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Considerazioni
sul Corriere
e le sue tempeste.

Il Corriere della sera, termometro sensibile dei poteri forti, segna di nuovo febbre persistente.

editoriale di Paolo Madron
direttore di www.lettera43.it

In una lunga intervista a Repubblica, Diego Della Valle fa affiorare dietro i toni distensivi un paio di micidiali frecciate che rendono l’idea del clima di subbuglio. Una contro il direttore, al quale rimprovera il fatto che l’indipendenza di un giornale non abbisogna di forzature atte a dimostrarla. Il riferimento, immaginiamo, è ai reiterati articoli di Massimo Mucchetti molto critici con la Fiat e il suo amministratore delegato.


E qui l’imprenditore di Tod’s sbaglia, presupponendo da non editore puro che dietro certe prese di posizione ci sia sempre un mandante, quando invece (e nel caso del giornalista in questione non ne dubitiamo) sono frutto di una libera opinione. Ergo, si può dissentire con Mucchetti ma non dargli del prezzolato.


FRECCIATE A GERONZI E BAZOLI. L’altra frecciata va ai due banchieri che, nel condominiale assetto della proprietà del giornale, sono indiscutibilmente i punti di riferimento: Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi. L’accusa è che non si può continuare a comandare con i soldi degli altri (tali sono quelli che le banche impiegano), a scapito di imprenditori che mettendoceli, invece, di tasca propria contano assai di meno.


Anche qui, Della Valle parla pro domo sua e di qualcun altro come il suo amico Giuseppe Rotelli, che pur avendo speso una montagna di soldi per diventare il secondo azionista della casa editrice, dopo lunghissima anticamera solo di recente è stato ammesso nella stanza dei bottoni.


Il tentativo mezzo fallito di De Bortoli


Quel che succede ai piani alti si mescola poi con quel che avviene in basso, dentro la redazione, dove si discute ferocemente da mesi su di una riorganizzazione volta a ridurre i privilegi dei giornalisti e favorire, ovviamente a condizioni ben più spartane, l’ingresso di nuovi.


Il tentativo di Ferruccio de Bortoli di una sorta di election day, dove si mescolavano accordo sindacale e riaffermazione della autonomia editoriale, non ha sortito l’effetto da lui sperato. O meglio, lo ha sortito solo in parte: fiducia piena al direttore come garante della linea e dell’indipendenza del giornale, ma invito a risedersi al tavolo per riprendere la trattativa sui temi interni.


LA CONTA DEGLI AZIONISTI. Sulle vicende che hanno investito via Solferino restano però ancora molte domande senza risposta. La prima sul perché De Bortoli abbia voluto questa sorta di conta tra gli azionisti. Sapeva forse che qualcuno stava per mettere formalmente in discussione il suo mandato e ha voluto giocare d’anticipo? Sapeva che stavano cambiando a suo discapito gli equilibri dentro la proprietà e che la diarchia Bazoli-Geronzi si stava spezzando a tutto vantaggio del secondo, e quindi della parte filogovernativa che da sempre gli rimprovera il suo mai nascosto antiberlusconismo?


I SEGRETI DI DELLA VALLE.La seconda domanda riguarda invece Della Valle il quale, sedendo da anni nel consiglio d’amministrazione del gruppo, solo ora ne scopre la debolezza industriale e finanziaria tanto da ricorrere a una plateale astensione di fronte all’ultimo piano triennale. Cosa sa l’imprenditore che non emerge, quale campanello d’allarme egli paventa possa presto suonare? Oppure il suo malcontento è propedeutico alla formazione di nuovi assetti una volta caduto il premier sotto i colpi (di ridicolo e di credibilità) del Bunga bunga?


Terza domanda, la Fiat. Se non esiste alcuna lettera spedita da Torino per sollecitare una riunione del consiglio con all’ordine del giorno la linea editoriale, esiste ed è grande il malcontento per come il giornale si è espresso sul braccio di ferro tra il Lingotto e il sindacato.


LE MOSSE DI FIAT. Ma al di là di questo, francamente si stenta a capire come Torino intenda muoversi con la Rcs, una partecipazione storica nel suo portafoglio che Gianni Agnelli considerava intoccabile e lo stesso Marchionne, appena preso il timone della Fiat, definì come una sorta di dovere sociale, il contributo a mantenere il più importante giornale italiano immune dagli appetiti di parte. C’è da chiedersi ora, a sei anni di distanza da quella sua presa di posizione, se per il nuovo Marchionne che parla di modernità nelle relazioni industriali e che sempre più si accredita come l’emblema di un capitalismo di mercato refrattario a salotti e relazioni, abbia ancora senso restare in Rcs.


Un cda troppo affollato


Ultima domanda. Se parli con ognuno dei 17 soci del gruppo, non ce n’è uno che non ti dica che simile pletorica compagine poco si adatta al governo di un’azienda, specie nei momenti in cui il settore in cui opera vive una metamorfosi epocale e occorrerebbero rapidità decisionale e cambi coraggiosi. Mediobanca, che è il primo della lunga lista, da tempo vorrebbe un poderoso aumento di capitale per far entrare un socio di gestione, magari straniero, magari non invischiato nelle beghe relazionali del nostro capitalismo. Bazoli, a suo tempo, aveva perorato l’idea di una Fondazione che garantisse l’autonomia del Corriere dalle invasioni di campo dei suoi stessi soci. Recentemente, Corrado Passera aveva proposto di togliere la società dalla Borsa per favorire singoli accordi che ne valorizzassero le parti, come poteva essere una fusione tra la Rcs Libri e la Feltrinelli.


SONO I TEMPI DEL FARE. Qualcun altro proponeva un aumento di capitale tout court che servisse a far piazza pulita degli azionisti dello 0 virgola e di quelli impossibilitati a mettere mano al portafoglio. Entrambe le categorie, per sindrome di potenza, si ritengono infatti padrone del Corriere della sera e come tali titolate a mettere becco.


Siccome la singola buona volontà riformatrice si trova inerme di fronte al fuoco dei veti incrociati, non resta che sperare che la fine (se fine sarà) del quindicennio berlusconiano favorisca anche la rivoluzione degli assetti proprietari della più grande casa editrice italiana. E che al non governo dei 17 si sostituisca quello di uno o di pochi, che magari potrà non piacere, ma è il solo a consentire che le aziende si sviluppino e progrediscano. Insomma, a vivere, visto che questi non sono più per nessuno, blasonato che sia, tempi in cui ci si può consentire di sopravvivere.


Domenica, 30 Gennaio 2011


 


 





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