Einaudi, Torino 1999.


Carlo Cambini e Tommaso Valletti (a cura di), I mercatio della comunicazione nell’era digitale, Il Mulino, Bologna 2002


Giuseppe Cassano e Fabio Tommasi, Codice delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet, Ipsoa, Milano 2001


Fabio Ciotti e Gino Roncaglia, Il mondo digitale. Introduzione ai nuovi media, Laterza, Roma-Bari 2000.


Giovanna Cosenza, Semiotica dei nuovi media,  Editrice Laterza  2004


L. De Carli, Internet. Memoria e oblio, Bollati Boringhieri, Torino 1997


L. Carrada, Scrivere per Internet, Lupetti, Milano 2000.


P. Giovannetti, Il giornale elettronico, Vallecchi, Milano 1995.


A. Mattelart, Storia della società dell’informazione, Einaudi, Torino, 2002


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P. Migli, L’informazione elettronica verso il 2000, Gutenberg 2000, Torino, 1994.


Mario Morcellini e Geraldina Roberti, Multigiornalismi: la nuova informazione ai tempi di Internet, Guerini Associati 2001


N. Negroponte, Essere digitali, Sperling & Kupfer Editori, Milano 1995.


Francesca Pasquali,  I nuovi Media,  Carocci editore,  2003


Piersanti, Roidi e Colombo, Giornalisti nella rete – Internet dentro e fuori le redazioni giornalistiche – Ente dello spettacolo,  Roma 1999


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     E. Pulcini, Scrivere lineare comunicare per il Web, Franco Angeli. Milano 2001.


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Stefania Garassini, Dizionario dei new media (Internet, multimedia, tv digitale, tlc,    intelligenza artificiale), Cortina Editore, Milano 1999


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Riccardo Staglianò, Giornalismo 2.0. Fare informazione al tempo di Internet, Carocci, Roma 2002


Angelo Varni (a cura di), Storia della comunicazione in Italia. Dalle Gazzette a Internet, Il Mulino, Bologna 2002


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GIORNALISMO E INTERNET  


In: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=2105


I media cartacei sopravviveranno alla transizione verso Internet? C’è ancora vita dopo la carta stampata in Editoria? Giornali, Internet e il web. Quale sarà il futuro della stampa? Quali prospettive di crescita tecnica ed economica riserva il Web? Come si comportano gli inserzionisti? Come cambiano le redazioni e che forme assume l’informazione? Questi i temi affrontati in un articolo del New York Times, a partire dall’esperienza dell’International Data Group, editore di nicchia che ha visto il proprio fatturato crescere in seguito alla migrazione sul Web (www.lsdi.it. Ricerca realizzata con Wordpress. 12 maggio 2008).


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In: http://www.tesionline.it/news/la-tesi-del-giorno.jsp?id=769


La tesi del giorno: Internet e giornalismo


Internet è una fonte giornalistica utile ed affidabile? Su una simile questione i punti di vista dei giornalisti non sembrano essere univoci. Da un lato, infatti, alcuni professionisti, abituati a fonti informative più tradizionali, hanno vissuto con diffidenza l'introduzione di questo nuovo medium che viene perciò utilizzato solo saltuariamente. D'altro canto, però sono numerosi quelli che hanno accolto con entusiasmo la comparsa della rete e che se ne avvalgono quotidianamente. Alessandra Tibollo, nella sua tesi Nella Rete delle redazioni: viaggio dal Corriere dell'Umbria a Rai News 24, partendo da un excursus storico e metodologico sulla natura delle fonti giornalistiche e di Internet, affronta la questione evidenziando opportunità, vantaggi e svantaggi che questo medium porta con sé.


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in: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=1600


www.lsdi.it del 29 dicembre 2007


Cambia l’architettura del


giornale ma non si sa come


sarà la redazione del futuro


Se da una parte i quotidiani stanno lottando per sopravvivere puntando su web, maggiore copertura locale e uno staff sempre più ridotto, dall’altra stanno trasformando in maniera drammatica architettura e funzionamento delle redazioni - Jennifer Carroll, vice presidente della Gannett per i contenuti dei nuovi media, aggiunge: “Non stiamo parlando di spostare qualche mobile, stiamo parlando di ripensare completamente il modo in cui facciamo giornalismo” – Le redazioni come ‘’imprese di notizie’’ – Il caso dell’ Atlanta Journal-Constitution – I reporter del ‘’branco’’ – Il rischio di perdere il controllo dell’ intero processo di produzione delle notizie - Un articolo di Carl Sessions Stepp, dell’ American Journalism Review.


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In: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=1409


Da www.lsdi.it del 15-11-2007


Una nuova funzione per le redazioni: diventare una ‘’infostruttura’’ per la comunità.


Un articolo sul nuovo blog della Newspaper Association of America - Giornali come ‘’hub’’ in cui viene convogliata e ‘’lavorata’’ l’ informazione prodotta dai cittadini – Servono ‘’analisti della notizia’’ e ‘’animatori delle tribù’’, mentre i giornalisti professionali continueranno a dare valore aggiunto


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In: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=2598


www.lsdi.it


Informazione: una crisi di valore senza precedenti.


Il giornalismo crede che l’ informazione abbia un valore in sé, ma sbaglia: il valore nasce dall’ uso che se ne può fare – Un intervento di Jeff Mignon e le analisi di Robert Picard – “Da sempre i media di informazione sono stati ‘giornalistico-centrici’ e questa è una delle cause di fondo della crisi che ora attraversano – Per uscire dalla crisi invece bisogna dare nuovo valore d’uso all’ informazione (quello che spesso fanno i blogger) e andare al di là della notizia bruta per costruire senso, diffonderlo e discuterne.


di Jeff Mignon (mediachroniques.ning.com)


 







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