MILANO. Nel processo a Youtube per il video con il pestaggio del minore disabile (nel quale i pubblici ministeri hanno chiesto quattro condanne a un anno per i dirigenti di Google, si veda «Il Sole 24 Ore» del 26 novembre) scende in campo la Commissione europea.
La dichiarazione del commissario Charlie McCreevy, sollecitata da Edima – associazione europea dei media digitali – e che entrerà domani nell'udienza di Milano, ribadisce che l'unica norma di diritto vigente è la direttiva sull'E-commerce del 2000. Si tratta di una regola chiara: «La direttiva precisa che per ottenere una limitazione di responsabilità – scrive McCreevy – il fornitore di servizi, una volta avuta la conoscenza o la consapevolezza di un'attività illegale, deve adoperarsi immediatamente per rimuovere o disabilitare l'accesso all'informazione contestata». Questo semplice principio, aggiunge il commissario, serve per garantire la libertà di espressione da un lato e, dall'altro, la competitività del sistema europeo di commercio online. Il ruolo della Commissione, aggiunge il documento, non è quello di interferire nei processi penali pendenti negli stati membri, ma piuttosto di far applicare orizzontalmente la normativa, indipendentemente dalla circostanza che si tratti di un problema di diritto privato, pubblico o di rilevanza penale.
Sul ruolo di filtro, o meno, del fornitore di servizi, il dibattito in Italia rimane comunque apertissimo. La questione non è tanto sulla punibilità degli illeciti penali/civili via internet, su cui nessuno ha da obiettare, quanto sul metodo da seguire. Non più tardi della scorsa settimana il tribunale di Roma, nel caso Rti/Google in materia di protezione del diritto d'autore, ha spinto avanti la soglia di controllo, respingendo la tesi della «presunta assoluta irresponsabilità del provider».
L'ordinanza del tribunale civile della capitale interpreta così in modo restrittivo il principio di assenza dell'obbligo generale di sorveglianza da parte dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica, come recepito in Italia dal Dlgs 70/03. Secondo la Corte, la responsabilità del provider sussiste quando questi «non si limiti a fornire la connessione alla rete, ma eroghi servizi aggiuntivi (...) e/o predisponga un controllo delle informazioni e, soprattutto quando, consapevole della presenza di materiale sospetto si astenga dall'accertarne l'illiceità e dal rimuoverlo o se consapevole dell'antigiuridicità ometta di intervenire». Questa lettura è tecnicamente discutibile, perchè anche l'operatore di accesso (compagnie telefoniche) potrebbe sorvegliare i propri utenti e prevenire l'accesso a contenuti illeciti (come accade, per legge, nel caso del gambling online e della pedopornografia). Non avrebbe senso il distinguo fra “accesso” e “servizi”. Inoltre questo orientamento sembra in palese contrasto con la ratio e la lettera delle norme comunitarie e nazionali. Confonde, infatti, le ipotesi di concorso nell'illecito (che presentano un contributo causale del provider) con il caso in cui l'operatore venga a sapere, ex post, della commissione di un illecito. In altri termini, affermare nello stesso tempo che non sussiste un obbligo generale di sorveglianza e che la responsabilità deve essere accertata caso per caso, significa annullare la tutela Ue dei servizi della società dell'informazione.
L'altalena
Il processo di Milano
Per quattro dirigenti di Google, la procura lo scorso 25 novembre ha chiesto in udienza un anno di carcere: non avrebbero filtrato su Youtube il video del pestaggio di un minorenne disabile, trattando abusivamente dati sensibili. I protagonisti del fatto, tutti minorenni, sono stati giudicati nel 2007 e hanno già espiato la pena
La causa civile di Roma
Rti ha citato Google e Youtube per aver immesso in rete 174 frame del «Grande Fratello» di Canale 5 (542 minuti totali, cliccati 1milione200mila volte dagli internauti)
L'ordinanza del tribunale
Il giudice istruttore civile di Roma, nella causa Rti/Google, ha respinto la tesi della «assoluta irresponsabilità del provider» reclamata dal motore di ricerca, stabilendo invece che la responsabilità va accertata «caso per caso». Nel caso specifico, ha ordinato l'immediata rimozione del «Grande Fratello» da Youtube
La dichiarazione della Ue
Intervenendo nel processo di Milano, con una dichiarazione sollecitata da Edima (l'associazione europea dei media digitali, cui aderisce Google), il commissario europeo Charlie McCreevy ricorda che l'unica norma vigente – la Direttiva sull'E-commerce del 2000 – impone ai provider solo di rimuovere i contenuti illeciti «una volta avutane conoscenza o consapevolezza». Quindi: no alla censura preventiva