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Stampa

“Siamo padroni di una banca?”.
UNIPOL-BNL: PUBBLICÒ
TELEFONATA tra
FASSINO e CONSORTE,
GIORNALISTA ASSOLTO.
(Ha vinto Strasburgo? In coda
una nota di Franco Abruzzo)

Milano, 24 novembre 2009.  Pubblicò l'intercettazione telefonica nella quale Piero Fassino si congratulava (“Siamo padroni di una banca?) con Giovanni Consorte per la tentata scalata alla Bnl. Ma per quell'articolo era stato accusato di violazione del segreto istruttorio. Oggi i giudici della quarta sezione penale presieduti da Oscar Magi hanno assolto il giornalista Gianluigi Nuzzi, assistito dall'avvocato Salvatore Lo Giudice, per quell'articolo pubblicato su Il Giornale. Per Nuzzi il pm Laura Pedio aveva chiesto la condanna ad un anno di reclusione. Ma i giudici del Tribunale, a conclusione del processo, lo hanno assolto. Era il 2 gennaio del 2006 quando Gianluigi Nuzzi su “Il Giornale” (ora lavora a Libero diretto da Maurizio Belpietro, ndr) pubblicò l'intercettazione telefonica tra Fassino e Consorte che gli costò un'incriminazione e lunghe indagini nel corso delle quali è stato anche pedinato. Ma alla fine il sostituto procuratore Stefano Civardi, titolare dell'inchiesta, ritenne di dover chiedere l'archiviazione. Di diverso avviso fu, invece, il gip Micaela Serena Curami che bocciò «la richiesta di archiviazione, rimandò gli atti alla procura imponendo un'imputazione coatta, la violazione del segreto istruttorio appunto, aprendo di fatto le porte ad un processo anche se era rimasto ignoto il presunto pubblico ufficiale che a Nuzzi aveva dato quelle intercettazioni. In aula, a sostenere l'accusa, è stata il pm Laura Pedio e non Civardi, che aveva chiesto la chiusura del caso. Oggi la sentenza: assoluzione. (Adnkronos) 


Sentenza (Jérôme Dupuis et Jean-Marie Pontaut  c. Francia - 7 giugno 2007). Pubblicazione di atti processuali (intercettazioni illegali) coperti dal segreto istruttorio: preminente la libertà di stampa.


Due giornalisti erano stati condannati in Francia per la pubblicazione nel 1996 di un libro intitolato “Les Oreilles du Président”, nel quale si raccontava di un sistema illegale di intercettazione orchestrato dagli alti vertici dell’Eliseo contro numerosi personaggi della società francese tra il 1983 e il 1986. Tale caso era stato oggetto dell’attenzione dei media allorquando negli anni ’90 venne pubblicata sulla stampa una lista di 2000 persone che erano state sottoposte a illecita sorveglianza. Nel 1993 venne poi aperto nei confronti di G.M., un collaboratore del Presidente Mitterrand, un procedimento penale. Con l’uscita del suddetto libro, costui denunciò in sede penale i suoi autori, accusandoli di aver utilizzato – addirittura allegandolo in appendice - materiale sottratto illegalmente dagli atti giudiziari (dichiarazioni rese al giudice istruttore e brogliacci di intercettazioni). Il Tribunale di Parigi decretò che il materiale utilizzato era in effetti documentazione agli atti del processo penale coperto dal segreto istruttorio e condannò i due giornalisti ad una pena pecuniaria.


Investita del caso, la Corte europea ha ritenuto sproporzionata la condanna. In particolare, la Corte ha ritenuto preminente l’interesse pubblico a conosce di quello che era stato un affare di stato, acquisendo certe informazioni – anche riguardanti il processo penale - sulle illegali intercettazioni subite da noti personaggi. La Corte, pur ritenendo legittima la protezione della segretezza delle indagini, ha rilevato che al momento dell’uscita del libro, era già noto che G.M. era stato inquisito e il governo francese non aveva dimostrato come la discovery delle informazioni riservate avesse arrecato a costui una lesione al suo diritto alla presunzione di innocenza, posto che la condanna era seguita 10 anni dopo. 


SEGRETO LIMITATO: due giornalisti  francesi avevano rivelato il sistema di intercettazioni illegali  durante la presidenza di Mitterand


Articolo di Marina Castellaneta su “Il Sole 24 Ore”


Il diritto della stampa di informare su indagini in corso e quello del pubblico di ricevere notizie su inchieste scottanti prevalgono sulle esigenze di segretezza. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell'uomo che, nella sentenza del 7 giugno 2007, ha condannato la Francia per violazione della libertà di espressione (ricorso n. 1914/02). Questo perché i tribunali interni avevano condannato due giornalisti che avevano pubblicato un libro sul sistema di intercettazioni illegali attuato durante la Presidenza Mitterand.


Nell'opera, oltre che stralci di dichiarazioni al giudice istruttore e brogliacci delle intercettazioni, era contenuto l'elenco delle persone sottoposte ai controlli telefonici. Se i giudici francesi hanno fatto pendere l'ago della bilancia verso la tutela del segreto istruttorio, punendo i giornalisti, la Corte europea ha invece rafforzato il ruolo della stampa nella diffusione di fatti scottanti, soprattutto quando coinvolgono politici. In questi casi, i limiti di critica ammissibili sono più ampi, perché sono interessate persone che si espongono volontariamente a un controllo sia da parte dei giornalisti, che della collettività.


La Corte europea ha ammesso che i due autori avevano violato le norme sul segreto istruttorio, ma ha riconosciuto prevalente l'esigenza del pubblico di essere informato sul procedimento giudiziario in corso e sui fatti oggetto del libro, al quale erano allegati alcuni verbali di intercettazioni.


È legittimo - secondo i giudici europei - accordare una protezione particolare al segreto istruttorio, sia per assicurare la buona amministrazione della giustizia, sia per garantire il diritto alla tutela della presunzione d'innocenza delle persone oggetto d'indagine. Ma su queste esigenze prevale il diritto di informare, soprattutto quando si tratta di fatti che hanno raggiunto una certa notorietà tra la collettività. Non solo. La Corte europea ha ribaltato l'onere della prova: non tocca ai giornalisti dimostrare che non hanno violato il segreto istruttorio, ma spetta alle autorità nazionali dimostrare in quale modo «la divulgazione di informazioni confidenziali può avere un'influenza negativa sulla presunzione di innocenza» di un indagato. In caso contrario, la protezione delle informazioni coperte da segreto non «è un imperativo preponderante». Ciò che conta è che i giornalisti agiscano in buona fede, fornendo dati esatti e informazioni precise e autentiche nel rispetto delle regole deontologiche della professione.


Una bocciatura anche per le pene disposte dai tribunali nazionali. Secondo la Corte europea, infatti, la previsione di un'ammenda e l'affermazione della responsabilità civile dei giornalisti possono avere un effetto dissuasivo nell'esercizio di questa libertà, effetto che non viene meno anche nel caso di ammende relativamente moderate. (Il Sole 24 Ore, 21 giugno 2007)


 


Che peso hanno le sentenze di Strasburgo nel sistema giudiziario italiano?


Nota di Franco Abruzzo


La risposta è stata data dalla Corte costituzionale con la sentenza 39/2008: “Questa Corte, con le recenti sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, ha affermato, tra l'altro, che, con riguardo all'art. 117, primo comma, Cost., le norme della CEDU devono essere considerate come interposte e che la loro peculiarità, nell'ambito di siffatta categoria, consiste nella soggezione all'interpretazione della Corte di Strasburgo, alla quale gli Stati contraenti, salvo l'eventuale scrutinio di costituzionalità, sono vincolati ad uniformarsi…Gli Stati contraenti  sono vincolati ad uniformarsi alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo dà delle norme della Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’Uomo)”.


La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) rappresenta un meccanismo di protezione internazionale dei diritti dell’uomo particolarmente efficace. Le norme della Convenzione, nella interpretazione che ne dà soltanto la Corte di Strasburgo, sono di immediata operatività per gli Stati contraenti. L’articolo 10 della Convenzione afferma che  “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere  interferenza di pubbliche autorità e senza riguardo alla nazionalità”. Il principio in base al quale ogni persona ha la libertà di “ricevere e  comunicare informazioni” è alla base delle sentenze citate e anche di quelle conosciute come Goodwin, Roemen e Tillack sulla inviolabilità delle fonti dei giornalisti, La Repubblica italiana ora deve assorbire nel suo ordinamento i principi fissati dalla  Corte di  Strasburgo. Le norme Cedu si collocano, quindi, come norme interposte, tra la Costituzione e le leggi di rango ordinario. Si può dire che sono norme sub-costituzionali.


Nella sentenza 348/2007, la Corte costituzionale ha spiegato quali sono gli obblighi della Repubblica Italiana verso la Convenzione e  le sentenze della Corte: “La CEDU presenta, rispetto agli altri trattati internazionali, la caratteristica peculiare di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte europea per i diritti dell'uomo, cui è affidata la funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa. Difatti l'art. 32, paragrafo 1, stabilisce: «La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa alle condizioni previste negli articoli 33, 34 e 47». Poiché le norme giuridiche vivono nell'interpretazione che ne danno gli operatori del diritto, i giudici in primo luogo, la naturale conseguenza che deriva dall'art. 32, paragrafo 1, della Convenzione è che tra gli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione. Non si può parlare quindi di una competenza giurisdizionale che si sovrappone a quella degli organi giudiziari dello Stato italiano, ma di una funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea, contribuendo con ciò a precisare i loro obblighi internazionali nella specifica materia”  (sentenza 348 - pubblicazione in G. U. 31/10/2007 - presidente Bile - relatore Silvestri).


Con la sentenza 349/2007, la Corte costituzionale, invece, ha puntato il dito su chi (Presidenza del consiglio dei Ministri) debba provvedere ad attivare i “meccanismi” e gli “adempimenti” diretti al recepimento nel nostro ordinamento delle pronunce di Strasburgo: “Dagli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte è dunque possibile desumere un riconoscimento di principio della peculiare rilevanza delle norme della Convenzione, in considerazione del contenuto della medesima, tradottasi nell'intento di garantire, soprattutto mediante lo strumento interpretativo, la tendenziale coincidenza ed integrazione delle garanzie stabilite dalla CEDU e dalla Costituzione, che il legislatore ordinario è tenuto a rispettare e realizzare. La peculiare rilevanza degli obblighi internazionali assunti con l'adesione alla Convenzione in esame è stata ben presente al legislatore ordinario. Infatti, dopo il recepimento della nuova disciplina della Corte europea dei diritti dell'uomo, dichiaratamente diretta a «ristrutturare il meccanismo di controllo stabilito dalla Convenzione per mantenere e rafforzare l'efficacia della protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali prevista dalla Convenzione» (Preambolo al Protocollo n. 11, ratificato e reso esecutivo con la legge 28 agosto 1997, n. 296), si è provveduto a migliorare i meccanismi finalizzati ad assicurare l'adempimento delle pronunce della Corte europea (art. 1 della legge 9 gennaio 2006, n. 12), anche mediante norme volte a garantire che l'intero apparato pubblico cooperi nell'evitare violazioni che possono essere sanzionate (art. 1, comma 1217, della legge 27 dicembre 2006, n. 296). Infine, anche sotto il profilo organizzativo, da ultimo è stata disciplinata l'attività attribuita alla Presidenza del Consiglio dei ministri, stabilendo che gli adempimenti conseguenti alle pronunce della Corte di Strasburgo sono curati da un Dipartimento di detta Presidenza (d.P.C.m. 1° febbraio 2007 – Misure per l'esecuzione della legge 9 gennaio 2006, n. 12, recante disposizioni in materia di pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo)” (sentenza 349 - pubblicazione in G. U. 31/10/2007- presidente Bile - relatore Tesauro).


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In: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=2356


Ricerca di Franco Abruzzo aggiornata con le sentenze


348/2007, 349/2007 e 39/2008 della Corte costituzionale.


 


SEGRETO PROFESSIONALE E PERQUISIZIONI.


Con le sentenze Goodwin, Roemen


e Tillack, la Corte di Strasburgo


ha imposto l’alt alle perquisizioni


nelle redazioni e nelle abitazioni


dei cronisti a tutela delle fonti


dei giornalisti. “Gli Stati contraenti


sono vincolati ad uniformarsi


alle interpretazioni che la Corte di


Strasburgo dà delle norme della Cedu”:


le sentenze 348/07, 349/07 e 39/2008


della Corte costituzionale sono


una svolta ineludibile ed epocale!


Pm e giudici obbligati ad adeguarsi


immediatamente e senza indugi


all'indirizzo espresso da Strasburgo.


Testo in allegato


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