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Stampa

Corte d'Appello di Milano
Verità putativa
e obbligo di
consultare le fonti

In tema di diffamazione a mezzo stampa il cronista per poter invocare l'esercizio del diritto di cronaca sotto il profilo della putatività facendo affidamento, seppure in buona fede, sulla attendibilità della fonte, deve dimostrare di avere posto ogni più oculata diligenza e accortezza nella scelta delle fonti informative, nell'esplicazione del più attento vaglio circa la loro attendibilità e nel più penetrante controllo sulla rispondenza al vero della notizia pubblicata.

di Sabrina Peron, avvocato in Milano

Nella fattispecie diffamatoria contro un magistrato decisa dalla Corte d’Appello di Milano (demandata a decidere del caso a seguito del rinvio da parte della Corte di Cassazione), dall’esame delle prove era emerso:


- da un lato, che il giornalista lungi dal compulsare la fonte originaria, aveva basato il proprio articolo giornalistico sulla "rivelazione" di un fatto appreso dalla cronaca locale del quotidiano la "Stampa". Quest’ultima, però, l'aveva  tuzioristicamente esposto in forma condizionale, vi aveva dedicato un breve e asettico cenno, e aveva ritenuto perciò possibile - sia pure con il beneficio del dubbio - di divulgarla senza verificare la verità storica;


- dall’altro lato, che il cronista aveva riportato maliziosamente la notizia come un fatto certo, senza aver svolto il sia pur minimo controllo di veridicità, cosa che peraltro appariva di agevole esecuzione.


Sulla base di tali presupposti, il Giudice d’appello ha ritenuto che non sussistessero i presupposti essenziali per la configurazione di un diritto di cronaca putativo né in capo al cronista e – di conseguenza - in capo al direttore del giornale, “responsabile del fatto ascrittogli per non avere svolto il doveroso controllo sulla condotta illecita del giornalista e per avere determinato, consentendo la pubblicazione dell'articolo diffamatorio, ingiustificata offesa alla reputazione altrui”.


La Corte ha quindi confermato le precedenti statuizioni di condanna generica al risarcimento dei danni con la liquidazione di una provvisionale di euro 10.000,00, argomentando che l'offesa arrecata al prestigio e alla reputazione di un magistrato, in quanto intesa a minare il requisito principale della "terzietà" sul quale si fonda il ruolo istituzionale e la credibilità sociale del magistrato (quand'anche distaccato presso altre Amministrazioni proprio in ragione della stima e della professionalità acquisite), appare oggettivamente grave.


Secondo la Corte nella fattispecie, la gravità risultava accresciuta dal rilievo che l'aggiunta di insinuazioni e dubbi sulla passione del magistrato per le esternazioni (retribuite?) era del tutto eccentrica rispetto ai temi suscitati dalla "notizia" (falsa), e quindi davvero gratuita. Come tale, essa travalicava anche il presupposto della "continenza" per l'esercizio del diritto di cronaca e di critica. (App. Milano 12.06.2008.pdf in  http://www.personaedanno.it/CMS/Data/articoli/012115.aspx). 


App. Milano Sez. II, 19-06-2008


REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE D'APPELLO DI MILANO


SEZIONE SECONDA PENALE


composta dai signori:


1. Dott. ERMINIA LA BRUNA Presidente


2. FLAVIO LAPERTOSA Consigliere


3. ROSA LUISA POLIZZI "


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


nella causa del Pubblico Ministero


contro


CE. MA. VI. nato a x (CR) il 25-03-1921 - APPELLANTE – LIBERO residente a MILANO- x


Imputato di: 57 C.P. IN REL. 595 C.P. E 13 L. 47/48 commesso in x in data 07-03-2000


Difeso da: Avv. x Foro di MILANO


MA. MA. nato a x (BS) il 07-11-1947 - APPELLANTE – LIBERO residente a ROMA- x


Imputato di: ARTT. 595 C.P. E 13 L. 47/48 commesso in x in data 07-03-2000


Difeso da: Avv. x Foro di MILANO


PARTE CIVILE:


CA. GI. CA. NON APPELLANTE Difensore Avv. x Foro di MILANO


APPELLANTE


avverso la sentenza del Tribunale Monocratico di MONZA-DESIO N. Reg.Gen. 1306/2003 del 14-


06-2004


con la quale veniva condannata alla pena di:


MA.: EURO 600 DI MULTA


CE.: EURO 400 DI MULTA


CONDANNA, IN SOLIDO, AL PAGAMENTO DELLA SOMMA DI EURO 3.000 A TITOLO


DI RIPARAZIONE PECUNIARIA A FAVORE DELLA P.C.


CONDANNA, IN SOLIDO, AL RISARCIMENTO DANNI, PROVVISIONALE IMMEDIATAMENTE ESECUTIVA E RIFUSIONE ALLA P.C.


PUBBLICAZIONE DELLA PRESENTE SENTENZA, UNA SOLA VOLTA E PER ESTRATTO,


SUL QUOTIDIANO x.


MA. PER IL REATO DI DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA AGGR.


CE. PER IL REATO DI OMESSO CONTROLLO SUL CONTENUTO DELL'ARTICOLO


AGGR.


per i reati:


CE. MA. VI. ARTT. 57 C.P. IN REL. 595 C.P. E 13 L. 47/48 commesso in x in data 07-03-2000


MA. MA. ARTT. 595 CR E 13 L. 47/48 commesso in x in data 07-03-2000.


Svolgimento del processo


Con sentenza in data 14.6.2004 il Tribunale di Monza, Sezione distaccata di Desio, condannava


Ma. Ma. e Ce. Ma. Vi., concesse a entrambi le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante


contestata, alla pena, rispettivamente, di euro 600 e 400 di multa ritenendoli responsabili del reato


di diffamazione a mezzo stampa in danno del dott. Gi. Ca., costituitosi parte civile, a favore del


quale veniva disposto il risarcimento del danno da liquidare in separata sede con assegnazione di


una provvisionale di euro 10.000,00.


Il Ma., quale autore dell'articolo di stampa intitolato "E Ca. recluta candidati" riportato sul


quotidiano "x" del 7.3.2000 era stato infatti imputato del reato di cui agli artt. 595 c.p. e 13 legge


47/78 per avere offeso la reputazione del magistrato Gi. Ca. Ca., affermando in particolare che


costui "coltivava da sempre una passione per esternazioni (retribuite?) sui media" e che lo stesso si


era dedicato all'arruolamento di candidati per una fazione politica, attivandosi per far cadere la


regola della imparzialità della Magistratura "anche per le altre amministrazioni dello Stato",


essendo Ca. all'epoca Direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria. Il Ce. veniva


incolpato a sua volta del reato di cui all'art. 57 c.p. perché, nella qualità di direttore responsabile del


quotidiano "x", aveva omesso di esercitare il necessario controllo sul contenuto offensivo


dell'articolo.


In particolare, nell'ambito del detto articolo il Ma. riferiva come notizia quasi certa che il calciatore


del Torino Cl. Sa. si sarebbe dedicato alla politica sostenendo la candidatura a Presidente della


Regione Piemonte dell'onorevole Li. Tu., e affermava che "sembra meno normale invece che a


sponsorizzare l'operazione sia stato, insieme con Di. No., come ha rivelato l'edizione torinese della


x, Gi. Ca.". L'articolista aveva aggiunto: "Passi (ma fino a un certo punto) che l'altissimo


funzionario dello Stato coltivi da sempre una passione per esternazioni (retribuite?) sui media, ma


dovrebbe sembrare eccessivo anche a quanti hanno avuto nei suoi confronti un atteggiamento laico


e comprensivo che Ca. si dedichi persino all'arruolamento di candidati per le liste di una fazione 2


politica. Dopo la caduta della regola che impone alla magistratura di essere e di sembrare al di


sopra delle parti forse Ca. intende farla cadere anche per le altre amministrazioni dello Stato".


Secondo il Tribunale, che aveva sentito la parte lesa come teste, tali espressioni erano


obiettivamente diffamatorie e non scriminate dal diritto di critica, neppure in via putativa, giacché


integravano un attacco personale espresso con toni sarcastici e insinuanti e fondato soprattutto su


una notizia non vera; né poteva costituire fonte legittima di informazione un precedente articolo


apparso sulla "Stampa", dato che l'articolo, in cui si parlava pure di un supposto sostegno di Ca.


alla candidata di Cl. Sa., risaliva a soli tre giorni prima e quindi sarebbe stato agevole per Ma.


verificare la fondatezza della notizia contattando direttamente gli interessati, mentre nessun rilievo


avrebbe potuto attribuirsi alla mancata smentita di Ca., non essendo previsto il silenzio assenso


dell'interessato sulla verità della notizia che- lo riguardava.


Proposta impugnazione da parte degli imputati, la Corte di Appello di Milano, con sentenza in data


4.7.06, confermava la decisione di primo grado ritenendo certa la falsità della notizia, che invero


Ma. aveva recepito da altro servizio pubblicato sulla "x", ove però essa era stata riportata in forma


dubitativa.


Ma. e Ce. proponevano ricorso per Cassazione per vizio di motivazione in ordine alla valenza


diffamatoria delle espressioni contestate, contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta


insussistenza della scriminante del diritto di cronaca e di critica, ancorché putativa, difetto di


motivazione in ordine all'omesso controllo da parte del direttore del giornale, erronea applicazione


della legge penale quanto al giudizio di comparazione delle circostanze e mancanza di Motivazione


in ordine ai motivi di appello concernenti le statuizioni civilistiche.


Con sentenza in data 20.6.07 la Cassazione, premesso che andavano condivise le valutazioni della


Corte territoriale in ordine alla valenza offensiva dell'articolo, osservava che in relazione


all'invocata scriminante del diritto di cronaca e di critica appariva necessario e determinante


l'accertamento del presupposto fondamentale della verità del fatto riferito, laddove invece il giudice


di secondo grado, con un percorso motivazionale contraddittorio, aveva tratto certezza della notizia


della falsità della notizia dalle parole del querelante e dalla circostanza che il giornalista Tr. della x,


che aveva riportato la notizia in forma dubitativa, non era stato interpellato dal Ma., senza


considerare tuttavia che gli imputati avevano chiesto di provare, attraverso l'esame di testimoni, la


veridicità del fatto, il che costituiva passaggio propedeutico per la successiva verifica della


legittimità del diritto di cronaca e di critica. Rimetteva quindi il processo ad altra Sezione della


Corte di Appello di Milano per nuovo esame onde accertare la veridicità della notizia pubblicata


dal Ma. e, ove questa fosse risultata provata, per l'esame degli altri profili (interesse sociale alla


informazione e continenza espressiva) costituenti presupposto di legittimo esercizio del diritto di


cronaca e di critica.


Rimesso il processo a questa Seconda Sezione Penale della Corte di Appello di Milano, all'udienza


del 28.2.2008, all'esito della discussione, il P.G., la parte civile e il difensore rassegnavano le


conclusioni di cui al verbale in atti.


La Corte con ordinanza in data 28.2.2008 disponeva la innovazione della istruttoria dibattimentale


fissando l'udienza del 12.6.08 per l'audizione del teste Tr.


I Sentito il testimone le parti rassegnavano nuovamente le conclusioni, come riportate in atti.


Motivi della decisione


I reati ascritti agli appellanti, commessi il 7 marzo 2000, devono considerarsi estinti ex artt. 157 n.


4 e 160 ult. co. c.p. per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia della Cassazione in data


20.6.2007.


Ciò comporta il proscioglimento degli imputati poiché dagli atti di causa non emerge con evidenza


la prova della loro innocenza ed anzi risulta conclamata la loro responsabilità per i fatti ad essi


rispettivamente ascritti, con conseguente applicabilità del disposto dell'art. 578 c.p.c. in ordine alle


statuizioni civili.


Per giustificare tale esito è opportuno rammentare brevemente quale sia l'oggetto del presente


giudizio di rinvio.


La Corte di Cassazione, annullando la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano in data


4.7.2006, ha riconosciuto che le considerazioni esposte nell'articolo giornalistico sullo scadimento


dell'imparzialità della Magistratura, e segnatamente l'attribuzione sarcastica - espressa con artificio


retorico in forma dubitativa - al dott. Ca. del proposito di determinarne la caduta "anche per altre


amministrazioni", hanno contenuto sicuramente diffamatorio anche perché tali da ingenerare nel


lettore, al di là del tenore letterale delle espressioni, sospetti sul pregresso esercizio della


giurisdizione da parte del predetto". Proprio sul presupposto del carattere diffamatorio di quelle


espressioni, sul quale questa Corte non ha motivo di ritornare sovrapponendo inutilmente la propria


convinzione adesiva, la Suprema Corte ha demandato a questo giudice di rinvio il compito di


accertare se la lesione della reputazione del dott. Ca., così consumata, si debba ritenere o meno


scriminata dall'esercizio legittimo del diritto di cronaca e di critica (art.51 c.p.); in particolare ha


rimesso a questa Corte territoriale di accertare se la notizia pubblicata sia vera giacché "ove detta


veridicità risultasse accertata, ciò stesso, in presenza delle altre due condizioni di cui si è detto"


(vale a dire la sussistenza di un interesse pubblico alla informazione e il rispetto del principio della


continenza) legittimerebbe tanto la diffusione della notizia in sé che le considerazioni che la


accompagnavano". Con la precisazione, ovvia, che "nella sola ipotesi in cui tale veridicità


risultasse provata, la Corte di rinvio avrebbe potuto esaminare gli "altri profili costituenti


presupposto del legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica", essendo la eventuale falsità


della notizia sufficiente a escludere la liceità della condotta.


Poiché la Corte di legittimità aveva considerato fondata la doglianza dei ricorrenti, nella parte in


cui avevano lamentato che i giudici del merito avessero tratto certezza della falsità della notizia


dalle sole parole del querelante e da altri elementi indiziali, senza tenere conto del fatto che essi


avevano chiesto di provare attraverso l'esame di testi (innanzitutto del Tr.) la veridicità del fatto,


questa Corte ha accolto le richieste della Difesa, ammettendo ex art. 603 c.p.p. la testimonianza del


Tr., trattandosi dell'unica persona, tra quelle indicate nella lista testi, che poteva avere una


cognizione diretta del fatto, tant'è che il Tr. lo aveva pubblicato, sia pure in forma dubitativa, in un


articolo che, apparso sulla "x" il 4.3.2000, era stato espressamente richiamato nell'articolo


pubblicato tre giorni dopo dal Ma. sul "x", ed era stato indicato da questo come fonte rivelatrice


della notizia ("sembra meno normale invece che a sponsorizzare l'operazione sia stato, insieme con


Di. No., come ha rivelato l'edizione torinese della x, Gi. Ca.").


Orbene il teste Tr. (a sua volta querelato da Ca. per il reato di diffamazione, poi estinto per


intervenuta remissione della querela, con conseguente decreto di archiviazione emesso dal GIP del


Tribunale di Torino in data 9.1.2001, come risulta dalla documentazione prodotta dalla Difesa della


parte civile alla udienza odierna), ha dichiarato che della asserita sponsorizzazione da parte di Gi.


Ca. dell'ex calciatore Cl. Sa., come soggetto di riferimento di un gruppo destinato a sostenere la


candidatura dell'oli. Li. Tu. a Presidente della Regione, aveva avuto notizia da una fonte


confidenziale nota e ritenuta attendibile (perché positivamente utilizzata più volte nel passato). Il


teste ha però precisato che, nel caso specifico, quella notizia si era rivelata poi non veritiera, sicché


egli, nell'ambito di una intesa transattiva che aveva avuto ad oggetto, da parte della "x", il


pagamento di una somma (L. 5.000.00) a titolo di risarcimento, devoluta da Ca. a favore


dell'Associazione "Gr. Ab.", aveva in data 21.12.2000 pubblicato una dichiarazione di scuse e


smentite (intitolata "Ca. non suggerì la candidatura di Sa.), precisando che "il dr. Gi. Ca. non ha in


alcun modo sollecitato né tantomeno suggerito la candidatura di Cl. Sa. nelle elezioni regionali a


fianco di Li. Tu."... e che la notizia fornita da fonte"... ritenuta "certa"... "solo in seguito si è


rivelata inesatta": v. il documento allegato alla odierna udienza dal Difensore della parte civile).


Non vi è dunque alcun dubbio che nel caso di specie non ricorra il profilo della veridicità


sostanziale del fatto oggetto dell'articolo pubblicato dal Ma. sul x, il che è sufficiente, per quanto


sopra osservato, ad escludere la presenza del legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica


giornalistica (in quanto quest'ultima si è sviluppata attraverso la valutazione negativa di un fatto,


indicato come vero, ma storicamente falso).


La Difesa degli imputati, riprendendo un motivo già prospettato nelle fasi precedenti, ha invocato


la putatività dell'esercizio del diritto di cronaca (e di critica) fondandolo sull'attendibilità delle


proprie fonti giornalistiche, sul riferimento a commenti critici espressi in sede parlamentare e sul


silenzio serbato dal dott. Ca. dopo la pubblicazione della notizia sulla Stampa di Torino.


Ma al riguardo è ben noto l'insegnamento costante della giurisprudenza secondo il quale in tema di diffamazione a mezzo stampa l'agente non può invocare l'esercizio del diritto di cronaca sotto il profilo della putatività facendo affidamento, seppure in buona fede, sulla attendibilità della fonte (Cass., 22.62001 n. 31597; Cass. 11.3.2005 n. 15642), salvo che non abbia dimostrato di avere posto ogni più oculata diligenza e accortezza nella scelta delle fonti informative, nell'esplicazione del più attento vaglio circa la loro attendibilità e nel più penetrante controllo sulla rispondenza al vero della notizia pubblicata.


Nel caso di specie risulta che il Ma., lungi dal compulsare la fonte originaria, basò indirettamente il


proprio articolo giornalistico sulla ed. "rivelazione" di un fatto appreso dalla cronaca locale della


"Stampa" (che però l'aveva tuzioristicamente esposto in forma condizionale giacché il dott. Tr., non


avendo annesso una valenza negativa alla vicenda segnalatagli da una fonte confidenziale, vi aveva


dedicato un breve e asettico cenno, e aveva ritenuto perciò possibile, sia pure con il beneficio del


dubbio, di divulgarla senza verificare la verità storica). Non risulta invece che il Ma., nel riportare


maliziosamente quella notizia come un fatto certo, avesse svolto il pur minimo controllo di


veridicità, cosa che sarebbe stata per lui assai agevole effettuare intervistando, se non direttamente


il dott. Ca., almeno il collega Tr..


Né le voci polemiche di alcuni parlamentari sulla vicenda o il silenzio serbato dal dott. Ca. dopo la


pubblicazione della x (si badi bene, intervenuta solo tre giorni prima dell'articolo pubblicato dal x)


avrebbero potuto indurre nel Ma. la ragionevole convinzione che il fatto fosse vero: non l'opinione


dei parlamentari giacché nessuno di costoro aveva commentato la notizia sulla base di una


conoscenza personale o diretta della vicenda; non il breve silenzio serbato da Ca., non avendo egli


alcun dovere di pretendere la immediata rettifica dell'articolo pubblicato dalla x (a meno che non si


voglia scambiare il diritto di rettifica della persona diffamata nella categoria opposta del dovere).


E" dunque evidente che mancano i presupposti essenziali per la configurazione di un diritto di


cronaca putativo, di cui evidentemente non può beneficiare neppure il direttore del giornale,


responsabile del fatto ascrittogli per non avere svolto il doveroso controllo sulla condotta illecita


del giornalista e per avere determinato, consentendo la pubblicazione dell'articolo diffamatorio,


ingiustificata offesa alla reputazione del dott. Ca..


Deve di conseguenza emettersi sentenza di non doversi procedere nei confronti degli imputati per i


fatti loro ascritti per essersi i medesimi estinti per intervenuta prescrizione.


Ai sensi dell'art. 578 c.p.p. questa Corte reputa che le impugnate statuizioni civili della sentenza


emessa dal Tribunale di Monza, Sezione distaccata di Desio (e cioè la condanna generica al


risarcimento dei danni e la liquidazione di una provvisionale di euro 10.000,00), meritino piena


conferma giacché l'offesa arrecata al prestigio e alla reputazione del dott. Ca., in quanto intesa a


minare il requisito principale della "terzietà" sul quale si fonda il ruolo istituzionale e la credibilità


sociale del magistrato (quand'anche distaccato presso altre Amministrazioni proprio in ragione


della stima e della professionalità acquisite), appare oggettivamente grave. La gravita è poi


accresciuta dal rilievo che l'aggiunta di insinuazioni e dubbi sulla passione di Caselli per le


esternazioni (retribuite?) era del tutto eccentrica rispetto ai temi suscitati dalla "notizia" (falsa), e


quindi davvero gratuita. Come tale, essa travalicava anche il presupposto della "continenza" per


l'esercizio del diritto di cronaca e di critica.


E "la dice lunga" sulle più ampie finalità diffamatorie perseguite dall'articolista con il sostegno


indispensabile del direttore del giornale.


Avuto riguardo anche alla elevata notorietà e qualificazione del personaggio, il danno


presumibilmente da lui risentito deve conclusivamente stimarsi di significativa consistenza,


soprattutto dal punto di vista morale (artt. 185 c.p. e 2059 c.c.), sì da giustificare senz'altro le


misure riparatorie adottate dal Giudice di primo grado.


La soccombenza degli appellanti nei confronti della parte civile comporta la loro condanna alla


refusione delle spese processuali da questa sostenute nella fase della cassazione e nel presente


grado, così come liquidate in dispositivo.


PQM


Visti gli artt. 627, 605 e 578 c.p.p. e 157 c.p.;


I decidendo in sede di rinvio sull'appello proposto dagli imputati Ma. Ma. e Ce. Ma. Vi. avverso la


sentenza emessa dal Tribunale di Monza, Sezione distaccata di Desio, in data 14.6.04


dichiara non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine ai reati loro ascritti per essersi gli stessi estinti per intervenuta prescrizione;


conferma


le statuizioni civili della impugnata sentenza;


condanna in solido gli imputati a rifondere le spese sostenute dalla costituita parte civile, che liquida in euro 4.000, oltre spese forfetarie al 12,50%, IVA e CPA per la fase della Cassazione e in euro 3.000,00, oltre spese forfettarie al 12,50%, IVA e CPA per questo grado di giudizio.


Milano, 12.6.08





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