Milano, 30 settembre 2010. Due giorni di sciopero immediato e un pacchetto di ulteriori cinque giorni «per rispondere all'attacco che il Direttore ha mosso contro le tutele e le regole che garantiscono la libertà del loro lavoro e, di conseguenza, l'indipendenza dell'informazione che il giornale fornisce». Così il Comitato di Redazione del Corriere della Sera motiva l'agitazione indetta questo pomeriggio dall' assemblea del quotidiano di Via Solferino. «Il Corriere della Sera - si legge nella nota del Cdr - domani e dopodomani non sarà in edicola e, nelle stesse giornate, il suo sito Corriere.it non verrà aggiornato. L'assemblea dei giornalisti ha votato due giorni di sciopero immediato e ha consegnato al Comitato di Redazione un pacchetto di ulteriori cinque giorni di sciopero: invitati a un tavolo di trattativa sulla multimedialità, i componenti del Cdr non hanno trovato nemmeno un inizio di confronto, ma soltanto una lettera nella quale il Direttore sanciva, fra l'altro, che 'l'insieme degli accordi aziendali e delle prassi che hanno fin qui regolato i nostri rapporti sindacali non hanno più senso». A giudizio del Comitato di redazione «la lettera elencava già i risultati che una pseudo-negoziazione avrebbe dovuto raggiungere e si chiudeva intimando che “se non ci sarà accordo, i patti integrativi verranno denunciati, con il mio assenso”. “Tale approccio - spiega il Cdr del Corriere - è in aperto e ingiustificato contrasto con il senso di responsabilità mostrato dalla Redazione nella gestione dello 'stato di crisì e nell'introduzione di tutte le iniziative editoriali proposte da questa direzione in due anni. L'Assemblea dei giornalisti auspica e chiede da tempo di conoscere le linee strategiche e i piani di sviluppo che Azienda e Direzione intendono attuare tenendo conto sia delle nuove tecnologie a disposizione, sia della qualità, dell'accuratezza e dell'indipendenza dell'informazione”. “Nulla di tutto ciò ci è mai stato presentato - osserva il Comitato di Redazione - La battaglia che i redattori del Corriere hanno intrapreso vuole riportare il giornale al suo ruolo leader attraverso un'informazione libera e autorevole che non può prescindere dalle garanzie per ciascun giornalista. Chi scrive deve poterlo fare senza pressioni, minacce, ricatti. Questo è l'impegno che offriamo ai lettori”. “Il Cdr e i giornalisti del Corriere della Sera - conclude la nota - chiedono che il Direttore riveda una posizione pregiudiziale che per la Redazione è irricevibile e torni a un confronto rispettoso dei rapporti sindacali”. (ANSA).
Ed ecco il testo della lettera di Ferruccio De Bortoli:
Cari colleghi, Questa lettera vi complicherà la vita. Ma la discussione che ne scaturirà ci permetterà di investire meglio nel nostro futuro di giornalisti del Corriere della Sera. E costituirà uno spunto importante per una discussione di carattere generale che la nostra categoria non può rinviare all’infinito. Di che cosa si tratta? In sintesi vi potrei dire: investiamo di più nel giornale e nella qualità, ritorniamo a dare spazio ai giovani, ma ricontrattiamo quelle regole, in qualche caso autentici privilegi, che la multimedialità (e il buon senso) hanno reso obsolete.
Con molta fatica, grazie soprattutto al vostro senso di responsabilità, stiamo completando una ristrutturazione dolorosa ma necessaria che non ha messo però in cassa integrazione diretta alcun collega, com’è avvenuto in tutte le altre testate. Ora si apre una fase diversa, ugualmente impegnativa. Non mi nascondo le difficoltà. Il periodo che attraversiamo è difficile, in tutti i sensi.
L’editore è chiamato a investire sul giornale, e sull’intero sistema di diffusione dei suoi contenuti, con una rinnovata attenzione alla qualità e alla promozione di talenti giovani e multimediali. Noi lo incalzeremo con il necessario puntiglio. Parte non secondaria dei risparmi, resi possibili dalla ristrutturazione, deve andare ad accrescere la capacità di penetrazione del giornale nelle diverse aree di diffusione, rafforzandone l’autorevolezza e l’indipendenza, anche con nuovi prodotti allegati. Nell’aggiornamento al piano editoriale sono contenute diverse proposte: dal rafforzamento del fascicolo nazionale a nuove cronache locali, dal nuovo inserto culturale della domenica alle iniziative sul web e sulla tv, all’assunzione di dieci giovani all’anno, attraverso la Rete e la selezione dagli stage universitari. Ne discuteremo a tempo debito.
Questa condizione è, per chi vi scrive, irrinunciabile e pregiudiziale a ogni altro sviluppo editoriale, e al proseguimento di ogni forma personale di collaborazione. Ma vi è una seconda condizione che, con sincerità forse un po’ brutale, io pongo alla vostra attenzione. In questi mesi abbiamo compiuto significativi passi avanti nell’arricchire la nostra informazione, non solo sulla carta, ma anche e in particolar modo sul web. Sono state lanciate nuove iniziative. Edizioni del giornale sono disponibili, per la prima volta anche a pagamento, su I phone e smart phone. A due mesi dal lancio degli abbonamenti al giornale su Ipad, abbiamo già toccato la soglia delle settemila adesioni, la metà delle quali per un periodo di sei mesi o un anno. Gli streaming di Corriere tv sono ormai largamente superiori a molti, e importanti, canali televisivi.
L’industria alla quale apparteniamo e la nostra professione stanno cambiando con velocità impressionante. In profondità. Di fronte a rivolgimenti epocali di questa natura, l’insieme degli accordi aziendali e delle prassi che hanno fin qui regolato i nostri rapporti sindacali non ha più senso. Questo ormai anacronistico impianto di regole, pensato nell’era del piombo e nella preistoria della prima repubblica, prima o poi cadrà. Con fragore e conseguenze imprevedibili sulle nostre ignare teste. Non è più accettabile che parte della redazione non lavori per il web o che si pretenda per questo una speciale remunerazione. Non è più accettabile che perduri la norma che prevede il consenso dell’interessato a ogni spostamento, a parità di mansione. Prima vengono le esigenze del giornale poi le pur legittime aspirazioni dei giornalisti. Non è più accettabile che i colleghi delle testate locali non possano scrivere per l’edizione nazionale, mentre lo possono tranquillamente fare professionisti con contratti magari per giornali concorrenti. Non è più accettabile l’atteggiamento, di sufficienza e sospetto, con cui parte della redazione ha accolto l’affermazione e il successo della web tv. Non è più accettabile, e nemmeno possibile, che l’edizione I pad non preveda il contributo di alcun giornalista professionista dell’edizione cartacea del Corriere della Sera. Non è più accettabile la riluttanza con la quale si accolgono programmi di formazione alle nuove tecnologie. Non è più accettabile, anzi è preoccupante, il muro che è stato eretto nei confronti del coinvolgimento di giovani colleghi. Non è più accettabile una visione così gretta e corporativa di una professione che ogni giorno fa le pulci, e giustamente, alle inefficienze e alle inadeguatezze di tutto il resto del mondo dell’impresa e del lavoro.
L’elenco, cari colleghi, potrebbe continuare. E’ un elenco amaro, ma sono costretto a farlo perché, continuando così, non c’è più futuro per la nostra professione. E, infatti, vi sfido a contare in quanti casi sulla Rete è applicato il contratto di giornalista professionista. Tutto ciò deve farci riflettere. Seriamente. Sediamoci attorno a un tavolo, chiedendo all’azienda di assumersi le proprie responsabilità, per stringere un nuovo patto interno all’altezza delle nostre sfide professionali ed editoriali. Ma una cosa deve essere chiara fin dall’inizio. Se non vi sarà accordo, i patti integrativi verranno denunciati, con il mio assenso. Sono convinto che avremo modo di riflettere su questa mia proposta, insieme ai colleghi dell’intera redazione, e di convenire su tutto ciò che è necessario fare per non ipotecare ancora di più il nostro già incerto futuro.
Ferruccio De Bortoli
Milano, 30 settembre 2010
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CDR CORRIERE: “NOSTRO FINE È INDIPENDENZA”. COMITATO DI REDAZIONE ai LETTORI: “VI SPIEGHIAMO PERCHÉ SCIOPERIAMO”.
Milano, 1 ottobre 2010. Un tavolo sul quale «poter lavorare seriamente, con responsabilità, senza pregiudiziali e senza altri fini che non siano quello di soddisfare l'interesse dei lettori salvaguardando l'indipendenza, la qualità, l'identità, la libertà del Corriere della Sera. E nel rispetto del lavoro dei suoi giornalisti». È uno dei passaggi della lettera aperta ai lettori scritta dal Cdr del Corriere della sera che ha indetto due giorni di sciopero. Nella lettera Il Comitato di redazione spiega ai lettori del Corriere i perchè dello sciopero: «Caro lettore, il Corriere della Sera oggi non è in edicola e neppure domani lo sarà. Anche il suo sito Corriere.it manterrà il silenzio per questi due giorni. Una decisione presa dalla redazione e dai suoi rappresentanti sindacali, che qui tenteranno di spiegare le motivazioni di questo sciopero». «Quella del giornalista - scrivono i componenti del Cdr - è per moltissimi aspetti una professione come le altre. La sua peculiarità è di informare su tutti gli aspetti della società in modo libero da condizionamenti e forte di un diritto di critica attraverso il quale può svolgere il suo ruolo civile di cane da guardia: a difesa dei cittadini e della circolazione delle idee, contro l’aggressione di poteri più o meno forti. Per assolvere questo compito e onorare questo impegno-dovere, spesso etica personale e codici deontologici non sono sufficienti. Quindi nel corso degli anni (e purtroppo il Corriere ha sperimentato sulla propria pelle fasi molto buie) la nostra redazione è riuscita a dotarsi di altri strumenti: accordi interni, a volte anche ratificati per via giudiziale, che tutelano il giornalista da pressioni, minacce, ricatti; e che di conseguenza tutelano il lettore da informazioni distorte, parziali, scorrette, censurate». «Rischi - osserva il Cdr nelle lette aperta - che non appartengono alla preistoria, ma possibili anche nella situazione attuale del Corriere, con un azionariato composto da molti imprenditori e vertici della finanza che non hanno certamente nell’editoria il loro core business; e in presenza di una politica tanto annaspante quanto invadente. Altri patti difendono invece, per la dovuta chiarezza verso chi acquista il nostro giornale, il marchio Corriere rafforzandone l¨identità e la specificità». «Ieri, una lettera della Direzione al Comitato di Redazione ¨presentata a freddo in sostituzione dell'inizio di una trattativa prevista da mesi¨ poneva come pregiudiziale di qualunque confronto l’abolizione di queste regole di garanzia - si legge ancora nella lettera - Un paravento di accuse ingiustificate tentava di legittimare un attacco alla tutela della libertà di stampa. Si addossano alla redazione responsabilità che appartengono a scelte editoriali e imprenditoriali errate e spesso dissennate. Si imputa ai giornalisti il rifiuto della modernità e della sfida tecnologica, quando da oltre due anni la redazione chiede ¨come dimostrano diversi comunicati e lo stesso accordo sullo stato di crisi firmato al ministero - di conoscere i piani di sviluppo aziendali e gli investimenti sulla multimedialità senza ottenere mai nessuna risposta concreta, ma solo promesse e annunci». «Penalizzata anche economicamente da una pesante ristrutturazione e senza avere a disposizione mezzi adeguati ai tempi, la redazione del Corriere ha comunque - e faticosamente - cercato di percorrere alcune strade innovative e sperimentali - spiega il CdR - dalle video chat, ai video reportage, ai video editoriali, ai contributi audio per le edizioni on line e da poco (perché da poco è disponibile in Italia) anche Ipad. Con spirito di sacrificio, senza alcun riconoscimento, nell'interesse del giornale, dell'informazione e del lettore. Adesso, con questi scioperi, la Redazione chiede per l'ennesima volta all'Azienda e alla Direzione di aprire finalmente un tavolo sul quale poter lavorare seriamente, con responsabilità, senza pregiudiziali e senza altri fini che non siano quello di soddisfare l'interesse dei lettori salvaguardando l'indipendenza, la qualità, l'identità, la libertà del Corriere della Sera. E nel rispetto del lavoro dei suoi giornalisti». (ANSA).
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Commento 1/10/2010 h. 8.50
Marchionne fa proseliti in via Solferino. E’ arduo fare giornali italiani in Cina, mentre è più facile trasportare la Cina a Milano. Avremo una Pomigliano della stampa?
Ferruccio De Bortoli ha condito il suo diktat con l’offerta di assumere dieci giovani ogni anno a patto che il sindacato "ricontratti" i patti aziendali stipulati dal 1973 ad oggi.
di Franco Abruzzo
Milano, 1 ottobre 2010. Ferruccio De Bortoli ha condito il suo diktat con l’offerta di assumere dieci giovani ogni anno a patto che il sindacato accetti lo smantellamenti dei patti aziendali dal 1973 ad oggi. In sostanza Marchionne fa proseliti in via Solferino. E’ problematico fare i giornali italiani in Cina, mentre è più facile trasportare la Cina a Milano. Rcs punta a un nuovo accordo “stile Pomigliano” con la cancellazione dei diritti. Ma una fabbrica dei giornali non è una “fabbrica di bulloni”. I giornalisti non possono essere spostati come sacchi di patate da un settore all’altro, occupandosi di tutti gli argomenti nell’arco dell’orario di lavoro giornaliero. L’articolo 41 della Costituzione pone un limite fortissimo alla libertà dell’impresa, quello del rispetto della dignità di chi lavora. L’articolo 41 non è come, dice Berlusconi, un articolo “sovietico” ma affonda le sue radici negli articoli 2 e 3 della Costituzione, in sintesi nel rispetto del valore inviolabile della dignità della persona (non dimenticando che il principio della dignità sociale precede l’uguaglianza). Il sindacato dei giornalisti si trova a giocare una partita decisiva, che ha al centro la professione giornalistica così come l’abbiamo conosciuta e praticata finora. Viviamo una stagione difficile in un Paese dove le classi dirigenti non amano la libertà dei cronisti e dove, a livello legislativo, si tenta di avvolgerla in lacci e lacciuoli. Ieri a Catania la polizia si è presentata in una redazione per controllare preventivamente, su mandato della Procura, le notizie inserite nel giornale free Sud ancora non in edicola. Una brutta pagina, che ci riporta all’Italia ante 1905. Da Milano a Catania corre un filo rosso, che vede il giornalismo sotto attacco. Abbiamo bisogno di un sindacato forte, lucido, razionale e ragionevole. Bisogna far capire alla Rcs e al direttore del Corriere della Sera che i diktat non hanno futuro e che danneggiano gli interessi dell’azienda.