1. Premessa. Le preoccupazioni di Franco Siddi sull’indifendibilità degli scatti biennali. Magistrati e professori universitari hanno gli scatti biennali per decisione del Parlamento.
Franco Siddi, segretario generale della Fnsi, ha spiegato le difficoltà vere della trattativa con la Fieg per il rinnovo del contratto. Lo ha fatto con una lunga circolare, datata 8 agosto 2008 e inviata al Consiglio Nazionale, alla Commissione contratto Fnsi-Fieg, ai Comitati e Fiduciari di redazione, alle Associazioni regionali di stampa e agli Enti di categoria; e ha scritto testualmente: “I ministri del lavoro di qualsiasi colore in tutti questi anni di vertenza hanno con estrema chiarezza sostenuto l’indifendibilità delle nostre posizioni a fronte di un panorama generalizzato della contrattualistica di tutti i settori che ha visto da tempo la trasformazione degli scatti di anzianità da percentuale in cifra fissa. Ciò nonostante, non intendiamo demordere, pur disponibili a ragionare per individuare soluzioni che confermino la validità dell’istituto e che si muovano nell’ambito del preciso mandato che il congresso di Castellaneta ci ha voluto affidare sull’argomento, impegnando ‘i vertici federali a difendere gli automatismi economici nell’ambito di una complessiva definizione contrattuale che garantisca la progressione professionale e retributiva dei giornalisti’. La nuova retribuzione dovrà tenere insieme, secondo noi, il valore dei nuovi sforzi, la considerazione delle compatibilità e la crescita dei più deboli”.
Sugli aumenti periodici di anzianità la posizione degli editori è netta. Gli editori hanno scritto nella loro piattaforma: “Rivedere la disciplina vigente sulla base delle seguenti specifiche: individuazione in cifra fissa dell’ammontare del singolo scatto con riferimento alla qualifica del giornalista secondo i valori in atto antecedentemente alla rinnovazione; per i giornalisti in servizio in possesso di un’azianità aziendale di 15 anni, il mantenimento del numero massimo di scatti già previsto (15); individuazione in 7 del numero massimo degli aumenti periodici maturabili”.
Sbagliano sia Siddi sia gli editori. Procediamo con calma.
Siddi deve dire sia ai ministri sia agli editori che il trattamento sugli scatti biennali in percentuale (6%) previsto dal Cnlg non è anomalo e non è un unicum sul piano nazionale. Non si può negare ai giornalisti quello che il Parlamento ha concesso ad altre categorie intellettuali come i magistrati e i professori universitari. I giornalisti non sono di meno: anche la loro professione è nella Costituzione. Gli scatti sono nella legge-contratto del 1959 e appartengono al campo dei diritti quesiti, che fanno parte, ossia, del patrimonio dei giornalisti italiani.
In sede di Assemblea Costituente, come scrive Riccardo Fuzio (in: www.unicost.it/index.php?option=com_content&task=view&id=414&Itemid=30), fu discusso se fosse opportuno inserire espressamente in Costituzione anche un principio inerente il trattamento economico della magistratura. Prevalse l’orientamento contrario, ma fu approvato un ordine del giorno che affermava: “L’assemblea Costituente, convinta che l’indipendenza della magistratura non potrà essere conseguita se non si assicuri al magistrato anche l’indipendenza economica, che gli consenta completa serenità di lavoro, ritenendo che, data la delicatezza e l’importanza sociale della funzione del magistrato, sia giusto che ciò non venga dimenticato mentre si prepara la costituzione dello Stato, indica alla camera legislativa la necessità di una concreta soluzione”. Ai magistrato il potere legislativo ha assicurato “lo sviluppo di una carriera economica interna per anzianità, strutturata in classi e scatti (in pratica, per i primi sedici anni di carriera, otto classi biennali del 6 per cento sullo stipendio iniziale di qualifica, e scatti biennali successivi del 2,5 per cento nel prosieguo di carriera) così da garantire un equilibrio tra i diversi livelli di anzianità corrispondenti alle varie qualifiche e all’interno di ogni qualifica”.
Anche l’indipendenza del giornalismo professionale poggia sull’indipendenza economica (oggi garantita anche dagli scatti biennali) nonché sulle regole deontologiche.
La proposta degli editori, però, non è praticabile, perché è in netto contrasto con le clausole dell’articolo 13 del Cnlg 1959/1960, che è il Contratto che ha acquisito forza di legge con il Dpr 153/1961. Gli editori non possono chiedere una modifica che stravolge la norma del 1959/60 (massimo di 12 scatti e maggiorazione pari al 5 % del minimo di stipendio della categoria di appartenenza per i primi sei scatti e del. 6 % per i successivi) di per sé intangibile per legge. Potrebbero teoricamente chiedere il ritorno a quella clausola rispetto alla clausola oggi in vigore (massimo di 15 scatti, maggiorazione al 6% del minimo di stipendio della categoria di appartenenza aumentato dell’indennità di contingenza).
2. Il Contratto Fnsi-Fieg, la legge n. 741/1959 e il Dpr n. 153/1961. Il contratto nazionale di lavoro giornalistico stipulato e firmato dalla Fnsi e dalla Fieg, reso efficace erga omnes, ha assunto natura e forza di legge (con il Dpr 16 gennaio 1961 n. 153) e può essere superato solo da successive clausole contrattuali più favorevoli ai lavoratori. Il Dpr n. 153/1961 (pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” del 29 marzo 1961) è “figlio” della legge n. 741/1959. Con la legge 14 luglio 1959 n. 741 (nella “Gazzetta Ufficiale” 18 settembre 1959) sono state emanate le “norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori”. L’articolo 1 della legge n. 741/1959 recita: "Il Governo è delegato ad emanare norme giuridiche, aventi forza di legge, al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti ad una medesima categoria". L’articolo 8 punisce la condotta antigiuridica del "datore di lavoro che non adempie agli obblighi derivanti dalle norme di cui all’articolo 1 della presente legge".
3. La centralità dell’articolo 7 della legge n. 741/1959: i trattamenti economici e normativi minimi conservano piena efficacia nel tempo anche dopo la scadenza del contratto collettivo e ad essi si può derogare con accordi “soltanto a favore dei lavoratori”. L’articolo 7 della legge n. 741/1959 riveste un ruolo centrale nella normativa lavoristica. Esso dice testualmente: “I trattamenti economici e normativi minimi, contenuti nelle leggi delegate, si sostituiscono di diritto a quelli in atto, salvo le condizioni, anche di carattere aziendale, più favorevoli ai lavoratori. Essi conservano piena efficacia anche dopo la scadenza o il rinnovo dell'accordo o contratto collettivo cui il Governo si è uniformato sino a quando non intervengano successive modifiche di legge o di accordi e contratti collettivi aventi efficacia verso tutti gli appartenenti alla categoria. Alle norme che stabiliscono il trattamento di cui sopra si può derogare, sia con accordi o contratti collettivi che con contratti individuali, soltanto a favore dei lavoratori”. Sotto il profilo dell’art. 7 della legge 741/1959, la contropiattaforma presentata nel 2005 dagli editori è illecita, illegittima, illegale e immorale, perché tradisce il principio secondo il quale ai “trattamenti normativi ed economici si può derogare, sia con accordi o contratti collettivi che con contratti individuali, soltanto a favore dei lavoratori”. La Fieg deve ritirare il suo documento, nonostante il precedente del 2000/2001. La contropiattaforma accredita o vuole accreditare l’idea che la Fnsi sia una controparte alla quale la Fieg possa chiedere la restituzione di istituti contrattuali (con i relativi quattrini) costruiti dai giornalisti dal 1877 ad oggi.
4. La legge-contratto dei giornalisti è il Dpr n. 153/1961 che ha reso efficace erga omnes il Contratto Fnsi-Fieg 10 gennaio 1959. La legge-contratto dei giornalisti è, come detto, il Dpr n. 153/1961 che ha reso efficace erga omnes il Contratto Fnsi-Fieg 10 gennaio 1959. Il pretore di Monza (sentenza E.A.-Rete A Srl, n. 164/1995, 1° marzo 1995) ha scritto che il contratto dei giornalisti è quello Fnsi-Fieg: “...ciò non solo perché l’attività giornalistica è estranea alle mansioni, alle qualifiche e ai profili contemplati da tale contratto collettivo (Frt, ndr), ma anche e soprattutto perché la disciplina in tema di rapporto di lavoro giornalistico trova la sua fonte nel Dpr 16 gennaio 1961 n. 153 in forza del quale il contratto collettivo di categoria (Fnsi-Fieg, ndr) del 10 gennaio 1959, reso efficace erga omnes, ha assunto natura e forza di legge, potendo essere superato solo da successive clausole contrattuali più favorevoli ai lavoratori”. Anche i supremi giudici sono di quest’avviso: “Ai sensi dell'art. 7 della legge 14 luglio 1959 n. 741, le clausole di contratto collettivo reso efficace "erga omnes" possono essere superate da clausole di contratti collettivi successivi privi di tale efficacia soltanto se quest'ultime, considerate globalmente, siano più favorevoli al lavoratore” (Cass. civ. , sez. lav., sent. n. 253 del 12-01-1984).
5. La professione giornalistica, come quella degli avvocati e dei medici, è nella Costituzione.
La Costituzione (art, 21, II comma) e la Corte costituzionale (sentenze 11/68; 98/68; 2/1971; 71/91: 505/1995 e 38/1997) disegnano una professione giornalistica come professione della libertà. Il nuovo diritto fondamentale dei cittadini all’informazione presuppone la presenza e l’attività di giornalisti vincolati a un percorso formativo universitario (come impongono la direttiva comunitaria n. 89/48/CEE e il comma 18 dell’articolo 1 della legge n. 4/1999), a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare (art. 1, 2, 11 e 48 della legge 69/1963) nonché a un esame di Stato (art, 33, V comma, della Costituzione). Ormai è maturo il tempo perché i giornalisti, siano considerati inseriti di fatto nella Costituzione. I giornalisti, nell’esercizio della professione, sono soggetti soltanto ai valori della Costituzione e alle regole della deontologia fissata per legge. L’Antitrust, sbagliando, ha affermato che, accanto all'Ordine giudiziario (art. 104 Cost), soltanto gli avvocati e i medici sono nella Costituzione (con riferimento agli articoli 24 e 32, che parlano del diritto di difesa e del diritto alla salute). Il secondo comma dell’articolo 21 della Costituzione afferma che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. La stampa “vive soprattutto attraverso l'opera quotidiana dei (giornalisti) professionisti” (sentenza 11/68 della Consulta). La stampa è, in effetti, fatta, alimentata, progettata e creata dai giornalisti professionisti. “L'esperienza dimostra – come ha scritto la Corte costituzionale nella sentenza n. 11/1968 - che il giornalismo, se si alimenta anche del contributo di chi ad esso non si dedica professionalmente, vive soprattutto attraverso l'opera quotidiana dei professionisti. Alla loro libertà si connette, in un unico destino, la libertà della stampa periodica, che a sua volta è condizione essenziale di quel libero confronto di idee nel quale la democrazia affonda le sue radici vitali”.
Il secondo comma dell’articolo 21 va incrociato con il quinto comma dell’articolo 33 della Costituzione: “È prescritto un esame di Stato ...per l'abilitazione all'esercizio professionale”. Lo Stato, quindi, deve garantire i cittadini sulla preparazione dei giornalisti “all’esercizio professionale”. Su questa base il Parlamento ha stabilito (con la legge n. 69/1963) che esiste una professione giornalistica, che è stata poi organizzata, come prescrive l’articolo 2229 del Codice civile, con l’Ordine (giudice disciplinare e giudice delle iscrizioni) e l’Albo: “Non spetta alla Corte valutare l'opportunità della creazione dell'Ordine, perché l'apprezzamento delle ragioni di pubblico interesse che possano giustificarlo appartiene alla sfera di discrezionalità riservata al legislatore. Compete, invece, alla Corte accertare se la riserva della professione giornalistica ai soli iscritti all'Ordine ed il modo in cui la legge ha disciplinato il regime dell'albo comportino la violazione del principio costituzionale - articolo 21 - che a tutti riconosce il "diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione": un diritto, come altre volte è stato detto (cfr. sent. n. 9 del 1965), coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione, inconciliabile con qualsiasi disciplina che direttamente o indirettamente apra la via a pericolosi attentati, e di fronte al quale non v'è pubblico interesse che possa giustificare limitazioni che non siano consentite dalla stessa Carta costituzionale”.
La legge istitutiva dell’Ordine (n. 69/1963), realizzando un proposito espresso fin dal 1944 dal legislatore democratico (art. 1 del D.L. Lt. 23 ottobre 1944, n. 302), disciplina l'esercizio professionale giornalistico e non l'uso del giornale come mezzo della libera manifestazione del pensiero: essa – come si legge nella sentenza n. 11/1968 della Consulta - non tocca il diritto che a "tutti" l'articolo 21 della Costituzione riconosce: “Questo sarebbe certo violato se solo gli iscritti all'albo fossero legittimati a scrivere sui giornali, ma è da escludere che una siffatta conseguenza derivi dalla legge”. Ha scritto ancora la Consulta: “Chi tenga presente il complesso mondo della stampa nel quale il giornalista si trova ad operare o consideri che il carattere privato delle imprese editoriali ne condiziona le possibilità di lavoro, non può sottovalutare il rischio al quale è esposto la sua libertà né può negare la necessità di misure e di strumenti a salvaguardarla. Il fatto che il giornalista esplica la sua attività divenendo parte di un rapporto di lavoro subordinato non rivela la superfluità di un apparato che si giustificherebbe solo in presenza di una libera professione, tale il senso tradizionale. Quella circostanza, al contrario, mette in risalto l'opportunità che i giornalisti vengano associati in un organismo che, nei confronti del contrapposto potere economico del datori di lavoro, possa contribuire a garantire il rispetto della loro personalità e, quindi, della loro libertà: compito, questo, che supera di gran lunga la tutela sindacale del diritti della categoria e che perciò può essere assolto solo da un Ordine a struttura democratica che con i suoi poteri di ente pubblico vigili, nei confronti di tutti e nell'interesse della collettività, sulla rigorosa osservanza di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla”.
La Consulta ha superato anche le riserve sul praticantato con questo ragionamento: “La Corte osserva che, se è vero che ove il soggetto interessato non trovi un giornale che lo assuma come praticante egli non potrà mai intraprendere la carriera giornalistica, è altrettanto vero che neppure il giornalista iscritto può svolgere la sua attività professionale se non trova un editore disposto ad assumerlo: il che dimostra che ci si trova di fronte a conseguenze che non derivano dalla legge in esame, ma dalla struttura privatistica delle imprese editoriali, nell'ambito della quale la non discriminazione può essere assicurata soltanto dalla concorrenza della molteplicità delle iniziative giornalistiche”. Oggi la presenza di 20 scuole di giornalismo, riconosciute dall’Ordine, hanno attutito di molto le polemiche sull’accesso alla professione.
Gli Ordini, enti pubblici, hanno la specifica competenza della tenuta dell’albo, dei giudizi disciplinari, della proposta della tariffa professionale nonché della liquidazione dell’onorario. Tali funzioni sono assegnate a tutela non degli interessi della categoria professionale ma della collettività nei confronti dei professionisti: tale principio è fissato nella sentenza n. 254/1999 del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana (magistratura equiparata al Consiglio di Stato). Molti sostengono, invece, che “gli Ordini hanno la finalità di tutelare (solo) gli interessi della categoria”. Ma non è così. Secondo il Consiglio della Giustizia amministrativa della regione siciliana, invece, gli Ordini, devono tutelare gli interessi dei clienti dei professionisti. “Le specifiche competenze della tenuta dell’albo, dei giudizi disciplinari, della redazione e della proposta della tariffa professionale nonché della liquidazione dei compensi — scrive il Cgars – sono assegnate dalla legge agli Ordini essenzialmente per la tutela della collettività nei confronti degli esercenti la professione, la quale solo giustifica l’obbligo dell’appartenenza all’Ordine, e non già per una tutela degli interessi della categoria professionale che farebbe degli Ordini un’abnorme figura d’associazione obbligatoria, munita di potestà pubblica, per la difesa di interessi privati settoriali”. Un concetto, questo, che prefigura un ruolo moderno degli Ordini non più intesi come corporazione ma come enti pubblici che concorrono ad attuare valori e finalità propri della Costituzione repubblicana.
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Farebbero bene i dirigenti della Fnsi, quando si siedono al tavolo delle trattative, ad alzare la testa e ad imporre agli editori il rispetto per una professione che affonda le sue radici nella Costituzione repubblicana e che è tale perché è ancorata a una legge votata dal Parlamento. Una professione non seconda rispetto a quella dei magistrati.
Franco Abruzzo
docente universitario a contratto di ”Diritto dell’Informazione”
Milano, 5 ottobre 2008
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In: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=2650
Trattative Fnsi/Fieg.
Stampa Democratica:
“Un contratto condiviso,
non a tutti i costi”
Stampa Democratica ribadisce che occorre una politica salariale che difenda gli automatismi. Quindi nessuna "svendita" degli scatti di anzianità: la struttura del salario deve garantire gli automatismi nella busta paga e comunque occorre una forte rivalutazione dei minimi che contrastino l'erosione del potere d'acquisto degli stipendi.