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Riotta salvato, resta alla
direzione del Sole 24 Ore.
Marcegaglia voleva cambiare.
Ma poi qualcuno l'ha convinta.
In coda la lettera di Mariano
Maugeri e l'intervento
di Giulia Crivelli.

RIOTTA RINUNCIA AL TABLOID. VITTORIA DELLA REDAZIONE.



di www.lettera43.it


Milano, 13 gennaio 2011. Fino al tardo pomeriggio di giovedì sembrava prossimo all'addio. addirittura si parlava di una richiesta di tre anni di buonuscita contrapposta alle pressioni del suo editore, la Confindustria, perché lasciasse la poltrona di direttore responsabile de Il Sole 24 Ore. Ma alla fine Gianni Riotta s'è salvato ancora una volta, almeno per il momento. La proprietà gli ha infatti rinnovato la fiducia.


LA NOTA SALVA RIOTTA. «Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, rinnova la piena fiducia per il mandato di Riotta come direttore del quotidiano», si legge in una nota d'agenzia diffusa in prima serata, «e per quello dell'amministratore delegato del gruppo editoriale, Donatella Treu».


La notizia è uscita dopo un incontro tra lo stesso direttore e la leader dell'associazione di viale dell'Astronomia, durante il quale la presidente di Confindustria avrebbe «ribadito l'avvio di un importante piano di rinnovamento a sostegno del quotidiano e del gruppo editoriale».


GLI SPONSOR DI PESO. Ma cos'è successo? Secondo le informazioni raccolte da Lettera43.it, mercoledì sera Marcegaglia aveva deciso di esautorare Riotta (con l'accordo del comitato di presidenza della Confindustria).


Ma il direttore ha fatto appello ad alcune sue potenti amicizie perché facessero pressioni, convincendo i vertici confindustriali ad assumere una linea molto più morbida nei suoi confronti, nonostante le oltre 50 mila copie perse dal quotidiano in un anno con gli abbonamenti scesi oltre quota 100 mila e un pesante rosso nel conto economico.


I DUBBI DI BOMBASSEI. Tra l'altro qualche dubbio l'aveva già avuto il vice presidente Alberto Bombassei, che aveva fatto presente l'inopportunità di rimuovere un direttore durante una vertenza sindacale dei giornalisti. In difesa di Riotta, sempre secondo i boatos milanesi, sarebbero anche arrivate diverse telefonate di peso. Sono sicuramente intervenuti il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, che il quotidiano color salmone ha nominato 'uomo dell'anno', e Corrado Passera, numero uno della banca Intesa Sanpaolo. Che hanno salvato la scottante poltrona del direttore.


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RIOTTA RINUNCIA AL TABLOID. VITTORIA DELLA REDAZIONE. Dopo averne fatto la linea del Piave fin dal suo insediamento, il direttore del Sole-24 Ore, Gianni Riotta, rinuncia al formato tabloid mandando giù un rospo grande quanto una casa. Il comitato di presidenza di Confindustria riunito oggi pomeriggio a Milano per discutere della crisi del quotidiano di Via Monte Rosa gli ha infatti rinnovato la fiducia, ma subordinandola a una serie di condizioni tra cui la definitiva rinuncia, da parte di Riotta e dell'amministratore delegato del gruppo, Donatella Treu, al tabloid. E' una vittoria della redazione, che proprio sul tabloid aveva proclamato lo stato di agitazione affidando al Cdr un pacchetto di tre giorni di sciopero, il primo dei quali è stato utilizzato per bloccare l'uscita del quotidiano di ieri. E' inoltre legittimo chiedersi, dopo le notizie uscite su Dagospia che attribuiscono la riconferma di Riotta a una telefonata di Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa San Paolo, a Emma Marcegaglia, chi sia davvero oggi l'azionista del Sole-24 Ore e cosa rende così influente la più grande banca italiana sul presidente degli industriali. (Milano, 13 gennaio 2011)


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Falsa la notizia di Dagospia della lettera di sostegno


a Riotta / L'unica lettera è questa dell'ex CDR Maugeri


ed è contro Riotta: "Qui, per come va la baracca,


non basteranno neppure i pannicelli caldi dei contratti


di solidarietà (l’azienda aleggia il fantasma della Cig


per chiudere con i contratti di solidarietà). Qui, se non si torna


a fare un giornale libero, ce ne andremo, cari colleghi, tutti a casa".


Cari colleghi, lo sciopero di oggi, il primo sussulto di dignità da parte della redazione dopo l’annus horribilis del Sole, mi spinge a intervenire nel dibattito sollecitato da Nino Ciravegna e Giulia Crivelli. Vi scrivo per rammentare il tentativo del sottoscritto di promuovere una camera di compensazione tra proprietà e giornale in qualità di componente del Cdr nel biennio 2007-2008. Introduco subito il tema della separazione tra proprietà e giornale perché in coincidenza con la quotazione ci pareva (a me e agli altri esponenti del Cdr, Anna del Freo, Antonella Olivieri e Giorgio Pogliotti) l’unico modo per rendere realmente indipendente il giornale da un assetto proprietario che inevitabilmente lo soffoca.


Fui io, delegato dagli altri colleghi, ad occuparmene. E per farlo al meglio cominciai un dialogo epistolare con il prof Renzo Costi, ordinario di diritto commerciale a Bologna e grande esperto della questione. I suggerimenti di Costi furono semplici: la via maestra sarebbe quella della fondazione autonoma alla quale affidare il quotidiano. In subordine, si potrebbe ipotizzare un comitato dei garanti composto da professionalità riconosciute nel mondo accademico e dell’economia (Mario Monti, esempio) di cui avrebbe fatto parte il direttore responsabile, un esponente dell’azienda e un rappresentante dell’azionista. Il comitato avrebbe avuto il compito di trattare tutte le questioni che avrebbero potuto contrapporre il giornale ai lettori (dunque una specie di ombudsman) e quelle tra la redazione e la proprietà, comprese tutte le informazioni sull’andamento dell’azienda e del quotidiano che Giulia Crivelli (leggi in coda, ndr) pone a fondamento del "patto" che andrebbe sottoscritto tra noi e l’azienda. Su questa seconda ipotesi, il Cdr ricevette la benedizione del direttore De Bortoli, che aderì con entusiasmo all’iniziativa.


Ovvio l’impatto positivo sui lettori e sul mercato: il Sole 24 Ore si quota e la redazione del giornale si rende più autonoma dall’azionista per blindare la sua indipendenza, premessa indispensabile per essere equidistanti e, dunque, autorevoli. Inutile ricordare che due sono stati i momenti di maggior successo del giornale: la lunga direzione di Gianni Locatelli (in dodici anni, tra il 1980 e il 1992, il giornale passò da centomila e 300mila copie con metà degli organici attuali grazie a uno scambio tra il direttore e l’azionista: voi mi date carta bianca sulla linea, io costruisco un giornale vincente che macini miliardi di utili); la direzione di Ernesto Auci (1997-2001) che riuscì a tenere a bada l’arrembaggio di Confindustria che voleva riportare il giornale sotto il suo totale controllo e farne una specie di house organ e non più, come predicava Locatelli, il giornale di tutta l’economia italiana. Auci fece di più, attribuendo a un politologo reclutato da Salvatore Carrubba, il professor Ilvo Diamanti, il ruolo di editorialista di punta che ogni domenica, dalla prima pagina del quotidiano, si prendeva la libertà di punzecchiare, polemizzare e provocare i tanti poteri forti del Paese, Confindustria compresa. Il messaggio ai lettori era implicito: il Sole è un giornale talmente autorevole e "ricco" che può permettersi di criticare pure il suo editore. Dalle 300 mila copie di Locatelli, consolidate e aumentate dal Salvatore Carrubba, si sfiorarono le 400 mila di Auci.


Perdonatemi la digressione, ma credo che nel 2001-2002 cominci l’inevitabile declino del nostro giornale. E comincia quando la Confindustria (e di conseguenza il Sole) si schierano senza se e senza ma con il governo uscito dal trionfo delle elezioni politiche del 2001. Per qualsiasi quotidiano, il collateralismo equivale a inoculare dosi progressive di veleno nel suo corpo redazionale. Ferruccio De Bortoli, dal 2005 al 2009, alza la cloche del Sole e promuove una serie di inchieste investigative che colpiscono al cuore alcuni dei poteri marci di questo Paese, quelli politici in primis. L’istinto di verità e di libertà di questo giornale che finalmente si liberano in inchieste che stupiscono e sorprendono i lettori.


Tutto bene, o quasi, se non fosse che in una riunione drammatica al quarto piano tra il Cdr e l’azienda dopo lo sciopero della redazione per l’assunzione come giornalista dell’ex capo del personale del Sole, De Bortoli ritira il suo via libera alla nascita del comitato dei garanti, che evidentemente viveva come una diminutio della sua autonomia e dei suoi poteri. Il sottoscritto, un minuto dopo, si dimise dal Cdr.


Ho raccontato questa storiella perché credo, come peraltro ha ricordato recentemente Ciccio Abruzzo nella sua newsletter, che la gran parte della soluzione dei problemi che attanagliano oggi le redazioni, sia nella individuazione di un sistema condiviso che permetta alle redazioni e al suo direttore di progettare un giornale con un tasso fisiologico di autonomia e libertà. Con questo non mi voglio sottrarre agli inviti dei colleghi a devolvere giorni di ferie o sottoscrivere patti. Tutto si può fare, ma non si tratta di interventi risolutivi. L’azienda e i direttori non hanno nessuna intenzione di creare una sorta di comitato di sorveglianza tra rappresentanti dei giornalisti e manager. In realtà, quello che chiede Giulia, è la nascita di un luogo istituzionalizzato dove si confrontino limpidamente le professionalità chiave dell’azienda. E allora parliamo di questo, strutturiamo le proposte, torniamo alla carica sul comitato dei garanti, il luogo ideale, per esempio, dove trattare un altro tema incandescente, quello dei contenuti. Il giornale va male perché si è appiattito sulle posizioni governative e fa il lacchè di tutti i poteri e poterucoli che allignano nell’Italia dei nostri tempi. Facciamo - chi più chi meno - un giornale noioso, soporifero, inutile. Non vedo guizzi, idee, provocazioni. Ed è evidente che non si debba rompere i c...a nessuno. Lo dissi nell’assemblea di febbraio del 2010, citando gli altarini che erigiamo ai vari Scajola e Bertolaso di turno. Scajola, peraltro, dopo qualche mese si è dimesso per l’affaire «casa con vista sul Colosseo». Non ci vuole un veggente per capire che se rinunci a criticare ed assere minimamente libero i lettori semplicemente non ti leggono/comprano più.


Ps:Vi prego di non citare più il fatto che l’azienda ci abbia lasciato mazzetta, blackberry e auto. Qualsiasi quadro, di qualsiasi azienda ha diritto a questi benefit (i blackberry, peraltro, con l’utilizzo delle mail, fa risparmiare parecchi quattrini). In cambio di uno straccio di autonomia e di tornare a scrivere, rinuncio sin da ora a tutti i benefit, non a 3 giorni di ferie. Qui, per come va la baracca, non basteranno neppure i pannicelli caldi dei contratti di solidarietà (l’azienda aleggia il fantasma della Cig per chiudere con i contratti di solidarietà). Qui, se non si torna a fare un giornale libero, ce ne andremo, cari colleghi, tutti a casa.


Mariano Maugeri


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L'intervento di Giulia Crivelli citato da Mariano Maugeri


Lunedì in assemblea ho preso la parola per illustrarvi una proposta elaborata nei giorni precedenti che mi era sembrata valida, forse ancora più valida, dopo aver avuto dal Cdr aggiornamenti sulle attuali relazioni con l’azienda e sulla nostra situazione più in generale.A essere sincera, avevo sperato di raccogliere qualche parere favorevole in più, ma penso anche di non essere riuscita a spiegare nel modo esaustivo che mi ero prefissa quello che avevo in mente. Per questo mi permetto di ri-sottoporvi l’idea, solo leggermente rivista e arricchita dai contributi dell’assemblea e alla luce della mail di ieri di Nino Ciravegna, che mi vede d’accordo su alcuni punti, nella sostanza, e su altri in totale disaccordo, sia per i toni sia per la sostanza.Partiamo allora ancora una volta dai dati economici, che ormai conosciamo abbastanza bene e che continuiamo a leggere su altri quotidiani e siti. La perdita del Gruppo Sole 24 Ore nei primi nove mesi del 2010 è stata di 24 milioni di euro. Giuseppe Oddo sul Sole del 21 dicembre scriveva inoltre che il nostro gruppo è quello – tra i grandi gruppi editoriali italiani – che più fatica a uscire dalla crisi. Domenica sull’Unità e sul Fatto abbiamo addirittura letto di ipotesi di cessione o non meglio precisata scissione, ipotesi peraltro già smentite da Confindustria e per altro definite dalla stessa persona che le formulava (Stefano Feltri sul Fatto) "fantascientifiche". Questo significa che FORSE abbiamo ancora un po’ di spazio di manovra, un po’ di tempo (poco però).Da queste considerazioni nasceva l’idea che ho esposto in assemblea e che non è venuta a me, ma che condivido in pieno e della quale mi sono fatta volentieri portavoce. E’ un’idea che – SE CONDIVISA NEL SUO SPIRITO – può essere arricchita dai contributi di tutti. L’idea è quella di un PATTO con l’azienda. Non un accordo sindacale, non una trattativa strategica dove ci si guarda come avversari. L’obiettivo credo sia comune ed è che questo giornale, questo gruppo, tornino ad avere un bilancio sano e che non vivano nel terrore del presente ma guardino al futuro con un po’ di fiducia. L’obiettivo – dell’azienda non so, nostro credo senz’altro - è che nessuno sia licenziato o, forse peggio, messo in cassa integrazione.Sono qui da quasi undici anni, ho visto cambiare direttori (ne ho conosciuti quattro), manager, dirigenti. Sull’operato dei vari direttori credo abbiamo tutti la nostra personale o non personale lista di rimostranze. Ce l’ho anch’io, naturalmente, ma a volte penso che sia come quando durante i Mondiali di calcio tutti contestino – a partita persa – le scelte del ct. Sugli errori gestionali ci hanno impietosamente informati negli anni Gianni Dragoni, Fabio Pavesi, altri colleghi e senz’altro Nicola Borzi. Tutti ci hanno indicato – DATI ALLA MANO – errori che, sempre a posteriori, il buon senso definirebbe inspiegabili. Errori che appunto appartengono al passato e soprattutto sono quasi sempre irrimediabili.Torniamo quindi all’idea: un patto con l’azienda, con chi la guida oggi, in questo momento. un patto che serva ad allontanare, se non scongiurare, l’ipotesi cassa integrazione e licenziamenti. E che dia qualche strumento in più all’azienda per uscire dal rosso di bilancio. Noi sul piatto possiamo mettere un sacrificio economico comune, ma comune davvero. Perché qualcuno potrebbe dire: la redazione ha già fatto i suoi sacrifici e citare i 31 pre-pensionamenti. Pensiamoci bene, in assoluta coscienza: quello è un sacrificio che riguarda le persone pre-pensionate, non noi che siamo rimasti. La riduzione dei compensi ha riguardato SOLO i collaboratori esterni. A noi sono rimasti tutti i benefit: telefono e ora addirittura blackberry senza limiti di traffico e senza controlli; macchina; pc portatile, mazzette di giornali che non siamo neppure costretti a disdire quando andiamo in vacanza, posti auto, mensa a prezzo politico ecc ecc ecc. Per non parlare delle collaborazioni, soprattutto quelle eccellenti: quanto risparmieremmo sfruttando davvero le risorse interne e riorganizzando – davvero – il lavoro di ogni redazione?Sono cose su cui, credo, c’è ancora spazio di manovra. Proponiamo questo all’azienda, un sacrificio economico da parte nostra in cambio - questo è il punto cruciale – di un’assoluta trasparenza da parte dell’azienda su quello che sta facendo, sui piani industriali ed editoriali. Chiediamo di poter vedere i dati dei focus group, delle ricerche di mercato, dei test. Oltre al sacrificio economico mettiamo a disposizione dell’azienda anche le nostre opinioni, le nostre idee, le nostre proposte. "Facciamo" un giornale ma ne leggiamo molti altri. "Facciamo" un sito ma ne frequentiamo centinaia di altri. Abbiamo tutti, credo, proposte e suggerimenti da sottoporre a chi è nella posizione di introdurre forti cambiamenti. E parlo sia di contenitore che di contenuti. Offriamo tutto questo ma pretendiamo di essere aggiornati su come vanno i costi e sui progetti: la questione tabloid in questo senso è esemplare: rischiamo – sempre stando alle ipotesi, forse non poi così fantascientifiche - di vedercelo spuntare da un giorno all’altro quasi a nostra insaputa.Quanto dovrebbe durare questo patto? Non so, parliamone, più di un anno, secondo me. Magari anche tre o quattro, modulando la proposta anche in base a quanto ha ipotizzato Nino Ciravegna (utilizzo delle ferie, dei permessi, delle giornate di lavoro domenicale all’online)..Dite che un patto simile non verrà mai accettato, che la trasparenza è una pia illusione? Che questa azienda ha dimostrato di essere inadempiente e inaffidabile? Tutto vero, però a me sembra che serva un "salto logico", che l’azienda potrebbe non cogliere, forse anche la maggior parte di voi continuerà a pensare che si tratta di follia.Però io non vedo molte altre strade. Avrei le mie critiche da fare, al direttore e ai manager del gruppo, in passato le ho anche fatte, proprio in assemblea. Ma ora vorrei essere più attiva, meno passiva. E scongiurare un altro pericolo, oltre a quello della perdita del lavoro, che vedo all’orizzonte: una guerra tra poveri. Per evitarla potremmo coinvolgere in questo patto anche i poligrafici e ovviamente pretendere che i sacrifici, sullo stipendio o sui benefit di vario genere, vengano fatti dai dirigenti tutti. E soprattutto potremmo comunicare con quanta più forza e consapevolezza possibile questo patto all’esterno. Ieri Franco Siddi (pagina 20 del Sole di oggi, pagina 29 di Repubblica) ha parlato a sua volta di un "patto" tra giornalisti ed editori che li stipendiano. Non so se è un caso, ma non facciamoci sorpassare dagli eventi.Pensiamoci, riflettiamoci, confrontiamoci. Perché tutto quello che abbiamo fatto fin ora non mi sembra sia servito a migliorare le cose o le famose "relazioni industriali".Per finire, credo che potremmo preparare, con i contributi di tutti coloro che condividono lo spirito di questa idea, di questo patto, un documento attorno al quale raccogliere consensi e sorpattutto firme di giornalisti (e magari poligrafici). Questo documento sarebbe da sottoporre poi all'azienda, che non potrebbe ignorarlo. Instilliamo un dubbio nelle menti di tutti: che quello che abbiamo fatto finora non funziona, che dobbiamo pensare a qualcosa di radicalmente diverso. Forse questi dubbi daranno i loro frutti. Positivi, mi auguro.


 


 


 


 






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