Nella fattispecie diffamatoria contro un magistrato decisa dalla Corte d’Appello di Milano (demandata a decidere del caso a seguito del rinvio da parte della Corte di Cassazione), dall’esame delle prove era emerso:
- da un lato, che il giornalista lungi dal compulsare la fonte originaria, aveva basato il proprio articolo giornalistico sulla "rivelazione" di un fatto appreso dalla cronaca locale del quotidiano la "Stampa". Quest’ultima, però, l'aveva tuzioristicamente esposto in forma condizionale, vi aveva dedicato un breve e asettico cenno, e aveva ritenuto perciò possibile - sia pure con il beneficio del dubbio - di divulgarla senza verificare la verità storica;
- dall’altro lato, che il cronista aveva riportato maliziosamente la notizia come un fatto certo, senza aver svolto il sia pur minimo controllo di veridicità, cosa che peraltro appariva di agevole esecuzione.
Sulla base di tali presupposti, il Giudice d’appello ha ritenuto che non sussistessero i presupposti essenziali per la configurazione di un diritto di cronaca putativo né in capo al cronista e – di conseguenza - in capo al direttore del giornale, “responsabile del fatto ascrittogli per non avere svolto il doveroso controllo sulla condotta illecita del giornalista e per avere determinato, consentendo la pubblicazione dell'articolo diffamatorio, ingiustificata offesa alla reputazione altrui”.
La Corte ha quindi confermato le precedenti statuizioni di condanna generica al risarcimento dei danni con la liquidazione di una provvisionale di euro 10.000,00, argomentando che l'offesa arrecata al prestigio e alla reputazione di un magistrato, in quanto intesa a minare il requisito principale della "terzietà" sul quale si fonda il ruolo istituzionale e la credibilità sociale del magistrato (quand'anche distaccato presso altre Amministrazioni proprio in ragione della stima e della professionalità acquisite), appare oggettivamente grave.
Secondo la Corte nella fattispecie, la gravità risultava accresciuta dal rilievo che l'aggiunta di insinuazioni e dubbi sulla passione del magistrato per le esternazioni (retribuite?) era del tutto eccentrica rispetto ai temi suscitati dalla "notizia" (falsa), e quindi davvero gratuita. Come tale, essa travalicava anche il presupposto della "continenza" per l'esercizio del diritto di cronaca e di critica. (App. Milano 12.06.2008.pdf in http://www.personaedanno.it/CMS/Data/articoli/012115.aspx).
App. Milano Sez. II, 19-06-2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI MILANO
SEZIONE SECONDA PENALE
composta dai signori:
1. Dott. ERMINIA LA BRUNA Presidente
2. FLAVIO LAPERTOSA Consigliere
3. ROSA LUISA POLIZZI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa del Pubblico Ministero
contro
CE. MA. VI. nato a x (CR) il 25-03-1921 - APPELLANTE – LIBERO residente a MILANO- x
Imputato di: 57 C.P. IN REL. 595 C.P. E 13 L. 47/48 commesso in x in data 07-03-2000
Difeso da: Avv. x Foro di MILANO
MA. MA. nato a x (BS) il 07-11-1947 - APPELLANTE – LIBERO residente a ROMA- x
Imputato di: ARTT. 595 C.P. E 13 L. 47/48 commesso in x in data 07-03-2000
Difeso da: Avv. x Foro di MILANO
PARTE CIVILE:
CA. GI. CA. NON APPELLANTE Difensore Avv. x Foro di MILANO
APPELLANTE
avverso la sentenza del Tribunale Monocratico di MONZA-DESIO N. Reg.Gen. 1306/2003 del 14-
06-2004
con la quale veniva condannata alla pena di:
MA.: EURO 600 DI MULTA
CE.: EURO 400 DI MULTA
CONDANNA, IN SOLIDO, AL PAGAMENTO DELLA SOMMA DI EURO 3.000 A TITOLO
DI RIPARAZIONE PECUNIARIA A FAVORE DELLA P.C.
CONDANNA, IN SOLIDO, AL RISARCIMENTO DANNI, PROVVISIONALE IMMEDIATAMENTE ESECUTIVA E RIFUSIONE ALLA P.C.
PUBBLICAZIONE DELLA PRESENTE SENTENZA, UNA SOLA VOLTA E PER ESTRATTO,
SUL QUOTIDIANO x.
MA. PER IL REATO DI DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA AGGR.
CE. PER IL REATO DI OMESSO CONTROLLO SUL CONTENUTO DELL'ARTICOLO
AGGR.
per i reati:
CE. MA. VI. ARTT. 57 C.P. IN REL. 595 C.P. E 13 L. 47/48 commesso in x in data 07-03-2000
MA. MA. ARTT. 595 CR E 13 L. 47/48 commesso in x in data 07-03-2000.
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 14.6.2004 il Tribunale di Monza, Sezione distaccata di Desio, condannava
Ma. Ma. e Ce. Ma. Vi., concesse a entrambi le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante
contestata, alla pena, rispettivamente, di euro 600 e 400 di multa ritenendoli responsabili del reato
di diffamazione a mezzo stampa in danno del dott. Gi. Ca., costituitosi parte civile, a favore del
quale veniva disposto il risarcimento del danno da liquidare in separata sede con assegnazione di
una provvisionale di euro 10.000,00.
Il Ma., quale autore dell'articolo di stampa intitolato "E Ca. recluta candidati" riportato sul
quotidiano "x" del 7.3.2000 era stato infatti imputato del reato di cui agli artt. 595 c.p. e 13 legge
47/78 per avere offeso la reputazione del magistrato Gi. Ca. Ca., affermando in particolare che
costui "coltivava da sempre una passione per esternazioni (retribuite?) sui media" e che lo stesso si
era dedicato all'arruolamento di candidati per una fazione politica, attivandosi per far cadere la
regola della imparzialità della Magistratura "anche per le altre amministrazioni dello Stato",
essendo Ca. all'epoca Direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria. Il Ce. veniva
incolpato a sua volta del reato di cui all'art. 57 c.p. perché, nella qualità di direttore responsabile del
quotidiano "x", aveva omesso di esercitare il necessario controllo sul contenuto offensivo
dell'articolo.
In particolare, nell'ambito del detto articolo il Ma. riferiva come notizia quasi certa che il calciatore
del Torino Cl. Sa. si sarebbe dedicato alla politica sostenendo la candidatura a Presidente della
Regione Piemonte dell'onorevole Li. Tu., e affermava che "sembra meno normale invece che a
sponsorizzare l'operazione sia stato, insieme con Di. No., come ha rivelato l'edizione torinese della
x, Gi. Ca.". L'articolista aveva aggiunto: "Passi (ma fino a un certo punto) che l'altissimo
funzionario dello Stato coltivi da sempre una passione per esternazioni (retribuite?) sui media, ma
dovrebbe sembrare eccessivo anche a quanti hanno avuto nei suoi confronti un atteggiamento laico
e comprensivo che Ca. si dedichi persino all'arruolamento di candidati per le liste di una fazione 2
politica. Dopo la caduta della regola che impone alla magistratura di essere e di sembrare al di
sopra delle parti forse Ca. intende farla cadere anche per le altre amministrazioni dello Stato".
Secondo il Tribunale, che aveva sentito la parte lesa come teste, tali espressioni erano
obiettivamente diffamatorie e non scriminate dal diritto di critica, neppure in via putativa, giacché
integravano un attacco personale espresso con toni sarcastici e insinuanti e fondato soprattutto su
una notizia non vera; né poteva costituire fonte legittima di informazione un precedente articolo
apparso sulla "Stampa", dato che l'articolo, in cui si parlava pure di un supposto sostegno di Ca.
alla candidata di Cl. Sa., risaliva a soli tre giorni prima e quindi sarebbe stato agevole per Ma.
verificare la fondatezza della notizia contattando direttamente gli interessati, mentre nessun rilievo
avrebbe potuto attribuirsi alla mancata smentita di Ca., non essendo previsto il silenzio assenso
dell'interessato sulla verità della notizia che- lo riguardava.
Proposta impugnazione da parte degli imputati, la Corte di Appello di Milano, con sentenza in data
4.7.06, confermava la decisione di primo grado ritenendo certa la falsità della notizia, che invero
Ma. aveva recepito da altro servizio pubblicato sulla "x", ove però essa era stata riportata in forma
dubitativa.
Ma. e Ce. proponevano ricorso per Cassazione per vizio di motivazione in ordine alla valenza
diffamatoria delle espressioni contestate, contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta
insussistenza della scriminante del diritto di cronaca e di critica, ancorché putativa, difetto di
motivazione in ordine all'omesso controllo da parte del direttore del giornale, erronea applicazione
della legge penale quanto al giudizio di comparazione delle circostanze e mancanza di Motivazione
in ordine ai motivi di appello concernenti le statuizioni civilistiche.
Con sentenza in data 20.6.07 la Cassazione, premesso che andavano condivise le valutazioni della
Corte territoriale in ordine alla valenza offensiva dell'articolo, osservava che in relazione
all'invocata scriminante del diritto di cronaca e di critica appariva necessario e determinante
l'accertamento del presupposto fondamentale della verità del fatto riferito, laddove invece il giudice
di secondo grado, con un percorso motivazionale contraddittorio, aveva tratto certezza della notizia
della falsità della notizia dalle parole del querelante e dalla circostanza che il giornalista Tr. della x,
che aveva riportato la notizia in forma dubitativa, non era stato interpellato dal Ma., senza
considerare tuttavia che gli imputati avevano chiesto di provare, attraverso l'esame di testimoni, la
veridicità del fatto, il che costituiva passaggio propedeutico per la successiva verifica della
legittimità del diritto di cronaca e di critica. Rimetteva quindi il processo ad altra Sezione della
Corte di Appello di Milano per nuovo esame onde accertare la veridicità della notizia pubblicata
dal Ma. e, ove questa fosse risultata provata, per l'esame degli altri profili (interesse sociale alla
informazione e continenza espressiva) costituenti presupposto di legittimo esercizio del diritto di
cronaca e di critica.
Rimesso il processo a questa Seconda Sezione Penale della Corte di Appello di Milano, all'udienza
del 28.2.2008, all'esito della discussione, il P.G., la parte civile e il difensore rassegnavano le
conclusioni di cui al verbale in atti.
La Corte con ordinanza in data 28.2.2008 disponeva la innovazione della istruttoria dibattimentale
fissando l'udienza del 12.6.08 per l'audizione del teste Tr.
I Sentito il testimone le parti rassegnavano nuovamente le conclusioni, come riportate in atti.
Motivi della decisione
I reati ascritti agli appellanti, commessi il 7 marzo 2000, devono considerarsi estinti ex artt. 157 n.
4 e 160 ult. co. c.p. per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia della Cassazione in data
20.6.2007.
Ciò comporta il proscioglimento degli imputati poiché dagli atti di causa non emerge con evidenza
la prova della loro innocenza ed anzi risulta conclamata la loro responsabilità per i fatti ad essi
rispettivamente ascritti, con conseguente applicabilità del disposto dell'art. 578 c.p.c. in ordine alle
statuizioni civili.
Per giustificare tale esito è opportuno rammentare brevemente quale sia l'oggetto del presente
giudizio di rinvio.
La Corte di Cassazione, annullando la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano in data
4.7.2006, ha riconosciuto che le considerazioni esposte nell'articolo giornalistico sullo scadimento
dell'imparzialità della Magistratura, e segnatamente l'attribuzione sarcastica - espressa con artificio
retorico in forma dubitativa - al dott. Ca. del proposito di determinarne la caduta "anche per altre
amministrazioni", hanno contenuto sicuramente diffamatorio anche perché tali da ingenerare nel
lettore, al di là del tenore letterale delle espressioni, sospetti sul pregresso esercizio della
giurisdizione da parte del predetto". Proprio sul presupposto del carattere diffamatorio di quelle
espressioni, sul quale questa Corte non ha motivo di ritornare sovrapponendo inutilmente la propria
convinzione adesiva, la Suprema Corte ha demandato a questo giudice di rinvio il compito di
accertare se la lesione della reputazione del dott. Ca., così consumata, si debba ritenere o meno
scriminata dall'esercizio legittimo del diritto di cronaca e di critica (art.51 c.p.); in particolare ha
rimesso a questa Corte territoriale di accertare se la notizia pubblicata sia vera giacché "ove detta
veridicità risultasse accertata, ciò stesso, in presenza delle altre due condizioni di cui si è detto"
(vale a dire la sussistenza di un interesse pubblico alla informazione e il rispetto del principio della
continenza) legittimerebbe tanto la diffusione della notizia in sé che le considerazioni che la
accompagnavano". Con la precisazione, ovvia, che "nella sola ipotesi in cui tale veridicità
risultasse provata, la Corte di rinvio avrebbe potuto esaminare gli "altri profili costituenti
presupposto del legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica", essendo la eventuale falsità
della notizia sufficiente a escludere la liceità della condotta.
Poiché la Corte di legittimità aveva considerato fondata la doglianza dei ricorrenti, nella parte in
cui avevano lamentato che i giudici del merito avessero tratto certezza della falsità della notizia
dalle sole parole del querelante e da altri elementi indiziali, senza tenere conto del fatto che essi
avevano chiesto di provare attraverso l'esame di testi (innanzitutto del Tr.) la veridicità del fatto,
questa Corte ha accolto le richieste della Difesa, ammettendo ex art. 603 c.p.p. la testimonianza del
Tr., trattandosi dell'unica persona, tra quelle indicate nella lista testi, che poteva avere una
cognizione diretta del fatto, tant'è che il Tr. lo aveva pubblicato, sia pure in forma dubitativa, in un
articolo che, apparso sulla "x" il 4.3.2000, era stato espressamente richiamato nell'articolo
pubblicato tre giorni dopo dal Ma. sul "x", ed era stato indicato da questo come fonte rivelatrice
della notizia ("sembra meno normale invece che a sponsorizzare l'operazione sia stato, insieme con
Di. No., come ha rivelato l'edizione torinese della x, Gi. Ca.").
Orbene il teste Tr. (a sua volta querelato da Ca. per il reato di diffamazione, poi estinto per
intervenuta remissione della querela, con conseguente decreto di archiviazione emesso dal GIP del
Tribunale di Torino in data 9.1.2001, come risulta dalla documentazione prodotta dalla Difesa della
parte civile alla udienza odierna), ha dichiarato che della asserita sponsorizzazione da parte di Gi.
Ca. dell'ex calciatore Cl. Sa., come soggetto di riferimento di un gruppo destinato a sostenere la
candidatura dell'oli. Li. Tu. a Presidente della Regione, aveva avuto notizia da una fonte
confidenziale nota e ritenuta attendibile (perché positivamente utilizzata più volte nel passato). Il
teste ha però precisato che, nel caso specifico, quella notizia si era rivelata poi non veritiera, sicché
egli, nell'ambito di una intesa transattiva che aveva avuto ad oggetto, da parte della "x", il
pagamento di una somma (L. 5.000.00) a titolo di risarcimento, devoluta da Ca. a favore
dell'Associazione "Gr. Ab.", aveva in data 21.12.2000 pubblicato una dichiarazione di scuse e
smentite (intitolata "Ca. non suggerì la candidatura di Sa.), precisando che "il dr. Gi. Ca. non ha in
alcun modo sollecitato né tantomeno suggerito la candidatura di Cl. Sa. nelle elezioni regionali a
fianco di Li. Tu."... e che la notizia fornita da fonte"... ritenuta "certa"... "solo in seguito si è
rivelata inesatta": v. il documento allegato alla odierna udienza dal Difensore della parte civile).
Non vi è dunque alcun dubbio che nel caso di specie non ricorra il profilo della veridicità
sostanziale del fatto oggetto dell'articolo pubblicato dal Ma. sul x, il che è sufficiente, per quanto
sopra osservato, ad escludere la presenza del legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica
giornalistica (in quanto quest'ultima si è sviluppata attraverso la valutazione negativa di un fatto,
indicato come vero, ma storicamente falso).
La Difesa degli imputati, riprendendo un motivo già prospettato nelle fasi precedenti, ha invocato
la putatività dell'esercizio del diritto di cronaca (e di critica) fondandolo sull'attendibilità delle
proprie fonti giornalistiche, sul riferimento a commenti critici espressi in sede parlamentare e sul
silenzio serbato dal dott. Ca. dopo la pubblicazione della notizia sulla Stampa di Torino.
Ma al riguardo è ben noto l'insegnamento costante della giurisprudenza secondo il quale in tema di diffamazione a mezzo stampa l'agente non può invocare l'esercizio del diritto di cronaca sotto il profilo della putatività facendo affidamento, seppure in buona fede, sulla attendibilità della fonte (Cass., 22.62001 n. 31597; Cass. 11.3.2005 n. 15642), salvo che non abbia dimostrato di avere posto ogni più oculata diligenza e accortezza nella scelta delle fonti informative, nell'esplicazione del più attento vaglio circa la loro attendibilità e nel più penetrante controllo sulla rispondenza al vero della notizia pubblicata.
Nel caso di specie risulta che il Ma., lungi dal compulsare la fonte originaria, basò indirettamente il
proprio articolo giornalistico sulla ed. "rivelazione" di un fatto appreso dalla cronaca locale della
"Stampa" (che però l'aveva tuzioristicamente esposto in forma condizionale giacché il dott. Tr., non
avendo annesso una valenza negativa alla vicenda segnalatagli da una fonte confidenziale, vi aveva
dedicato un breve e asettico cenno, e aveva ritenuto perciò possibile, sia pure con il beneficio del
dubbio, di divulgarla senza verificare la verità storica). Non risulta invece che il Ma., nel riportare
maliziosamente quella notizia come un fatto certo, avesse svolto il pur minimo controllo di
veridicità, cosa che sarebbe stata per lui assai agevole effettuare intervistando, se non direttamente
il dott. Ca., almeno il collega Tr..
Né le voci polemiche di alcuni parlamentari sulla vicenda o il silenzio serbato dal dott. Ca. dopo la
pubblicazione della x (si badi bene, intervenuta solo tre giorni prima dell'articolo pubblicato dal x)
avrebbero potuto indurre nel Ma. la ragionevole convinzione che il fatto fosse vero: non l'opinione
dei parlamentari giacché nessuno di costoro aveva commentato la notizia sulla base di una
conoscenza personale o diretta della vicenda; non il breve silenzio serbato da Ca., non avendo egli
alcun dovere di pretendere la immediata rettifica dell'articolo pubblicato dalla x (a meno che non si
voglia scambiare il diritto di rettifica della persona diffamata nella categoria opposta del dovere).
E" dunque evidente che mancano i presupposti essenziali per la configurazione di un diritto di
cronaca putativo, di cui evidentemente non può beneficiare neppure il direttore del giornale,
responsabile del fatto ascrittogli per non avere svolto il doveroso controllo sulla condotta illecita
del giornalista e per avere determinato, consentendo la pubblicazione dell'articolo diffamatorio,
ingiustificata offesa alla reputazione del dott. Ca..
Deve di conseguenza emettersi sentenza di non doversi procedere nei confronti degli imputati per i
fatti loro ascritti per essersi i medesimi estinti per intervenuta prescrizione.
Ai sensi dell'art. 578 c.p.p. questa Corte reputa che le impugnate statuizioni civili della sentenza
emessa dal Tribunale di Monza, Sezione distaccata di Desio (e cioè la condanna generica al
risarcimento dei danni e la liquidazione di una provvisionale di euro 10.000,00), meritino piena
conferma giacché l'offesa arrecata al prestigio e alla reputazione del dott. Ca., in quanto intesa a
minare il requisito principale della "terzietà" sul quale si fonda il ruolo istituzionale e la credibilità
sociale del magistrato (quand'anche distaccato presso altre Amministrazioni proprio in ragione
della stima e della professionalità acquisite), appare oggettivamente grave. La gravita è poi
accresciuta dal rilievo che l'aggiunta di insinuazioni e dubbi sulla passione di Caselli per le
esternazioni (retribuite?) era del tutto eccentrica rispetto ai temi suscitati dalla "notizia" (falsa), e
quindi davvero gratuita. Come tale, essa travalicava anche il presupposto della "continenza" per
l'esercizio del diritto di cronaca e di critica.
E "la dice lunga" sulle più ampie finalità diffamatorie perseguite dall'articolista con il sostegno
indispensabile del direttore del giornale.
Avuto riguardo anche alla elevata notorietà e qualificazione del personaggio, il danno
presumibilmente da lui risentito deve conclusivamente stimarsi di significativa consistenza,
soprattutto dal punto di vista morale (artt. 185 c.p. e 2059 c.c.), sì da giustificare senz'altro le
misure riparatorie adottate dal Giudice di primo grado.
La soccombenza degli appellanti nei confronti della parte civile comporta la loro condanna alla
refusione delle spese processuali da questa sostenute nella fase della cassazione e nel presente
grado, così come liquidate in dispositivo.
PQM
Visti gli artt. 627, 605 e 578 c.p.p. e 157 c.p.;
I decidendo in sede di rinvio sull'appello proposto dagli imputati Ma. Ma. e Ce. Ma. Vi. avverso la
sentenza emessa dal Tribunale di Monza, Sezione distaccata di Desio, in data 14.6.04
dichiara non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine ai reati loro ascritti per essersi gli stessi estinti per intervenuta prescrizione;
conferma
le statuizioni civili della impugnata sentenza;
condanna in solido gli imputati a rifondere le spese sostenute dalla costituita parte civile, che liquida in euro 4.000, oltre spese forfetarie al 12,50%, IVA e CPA per la fase della Cassazione e in euro 3.000,00, oltre spese forfettarie al 12,50%, IVA e CPA per questo grado di giudizio.
Milano, 12.6.08