L’esercizio del diritto di cronaca e di critica, che è “lecito anche se in conflitto con diritti e interessi della persona ove sussistano i parametri dell’utilità sociale alla diffusione della notizia, della verità oggettiva o putativa, della continenza del fatto narrato o rappresentato, costituisce estrinsecazione della libertà di manifestazione del pensiero prevista dall’art. 21 Cost. e dall’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; queste norme, a loro volta, trovano riferimento nella costituzione europea, la quale, con una formula più vasta, prevede sotto il valore universale della libertà, agli art. 2, 71, la libertà di espressione e di informazione, formula questa, da interpretarsi secondo l’addendum 22 al documento CIG 87/04 (agosto 2004), in conformità dell’art. 10 CEDU, che prevede, al 2º comma, limiti di ordine pubblico o di interessi fondamentali della persona, quali la salute, la reputazione o diritti fondamentali (come la dignità, la presunzione di innocenza, etc.) anche tenendo presente che le corti europee di giustizia di Lussemburgo (sentenza 8 luglio 1999 in causa 150/98) e di Strasburgo (sentenza 21 gennaio 1999, Fressoz) considerano la libertà di informazione come un patrimonio comune delle tradizioni costituzionali degli stati dell’Unione e del consiglio d’Europa” (Cass. civ., 17.07.2007, n. 15887, in Mass., 2007, 1313). Dunque, nelle ipotesi diffamatorie, ai fini dell’effetto giustificativo dell’esercizio del diritto di cronaca, per stabilire se siano stati rispettati i limiti di tale diritto deve aversi riguardo alla verità della notizia al momento della sua diffusione. Difatti come evidenziato nella sentenza che qui si pubblica “soltanto la correlazione rigorosa tra fatto e notizia dello stesso, soddisfa l’interesse pubblico all’informazione, che è la ratio dell’art. 21 della Cost., di cui il diritto di cronaca è estrinsecazione, riportando l’azione nell’ambito dell’operatività dell’art. 51 cod. pen. e rendendo la condotta non punibile nel concorso degli altri due requisiti della continenza e pertinenza”.
L’eventuale discrepanza tra il fatto narrato e quello effettivamente accaduto non esclude che possa essere invocata l’esimente, anche putativa, dell’esercizio del diritto di cronaca, quando colui che ha divulgato la notizia, pur avendo compiutamente adempiuto il dovere di controllo delle fonti da cui l’ha appresa, abbia una percezione erronea della realtà
La cronaca giudiziaria concerne la narrazione di avvenimenti criminosi e delle vicende giudiziarie ad essi conseguenti, al fine di consentire alla collettività di avere una retta opinione su vicende penalmente rilevanti, sull'operato degli organi giudiziari e, più in generale, sul sistema giudiziario e legislativo del Paese. Nella narrazione di tali fatti, è tuttavia necessario che venga rigorosamente rispettato il diritto dei soggetti coinvolti in tali fatti, cosicché l'opinione del consesso dei cittadini, si formi su notizie aderenti a quelle che sono le effettive risultanze processuali a loro carico. La cronaca giudiziaria quindi spesso si pone in rotta di collisione con il contrapposto interesse di tutela della riservatezza del soggetto coinvolto negli accadimenti giudiziari oggetto della cronaca. Altresì (e soprattutto) la cronaca giudiziaria si colloca in potenziale conflitto anche con i principi espressi dall’art. 27 Cost., ai sensi del quale sono vietate affermazioni anticipatorie della condanna o, comunque, pregiudizievoli della posizione dell’indagato e dell’imputato: la ratio della norma è volta a tutelare detti soggetti contro ogni indicazione che li accrediti come colpevoli prima di un accertamento processuale definitivo che effettivamente li riconosca come tali (cfr. Cass. pen., 21. 1991, Bocconetti, in RP, 1991, 912).
In questo senso si pone anche questa sentenza della Cassazione (Cass. civ., sez. III 20 luglio 2010, n. 16917, Pres. Morelli - Rel. Amendola) laddove precisa che il "potere-dovere di raccontare e diffondere a mezzo stampa notizie e commenti, quale essenziale estrinsecazione del diritto di libertà di informazione e di pensiero, incontra limiti in altri diritti e interessi fondamentali della persona, come l’onore e la reputazione, anch’essi costituzionalmente protetti dagli artt. 2 e 3 Cost. dovendo peraltro, in materia di cronaca giudiziaria, confrontarsi anche con il presidio costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost.”.
Tanto premesso, d’altro canto, è parimenti ovvio che il diritto di cronaca (e, più in generale, di manifestazione del pensiero) non può venire del tutto sacrificato neppure nei confronti del principio di presunzione di innocenza; ciò sul presupposto che a favore dell’imputato o dell’indagato non militi alcuna ragione volta a riconoscere loro una tutela della reputazione maggiore di quanto non spetti ad altri soggetti.
Date queste premesse, vediamo che la cronaca giudiziaria incontra i medesimi limiti delle altre forme di cronaca (verità della notizia, pubblico interesse alla conoscenza dei fatti narrati, e continenza), sui quali però sono state svolte doverose specificazioni. E difatti, quanto al limite della verità, esso viene inteso in senso restrittivo, poiché il sacrificio della presunzione di innocenza non deve spingersi oltre quanto strettamente necessario ai fini informativi. Ciò comporta che il giornalista non deve narrare il fatto in modo da generare un convincimento su una colpevolezza non solo non ancora accertata, ma che poi potrà rivelarsi anche inesistente. Per tale motivo anche la sentenza in esame ha precisato che la “verità di una notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti di sorta, dovendo il limite della verità essere restrittivamente inteso” (in questo senso conformi anche Cass. pen, 03.06.1998, Pendinelli, in Ced Cass., rv. 211487; Cass. pen., 21.6.1997, Montanelli, in Ced Cass., rv. 208085).
Altresì si richiede che non venga omessa la narrazione di aspetti idonei a scagionare l’imputato: i fatti vanno, dunque, riferiti in termini di problematicità (Cass. pen., 26 giugno 1987, Scialoja, in RP, 1988, 865), chiarendo le opposte tesi dell'accusa e della difesa (c.d. principio dell'equilibrio), dando voce in ugual misura alle parti contrapposte senza tacere aspetti salienti delle tesi difensive, al fine di inculcare nel lettore la convinzione di una inevitabile pronunzia di condanna. Inoltre, nel dare la parola agli indagati, agli imputati ed ai loro difensori, il cronista giudiziario non deve raccogliere sfoghi ed invettive, ma elementi concreti di difesa o di accusa, atti a mettere il lettore di farsi una propria opinione sui fatti, sui criteri di gestione dei processi, sul ruolo della magistratura così da consentire il controllo diretto della collettività sull'operato delle istituzioni. Per tali ragioni la sentenza ha ulteriormente precisato che “l’esimente, anche putativa, del diritto di cronaca giudiziaria di cui all’art. 51 cod. pen., va, dunque, esclusa allorché manchi la necessaria correlazione tra fatto narrato e fatto accaduto, il che implica l’assolvimento dell’obbligo di verifica della notizia e, quindi, l’assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto esposto, nonché il rigoroso obbligo di rappresentare gli avvenimenti quali sono, senza alterazioni o travisamenti di sorta, risultando inaccettabili i valori sostitutivi, quale quello della verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di innocenza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi”. (Testo in http://www.personaedanno.it/CMS/Data/articoli/019247.aspx)
La sentenza è in : Cassazione 20 luglio 2010 n. 16917 pdf.pdf