1. Premessa. Il giuramento dell’8 maggio 2008 al Quirinale dei ministri del Governo Berlusconi. Bossi a Napolitano: “Grazie presidente”.
Nel sito del governo si legge: “Come previsto dall'art. 93 della nostra Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica. Questa la formula del giuramento: ''Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione''. Il giuramento costituisce l’atto sostanziale attraverso il quale il Presidente del Consiglio ed i Ministri, che svolgono funzioni pubbliche fondamentali, esprimono fedeltà alla Repubblica, e giurano di osservare lealmente la Costituzione e le leggi fondamentali dello Stato e di esercitare le proprie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione. La cerimonia solenne si è svolta al Quirinale alle ore 17.00 di oggi, 8 maggio 2008. Dopo il giuramento nelle mani del presidente Napolitano, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è a Palazzo Chigi per la cerimonia d'insediamento del nuovo Esecutivo” (in: http://www.governo.it/Notizie/Palazzo%20Chigi/dettaglio.asp?d=38992). Dall’Ansa risulta che Umberto Bossi abbia prestato giuramento alle ore 17.15 dell’8 maggio: “17:15 Bossi a Napolitano: "Grazie presidente". "Grazie Presidente'': così il ministro per le Riforme, Umberto Bossi, ha chiuso la lettura della formula di rito di giuramento nelle mani del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano”. (in: http://www.repubblica.it/2008/05/dirette/sezioni/politica/dopoelezioni/otto-maggio/index.html).
2. Otto articoli fondamentali della Costituzione italiana soprattutto per chi svolge altissime funzioni pubbliche.
Bossi e alcuni ministri padani (tranne il cauto e bravissimo Maroni) straparlano, sotto il sole di agosto, di bandiere regionali da affiancare a quella nazionale (con il fine di declassare la bandiera della Repubblica “una e indivisibile”), di gabbie salariali (per dividere e contrapporre i lavoratori del Nord e del Sud, negando l’uguaglianza giuridica tra i cittadini), di obbligo dei dialetti nelle nostre istituzioni scolastiche e universitarie (per declassare l’italiano come lingua simbolo della Nazione), di Parlamento padano (alternativo a quello nazionale), di.esame "in dialetto" per gli insegnanti meridionali trasferiti al Nord (in violazione del principio di uguaglianza e del solo italiano come lingua nazionale). Non si rendono conto di porsi in rotta di collisione drammatica con almeno 8 articoli della Costituzione. Ignorano che Pontida e Legnano erano bandiere del Concialiatore, il foglio azzurro che nel 1818/1819 da Milano parlava a tutti gli italiani di libertà e di Patria; e che Verdi durante il Risorgimento significava “Vittorio Emauele re d’Italia” (con Roma capitale). Il “Và pensiero” di Verdi è un inno risorgimentale. Con gli scippi no si va da nessuna parte. Ecco gli 8 articoli della Costituzione sui quali Bossi & C. dovrebbero meditare:
2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
5. La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che
dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.
6. La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche (1).
(1) In attuazione di quanto disposto dal presente articolo vedi la L. 15 dicembre 1999, n. 482.
12. La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano; verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.
54. Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
67. Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
93. Il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica. (2)
(2) Il terzo comma dell’articolo 1 della legge 23 agosto 1988 n.400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) dice: “Il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica con la seguente formula: "Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione".
3. Un articolo fondamentale della Costituzione, il 6, impegna solennemente “la Repubblica a tutelare con apposite norme le minoranze linguistiche”. La norme specifiche sono contenute nella legge quadro 15 dicembre 1999 n. 482 emanata “in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”. Le Regioni hanno adottato leggi nella stessa materia, realizzando una tutela ampia e articolata.
Un articolo fondamentale della Costituzione, il 6, impegna solennemente “la Repubblica a tutelare con apposite norme le minoranze linguistiche”. La norme specifiche sono contenute nella legge quadro 15 dicembre 1999 n. 482 emanata “in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”. Questa legge afferma tre principi: A) La lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano (vedi sul punto Corte costituzionale, sentenza 28/1982); B) La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, promuove altresì la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge; C) In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo”. L’elenco delle popolazioni tutelate sul piano linguistico mira ad escludere sia i nomadi sia gli immigrati sia coloro che parlano meri “dialetti” (Pizzorusso, La Politica linguistica in Italia) e più in generale le “nuove minoranze”. Il riconoscimento di gruppo non può avvenire per via giurisprudenziale essendo sempre necessaria una base normativa da cui emerga il riconoscimento politico della minoranza (Corte costituzionale, sentenza 28/1982).
Le Regioni (in testa Friuli-V.G., Trentino-A.A., Valle d’Aosta; e poi Veneto, Sardegna, Sicilia, Molise, Calabria e Basilicata) conseguentemente hanno proceduto all’approvazione di singole leggi in difesa delle minoranze linguistiche storiche, realizzando una tutela ampia e articolata.
L’articolo 4 della legge 482/99 prevede già che “Nelle scuole materne dei comuni, l'educazione linguistica prevede, accanto all'uso della lingua italiana, anche l'uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado è previsto l'uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento. Le istituzioni scolastiche elementari e secondarie di primo grado, nell'esercizio dell'autonomia organizzativa e didattica, nei limiti dell'orario curriculare complessivo definito a livello nazionale e nel rispetto dei complessivi obblighi di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi, al fine di assicurare l'apprendimento della lingua della minoranza, deliberano, anche sulla base delle richieste dei genitori degli alunni, le modalità di svolgimento delle attività di insegnamento della lingua e delle tradizioni culturali delle comunità locali, stabilendone i tempi e le metodologie, nonché stabilendo i criteri di valutazione degli alunni e le modalità di impiego di docenti qualificati”.
Nei consigli comunali, nelle pubbliche amministrazioni, davanti al giudice di pace, nei tribunali e nelle Corti d’appello, il cittadino italiano che appartiene a una minoranza linguistica riconosciuta, è interrogato nella madrelingua e anche i verbali sono redatti in tale lingua (al pari di tutti gli atti del procedimento). La legge 482/99 e l’articolo 109 Cpp garantiscono i diritti delle minoranze linguistiche. Anche la Rai è tenuta a fare programmi informativi nelle lingue tutelate. I cittadini possono anche recuperare i cognomi o i nomi originari. In aggiunta ai toponimi ufficiali, i consigli comunali possono deliberare l'adozione di toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali.
Discipline di stampo generale sono le leggi di esecuzione degli strumenti internazionali in materia di minoranze (legge 881/1977 di ratifica del Patto per i diritti civili e politici dell’Onu; legge 302/1997 di ratifica della Convenzione quadro sulle minoranze nazionali del Consiglio d’Europa del 1995; degna di nota è la legge 848/1955, di ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che prevede il divieto di discriminazione per motivi di “appartenenza a una minoranza nazionale”. Esistono infine strumenti internazionali a favore delle minoranze, in particolare il documento di Copenaghen del 1990 e quello di Helsinki del 1992 che istituiscono l’Alto Commissario per le minoranze nazionali). L’Italia non ha mai ratificato la “Carta europea delle lingue regionali o minoritarie” adottata nel 1992 dal Consiglio d’Europa.
4. La Repubblica tutela anche due lingue, il friulano e il sardo, che non sono dialetti, ma lingue “tagliate”. La Costituzione e la legge 482/99 non danno alcuna tutela giuridica ai dialetti. Non esiste una lingua padana, ma tanti dialetti nelle varie province. Le rivendicazioni antistoriche e propagandistiche dei leghisti. Il giuramento tradito da Bossi.
La Repubblica tutela due lingue, il friulano e il sardo, che non sono dialetti, ma lingue “tagliate”. Il Friuli e la Sardegna sono due isole linguistiche ben strutturate e sono anche due “nazioni”, che nel corso dei secoli non sono riuscite ad organizzarsi come Stati indipendenti internazionalmente riconosciuti. Già vicereame di Spagna ceduto agli Asburgo con la pace di Utrecht (1713), la Sardegna fu trasformata in Regno nel 1720, dopo che in base al trattato di Londra del 1718 fu assegnata dall’imperatore Carlo VI a Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, in cambio della Sicilia. Il Regno, che comprendeva gli altri domini sabaudi (Savoia, Nizza e parte del Piemonte), in seguito alla sua partecipazione alle guerre di successione polacca (ottenendo con il trattato di Vienna del 1738 Novara e Tortona) e austriaca (dopo la quale in base alla pace di Aquisgrana del 1748 acquisì i territori del Vigevanese, dell’Alto Novarese e del Pavese) estese i propri confini fino al Ticino. Nel Ducato di Savoia prima e nel Regno di Sardegna, poi, la lingua ufficiale era l’italiano. Il Regno di Sardegna è confluito il 17 marzo 1861 nel Regno d’Italia diventato, dopo il Referendum del 2 giugno 1946, Repubblica Italiana.
Il Friuli, prima Ducato e poi Marca, il 3 aprile del 1077 divenne contea con prerogative ducali. E’ uno Stato, la Patrie dal Friûl, che oltre a tale regione incluse in periodi storici diversi anche Trieste, l'Istria, la Carinzia, la Stiria, il Cadore. Lo Stato patriarcale del Friuli “si impose ben presto come una delle più ampie e potenti formazioni politiche dell'Italia del tempo, dotandosi, fin dal XII secolo, anche di un Parlamento, espressione massima della civiltà friulana sotto il profilo istituzionale”. L'esperienza del Patriarcato, si concluse nel 1420, quando il Friuli fu annesso alla Repubblica di Venezia. Nel 1815, il Congresso di Vienna sancì la definitiva unione di Veneto e Friuli con la Lombardia austriaca, venendosi in tal modo a costituire il Regno Lombardo-Veneto. Il Friuli centrale (attuale provincia di Udine) e il Friuli occidentale (attuale provincia di Pordenone) furono annessi all'Italia nel 1866 assieme al Veneto subito dopo la Terza guerra di indipendenza, mentre il Friuli orientale (la cosiddetta Contea di Gorizia e Gradisca) rimase soggetto all'Austria fino al termine della Prima guerra mondiale. Oggi il Friuli e la Venezia Giulia costituiscono una Regione a Statuto speciale.
La Costituzione e la legge 482/99 non danno alcuna tutela giuridica ai dialetti. Non esiste una lingua padana, ma tanti dialetti nelle varie province, come ne esistono tanti nel Mezzogiorno e nell’Italia centrale. Le rivendicazioni dei leghisti sono pertanto antistoriche e propagandistiche, perché le minoranze linguistiche storiche hanno già un’ampia tutela. Il buon senso dice che va potenziato lo studio dell’italiano per dare maggiore identità al popolo italiano e nello stesso tempo vanno studiate le lingue più diffuse del mondo globalizzato (inglese, spagnolo, francese, arabo, cinese, russo, tedesco). Non si torna indietro, all’Italia del 1200. Ci sono voluti 7 secoli perché la lingua italiana letteraria diventasse lingua popolare e nazionale grazie al sistema scolastico del Regno d’Italia e della Repubblica, al Regio Esercito e all’Esercito repubblicano, e soprattutto, negli ultimi 80 anni, alla radio e alla televisione. Bossi non è stupido, conosce leggi e storia, ma la propaganda per strappare un pugno di voti in più è per lui una tentazione forte.
Bossi, come deputato e ministro, ha un problema grandissimo da risolvere: la sua lealtà verso la Repubblica fissata in due principi costituzionali: a) “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”; b) “Il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica”. Bossi, tradendo il suo ruolo istituzionale, ha insultato più volte e in maniera volgare la Bandiera nazionale e l’Inno nazionale, mentre lavora concretamente, - con le gabbie salariali, con l’obbligo dei dialetti e con le bandiere o gonfaloni regionali parificati alla Bandiera nazionale, con il Parlamento padano – a disgregare versi valori fondamentali della Repubblica democratica. Siamo di fronte a un piano preciso: Bossi non parla più di secessione, ma persegue, con tenacia, tale obiettivo nei fatti. Per quanto tempo ancora gli Italiani dovranno sopportare questo stillicidio di provocazioni? Gli americani sono soliti ripetere che anche la calunnia rientra nella libera manifestazione del pensiero, salvo poi risponderne in sede giudiziaria. C’è un limite a tutto anche per Bossi. Qualche Procura dovrebbe analizzare le “campagne” coordinate dei leghisti. La libertà di pensiero non abbraccia la violazione sistematica dei principi costituzionali e delle leggi repubblicane verso le quali Bossi ha prestato l’8 maggio 2008 un solenne giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica (”Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione”).
Concludendo, possiamo affermare che l’articolo 6 della Costituzione con la legge attuativa 482/1999 costituisce una barriera. Non si va al di là senza rischiare una pronuncia di incostituzionalità di una legge, di cui ha parlato oggi Bosi a Ponte di Legno, che preveda l’insegnamento obbligatorio dei dialetti volgari nelle scuole della Repubblica. La soluzione è rappresentata sia dalla “Famiglia Meneghina”, benemerita istituzione, che dal 1924 mantiene vive le tradizioni culturali, linguistiche/dialettali e storiche della città, sia dal “Circolo filologicoo milanese”, che, dal 1872, organizza corsi di dialetto milanese oggigiorno tenuti da Cesare Comoletti.
5. La lingua Latina ha lasciato in eredità al mondo moderno tutta una serie di parole, frasi celebri, sentenze e modi di dire che spesso capita di sentire anche nel parlato comune, o più frequentemente nello scritto.
Citiamo l'attualissima arringa di Cicerone che in Senato il 7 novembre del 63 a.C. si scaglia contro Lucio Sergio Catilina: “Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? Nihilne te nocturnum praesidium Palati, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis, constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides? Quid proxima, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum ignorare arbitraris?”.
(Fino a che punto, Catilina, approfitterai della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora la tua pazzia si farà beffe di noi? A che limiti si spingerà una temerarietà che ha rotto i freni? Non ti hanno turbato il presidio notturno sul Palatino, le ronde che vigilano in città, la paura della gente, l'accorrere di tutti gli onesti, il riunirsi del Senato in questo luogo sorvegliatissimo, l'espressione, il volto dei presenti? Non ti accorgi che il tuo piano è stato scoperto? Non vedi che tutti sono a conoscenza della tua congiura, che la tengono sotto controllo? O ti illudi che qualcuno di noi ignori cos'hai fatto ieri notte e la notte ancora precedente, dove sei stato, chi hai convocato, che decisioni hai preso?).
Milano, 16 agosto 2009
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Testo in: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=4205
Anche www.affaritaliani.it
del 14/8/2009 ridicolizza Bossi
che vuole il “dialetto obbligatorio”.
Facciamo sesso in dialetto...
Ormai tutto fa spettacolo!!!
Si moltiplicano le proposte
per l'utilizzo del dialetto:
Sanremo, fiction, giornali,
radio e tv...E' un delirio d'agosto!
In coda una nota ironica
e amara di GINO BEGOTTI
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Testo in: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=4178
Quei primi 12 articoli “fondamentali”
della Costituzione: se se ne cambia
uno, si cambia il volto democratico
della Repubblica. Fra i primi
12 articoli c’è la Bandiera
italiana, simbolo della
Patria e dell’Unità nazionale
nonché dei sacrifici del Popolo
Italiano per riconquistare
libertà, dignità e indipendenza.
Un articolo elegante ed ironico
di Claudio Magris ridicolizza la pretesa
leghista di riportare l’Italia al 1815.
...............
Lettera aperta di Claudio
Magris alla Gelmini:
Dante e Verga? Non li voglio.
Mi son de Trieste. Ministro,
cambiamo i programmi:
«El moroso della Nona» al
posto della Divina Commedia
Signor ministro, mi permetto di scriverLe per suggerirLe l'opportunità di ispirare pure la politica del Ministero da Lei diretto, ovvero l'Istruzione — a ogni livello, dalla scuola elementare all'università — e la cultura del nostro Paese, ai criteri che ispirano la proposta della Lega di rivedere l'art. 12 della Costituzione, ridimensionando il Tricolore quale simbolo dell'unità del Paese, affiancandogli bandiere e inni regionali. Programma peraltro moderato, visto che già l'unità regionale assomiglia troppo a quella dell'Italia che si vuole disgregare.
Ci sono le province, i comuni, le città, con i loro gonfaloni e le loro incontaminate identità; ci sono anche i rioni, con le loro osterie e le loro canzonacce, scurrili ma espressione di un’identità ancor più compatta e pura. Penso ad esempio che a Trieste l'Inno di Mameli dovrebbe venir sostituito, anche e soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente del Consiglio o del ministro per la Semplificazione) dall’Inno «No go le ciave del portòn», triestino doc.
Ma bandiere e inni sono soltanto simboli, sia pur importanti, validi solo se esprimono un'autentica realtà culturale del Paese. È dunque opportuno che il Ministero da Lei diretto si adoperi per promuovere un'istruzione e una cultura capaci di creare una vera, compatta, pura, identità locale.
La letteratura dovrebbe ad esempio essere insegnata soltanto su base regionale: nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga devono essere assolutamente sostituiti dalla conoscenza approfondita del Moroso de la nona di Giacinto Gallina e questo vale per ogni regione, provincia, comune, frazione e rione. Anche la scienza deve essere insegnata secondo questo criterio; l'opera di Galileo, doverosamente obbligatoria nei programmi in vigore in Toscana, deve essere esclusa da quelli vigenti in Lombardia e in Sicilia. Tutt'al più la sua fisica potrebbe costituire materia di studio anche in altre regioni, ma debitamente tradotta; ad esempio, a Udine, nel friulano dei miei avi. Le ronde, costituite notoriamente da profondi studiosi di storia locale, potrebbero essere adibite al controllo e alla requisizione dei libri indebitamente presenti in una provincia, ad esempio eventuali esemplari del Cantico delle creature di San Francesco illecitamente infiltrati in una biblioteca scolastica di Alessandria o di Caserta.
Per quel che riguarda la Storia dell’Arte, che Michelangelo e Leonardo se lo tengano i maledetti toscani, noi di Trieste cosa c’entriamo con il Giudizio Universale? E per la musica, massimo rispetto per Verdi, Mozart o Wagner, che come gli immigrati vanno bene a casa loro, ma noi ci riconosciamo di più nella Mula de Parenzo, che «ga messo su botega / de tuto la vendeva / fora che bacalà».
Come ho già detto, non solo l’Italia, ma già la regione, la provincia e il comune rappresentano una unità coatta e prevaricatrice, un brutto retaggio dei giacobini e di quei mazziniani, garibaldini e liberali che hanno fatto l'Italia. Bisogna rivalutare il rione, cellula dell'identità. Io, per esempio, sono cresciuto nel rione triestino di Via del Ronco e nel quartiere che lo comprende; perché dovrei leggere Saba, che andava invece sempre in Viale XX Settembre o in Via San Nicolò e oltretutto scriveva in italiano? Neanche Giotti e Marin vanno bene, perché è vero che scrivono in dialetto, ma pretendono di parlare a tutti; cantano l’amore, la fraternità, la luce della sera, l’ombra della morte e non «quel buso in mia contrada»; si rivolgono a tutti — non solo agli italiani, che sarebbe già troppo, ma a tutti. Insomma, sono rinnegati.
Ma non occorre che indichi a Lei, Signor Ministro, esempi concreti di come meglio distruggere quello che resta dell’unità d’Italia. Finora abbiamo creduto che il senso profondo di quell’unità non fosse in alcuna contraddizione con l'amore altrettanto profondo che ognuno di noi porta alla propria città, al proprio dialetto, parlato ogni giorno ma spontaneamente e senza alcuna posa ideologica che lo falsifica. Proprio chi è profondamente legato alla propria terra natale, alla propria casa, a quel paesaggio in cui da bambino ha scoperto il mondo, si sente profondamente offeso da queste falsificazioni ideologiche che mutilano non solo e non tanto l’Italia, quanto soprattutto i suoi innumerevoli, diversi e incantevoli volti che concorrono a formare la sua realtà. Ci riconoscevamo in quella frase di Dante in cui egli dice che, a furia di bere l'acqua dell’Arno, aveva imparato ad amare fortemente Firenze, aggiungendo però che la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare. Sbagliava? Oggi certo sembrano più attuali altri suoi versi: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!».
Con osservanza
Claudio Magris
Fonte: Corriere della Sera di venerdì 7 agosto 2009
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www.repubblicasalentina.it
La Lega arriva in ritardo.
Dialetto e bandiere locali?
…ne sappiamo qualcosa
C'è un sud, molto a sud, in cui si valorizzano da anni i grandi simboli di territorialità, solo che lo si fa con intelligente sensibilità, totale apertura e ...un pizzico di ironia. Nella canzone per l'Abruzzo "Domani", l'unico testo in dialetto è ...salentino.
Da un estremo d'Italia nelle ultime settimane non fanno che giungere iniziative e proposte che fanno ridere. Da un altro estremo negli ultimi quindici anni non fanno che giungere iniziative e azioni che fanno sorridere. Al nord un grande gruppo di adulti impegnati non fa che sparare idiozie da bambini. Al sud un piccolo gruppo di ragazzi disimpegnati non fa che agire per far riflettere gli adulti. Dal nord giungono messaggi di chiusura totale verso le contaminazioni, ed il resto del mondo si scandalizza. Dal sud giunge il messaggio che la contaminazione è la vera chiave di crescita, ed il resto del mondo impara.
Ora, bando agli slogan facili, consideriamo alcuni fatti. Nel Salento (parliamo di questa area perchè è quella che conosciamo meglio, ma siamo sicuri che il concetto può essere esteso a tutto il meridione) parliamo fluentemente tutti due lingue, il dialetto e l'italiano. E' sufficiente intrufolarsi in una qualsiasi aula scolastica durante la ricreazione (per parlare dei giovani) o avvicinarsi al tavolo di un bar (per parlare dei meno giovani) per ascoltare l'idioma con cui conversano tra loro le persone e comprendere il grado di conoscenza e la diffusione del dialetto.
Saranno poi oltre un milione le t-shirt vendute in questi anni, soprattutto ai turisti (di cui moltissimi padani, veneti e lombardi), con stampate sul petto le caratteristiche frasi e modi di dire locali.
In campo musicale, probabilmente il dialetto salentino è l'unico che è totalmente rivalutato e riesce a prendere i giovani. Basti pensare a tutti i brani ed i gruppi di reggae locale che hanno fatto meritare al territorio il titolo di "Jamaica d'Europa", o ai coinvolgenti brani di pizzica che hanno contaminato i festival in tutto il mondo, o ancora all'unico tratto di testo dialettale inserito nella canzone "Domani 21/04/09" degli artisti uniti per l'Abruzzo che recita "comu le scole, le case e specialmente lu core e puru nu postu cu facimu l’amore" cantato dai Sud Sound System.
Una volta menzionati i Sud Sound System, e visto il tema che stiamo affrontando, non possiamo non ricordare il testo del loro brano "Le radici ca tieni":
Se nu te scierri mai delle radici ca tieni
rispetti puru quiddre delli paisi lontani!
Se nu te scierri mai de du ede ca ieni
dai chiu valore alla cultura ca tieni!
Traduzione:
Se non ti scordi mai delle radici da cui provieni
rispetti anche quelle dei paesi lontani!
Se non ti scordi mai da dov'è che vieni
dai più valore alla cultura che hai!
Consigliamo vivamente la lettura integrale del testo, esprime alla perfezione una parte del messaggio che stiamo qui cercando di trasmettere. Per quanto poi concerne bandiere e simboli di rappresentazione territoriale, siamo stati capaci addirittura di creare una "res publica": la Repubblica Salentina. Quest'ultima, malgrado il nome possa facilmente far pensare ad una speculare risposta alla Lega Nord, con una lettura più attenta e meno superficiale si rivela un simpaticissimo, originale, intrigante ed efficiente modo di promuovere la cultura, l'arte e le tradizioni di un territorio che ha lo scopo di aprire totalmente le sue ricchezze storiche e naturali a tutti e, al contempo, di invitare tutti a portare in terra salentina le ricchezze culturali e di costume della propria terra. Contaminazione, integrazione, rispetto e crescita reciproca, queste le chiavi di volta dei giovani del Salento.
...sempre quei salentini che hanno creato e portato avanti il movimento "GPace - Giovani per la Pace":
www.gpace.net
Grazie e buon lavoro dai ragazzi della
REPUBBLICA SALENTINA
...è uno Stato d'anima!
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“Provocazione simpatica”, ma
anche presa in giro gigantesca.
LEGA: IL BOSSI PENSIERO
TRADOTTO IN NAPOLETANO
DAL “MATTINO” DA
‘O PIAVE MURMULIAVA’
A ‘ROMA LADRONA’ CHE
DIVENTA ‘ROMA MARIOLA’.
Napoli, 18 agosto 2009. In un'estate a forte impronta bossiana, gabbie salariali, test di dialetto lumbard per i professori meridionali, inni alternativi a quello di Mameli che non conosce nessuno, il quotidiano Il Mattino ha pensato di chiarire le idee dei propri lettori traducendo, dispacci Ansa alla mano, il pensiero del Senatur in dialetto napoletano. Per questo il quotidiano partenopeo si è affidato a un esperto di dialetti, il professor Nicola De Blasi. L'articolo in prima pagina è a firma di Umberto Bossi. Ecco allora che le esternazioni sull'inno da mandare in soffitta per fare spazio al più cantato Va Pensiero, nel dialetto partenopeo diventano: «Quanno cantammo l'inno nuosto, 'O Va Penziero, tutte quante 'o cantano pecchè 'e pparole 'e ssanno tutte quante, no comme a chillo italiano ca nun 'o sape nisciuno. Si tutto nu popolo, meliune e meliune 'e perzune, sanno 'o Va penziero e 'o cantano cu piacere, vò ricere ca into core ra gente sta cagnanno tutte cose, anze tutt'è cagnato già. All'alta Italia, inte scole ra Patania, comme inno ra Nazione nun faceveno 'mparà Fratelli d'Italia, ma 'O Piave murmuliava. A me, a scola m'imparaieno 'O Piave murmuliava, no contr'a Fratelli d'Italìa, ma comm'a nu date fatte». «Pe me - scrive il Bossi tradotto in salsa partenopea - 'o dialetto int'e scole s'avess'a sturià pe forza. Me l'ha itto pure muglierema, ca fa à prufessuressa e sti ccose 'e ccapisce». L'episodio poi del professore che richiamò l'alunno Bossi a non usare forme dialettali nei suoi scritti si traduce così: «Nu prufessore chiammaie a patemo e a mammema e ce ricette ca à scola quanno screveva ie ce metteva 'e pparole ro dialetto, e isso ricette a papà e a mammà ca nun avevan'a parlà ò dialetto. Ricette 'a copp' a mana paterno ca si nun ce piaceva 'o dialetto nuosto puteva pure i a n'ata parte«. Dall'inno al dialetto nelle scuole fino alle gabbie salariali e al vecchio cavallo di battaglia di Roma ladrona che in napoletano diventa Roma mariuola, la traduzione del Bossi pensiero, tratta dal discorso tenuto a Ferragosto a Ponte di Legno, si chiude così: “Che vanno truvanno, ca ce spartimmo? Chille ra parte 'e coppa, 'e ll'alta Italia, sò vinte, trenta meliune è perzune, simmo brava gente, nun ce scassate e pp... Nun vaco a fà o penziunato e nun levo mano si nun aggio luvato 'a gente nosta 'a sott'a Roma mariola». (ANSA).
CUSENZA: “BOSSI NAPOLETANO PER CAPIRLO MEGLIO. AL CARROCCIO RISPONDIAMO CON IRONIA SENZA OFFENDERE NESSUNO”.
Roma, 18 agosto 2009. «Questo Bossi non lo capiamo, per questo abbiamo detto: traduciamolo in napoletano, può darsi che lo capiamo meglio e ci diventi anche più simpatico». Virman Cusenza, direttore de Il Mattino, spiega con ironia all'ADNKRONOS il senso della «provocazione simpatica» pubblicata in prima pagina sul quotidiano partenopeo. Il leader della Lega versione napoletana nasce, spiega, dall'osservazione «dell'escalation di iniziative del Carroccio che continua da oltre un mese», accompagnata poi da «colorite retromarce». Tricolore, dialetti e, in ultimo, l'inno nazionale, «sono legittime battaglie che però mettono in discussione i simboli dell'Italia. Il rischio è che dietro un sedicente federalismo -sottolinea il direttore de Il Mattino- ci siano inevitabili venature di razzismo. Magari involontarie, ma ci sono. E allora, rispondiamo con l'ironia che è propria dei napoletani, senza offendere nessuno». «Offriamo a Bossi -dice ancora Cusenza- uno specchio napoletano nel quale possa specchiarsi e magari usarlo per accorgersi di qualche difetto, per attenuare qualche parola... Il Bossi napoletano è una provocazione simpatica, che non offende nessuno. Per il momento resterà un esperimento isolato, ma se ci saranno occasioni per una replica, valuteremo...». (Adnkronos)
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