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VICENDA LOMBARDFIN.
Guido Rivolta contro l’Ordine
lombardo dei Giornalisti: la
Cassazione civile cancella la
sentenza della Corte d’Appello
di Milano. Per i supremi giudici
il Consiglio dell’Ordine
in carica nel 1993 (Franco
Abruzzo presidente) ha
rispettato la legge professionale,
ha agito nell’adempimento
di un dovere (art. 51 Cp) e
non ha leso l’immagine
del giornalista Guido Rivolta.

In CODA il testo della sentenza e in ALLEGATO il testo del ricorso dei legali dei consiglieri dell’Ordine assimilabile a un “trattato” sulla legge professionale dei giornalisti.

La Cassazione in sostanza ha fatto propria la richiesta della difesa secondo la quale “Il provvedimento del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia doveva considerarsi valido, legittimo e incensurabile, anche perché funzionale, pertinente e non trasbordante dai limiti della doverosa motivazione”. Il tribunale di Milano, nel giudizio di primo grado, aveva affermato che “l'Ordine è libero di valutare le prove e anche l'attendibilità dei testimoni”.

di Francesco M. De Bonis

Roma, 10 ottobre 2011. La vicenda Lombardfin che, nei primi anni 90 ha scosso il mondo milanese dell’informazione economica, si è conclusa dopo 18 anni con il riconoscimento pieno e assoluto della correttezza dei consiglieri dell’Ordine di Milano che hanno emesso la prima severa decisione sull’affaire. La terza sezione civile della Cassazione, con la sentenza 20287/2011, ha accolto, su conforme richiesta del Pg,  il ricorso dei consiglieri dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia in carica nel 1993, - difesi dagli avvocati Raffaele di Palma, Daniela Pozzoli e Massimo Scardigli -  e ha  “cassato” la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Milano  li aveva condannati, con l’Ordine professionale, a pagare 56mila euro al giornalista professionista Guido Rivolta, testimone nel procedimento disciplinare Lombarfin conclusosi  il 22 novembre 1993, nel primo grado amministrativo, con la radiazione di due giornalisti, la sospensione di altri cinque e il proscioglimento di due; delibera  poi confermata dalla Corte d’Appello di Milano e successivamente dichiarata prescritta dalla Cassazione civile.


Con atto di citazione notificato il 21 febbraio 1994, Guido Rivolta aveva chiesto la condanna in solido del Consiglio e dei singoli consiglieri (che avevano approvato la decisione disciplinare) al risarcimento dei danni (200 milioni di lire) "per avere i convenuti emesso, a chiusura di un procedimento disciplinare nei confronti di alcuni giornalisti professionisti, la delibera 22 novembre 1993, decidendo fra l'altro di riservarsi di valutare in un secondo tempo i giudizi espressi da Guido Rivolta per iscritto su una collega al fine di minarne la credibilità come testimone, e così ledendo la propria onorabilità, credibilità e dignità professionale". Il Tribunale civile di Milano (sezione prima stralcio), con sentenza 4801/2004, ha respinto la pretesa, mentre la seconda sezione civile della Corte d’Appello, con sentenza 596/2008, ha accolto le ragioni di Rivolta.


La Cassazione civile, con sentenza depositata il 4 ottobre, ha cassato la sentenza della Corte d’Appello e “rinvia anche per le spese dinanzi alla Corte d’appello in diversa composizione”. La Corte d’Appello di Milano  “procederà a nuovo esame, alla luce dei principi sopra indicati, provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione”. La Cassazione ha accolto tutti e cinque i motivi del ricorso dei consiglieri dell’Ordine di Milano in carica nel 1993 (Franco Abruzzo, Adriano Solazzo,  Giancarlo Mazzuca, Maria Luigia Bagni, Valeria Sacchi;  Gianluigi Falabrino e Brunello Tanzi nel frattempo sono deceduti).


La Cassazione ha censurata aspramente la Corte d’Appello: “In sostanza può concludersi che è mancata qualsiasi indagine da parte della Corte territoriale, in merito all’applicabilità dell’articolo 51 Cp all’esercizio del potere disciplinare da parte del competente Consiglio dell’Ordine. In altre parole i giudici non hanno affrontato il tema della possibile ricorrenza di una esimente applicabile anche in sede civile nel giudizio di risarcimento danni per diffamazione (Cass, 8 aprile 2003, n. 5505)”. I consiglieri dell’Ordine sono giudici e pertanto operano nell’esercizio di un dovere, quello di appunto di applicare le norme disciplinari previste dagli articoli 2 e 48 della legge professionale 69/1963. La Cassazione in sostanza  ha fatto propria la richiesta della difesa secondo la quale “Il provvedimento del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia doveva considerarsi valido, legittimo e incensurabile, anche perché funzionale, pertinente e non trasbordante dai limiti  della doverosa motivazione”.


Dopo la cassazione della sentenza d’appello, Guido Rivolta dovrà restituire all’Ordine della Lombardia  i 56mila euro non avendo titolo giuridico per trattenerli. La sentenza della Cassazione è, com’è noto, definitiva ed esecutiva. 


§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§


Cass. civ. Sez. III, Sent., 04-10-2011, n. 20287


REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


SEZIONE TERZA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:


Dott. PETTI Giovanni Battista - Presidente


Dott. FILADORO Camillo - rel. Consigliere


Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere


Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere


Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - Consigliere


ha pronunciato la seguente:


sentenza


sul ricorso 8814/2009 proposto da:


Adriano Solazzo, Valeria Sacchi, Gian Luigi Falabrino, Giancarlo Mazzuca, Abruzzo Francesco, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE ANGELICO 36-B, presso lo studio dell'avvocato SCARDIGLI Massimo, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati POZZOLI DANIELA, DI PALMA RAFFAELE giusta delega a margine del ricorso;


- ricorrenti -


 


contro


 


Rivolta Guido elettivamente domiciliato in ROMA, VIA D. CHELINI 5, presso lo studio dell'avvocato VERONI Fabio, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato CORDINI ROBERTO giusta delega a margine del controricorso;


- controricorrente -


e contro


CONSIGLIO ORDINE GIORNALISTI LOMBARDIA;


- intimata -


avverso la sentenza n. 596/2008 della CORTE D'APPELLO di MILANO, emessa il 16/1/2008, depositata il 25/02/2008, R.G.N. 4597/2004;


udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/06/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;


udito l'Avvocato MASSIMO SCARDIGLI;


udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.


 


Fatto Diritto P.Q.M.


Svolgimento del processo


Con sentenza 16 gennaio-25 febbraio 2008 la Corte di appello di Milano riformava la decisione del locale Tribunale del 7-15 aprile 2003, condannando il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti di Milano, il Presidente dello stesso ed i Consiglieri, Francesco Abruzzo, Valeria Sacchi, Adriano Solazzo, Gian Luigi Falabrino e Giancarlo Mazzuca, al pagamento della somma di Euro 40.000,00 in favore del giornalista Rivolta Guido, a titolo di risarcimento danni per diffamazione, per avere con delibera del Consiglio dell'Ordine 22 novembre 1993, dichiarato di volersi riservare "di valutare in un secondo tempo i giudizi espressi da Rivolta Guido per iscritto su Z.R. al fine di minarne la credibilità come testimone".


Il RIVOLTA, nella qualità di caposervizio di Finanza e Mercati presso la redazione del quotidiano "Il sole 24 ore" era stato indicato come teste dalla difesa del giornalista D.P. O., sottoposto con altri giornalisti a procedimento disciplinare su richiesta della Procura generale della Repubblica di Milano


Lo stesso RIVOLTA aveva fatto pervenire al Consiglio dell'Ordine in data 4 ottobre 1993 una memoria scritta, relativa ai fatti dibattuti.


A seguito del procedimento disciplinare, il D.P. - accusato di comportamento deontologicamente scorretto tenuto nei confronti di alcuni colleghi, in particolare verso R.Z. - era stato radiato dall'albo professionale.


Il Consiglio dell'Ordine si era riservato di esaminare in un secondo tempo i giudizi espressi da RIVOLTA per iscritto sulla Z., al fine di minarne la credibilità come testimone.


RIVOLTA era prima stato sottoposto a censura dal Consiglio Regionale e quindi completamente scagionato da ogni addebito dal Consiglio Nazionale dei giornalisti.


Del preannuncio dell'instaurando procedimento disciplinare a carico del RIVOLTA, comunque, era stata data ampia notizia sui giornali di categoria.


Tanto premesso in punto di fatto, i giudici di appello osservavano che il Consiglio dell'ordine era del tutto libero di valutare a sua discrezione la memoria presentata dal RIVOLTA, eventualmente anche ravvisando nelle espressioni usate gli estremi di aggressioni verbali, gratuite ed immotivate, nei confronti della Z..


Tuttavia, ad avviso della Corte territoriale, lo stesso Organo non poteva anticipare un giudizio evidentemente denigratorio nei confronti del RIVOLTA, dando per scontato ciò che avrebbe dovuto - semmai - costituire oggetto della indagine da svolgersi in sede disciplinare e nel contraddittorio tra le parti (vale a dire "se ed eventualmente in qual misura, i giudizi espressi da quest'ultimo (RIVOLTA) fossero o meno volti a ledere la dignità professionale della collega Z.").


La formulazione di una espressa riserva di azione disciplinare contro il RIVOLTA in relazione ai giudizi da questi espressi in merito alla credibilità della teste Z. aveva fatto si che le garanzie minime indispensabili per la irrogazione delle sanzioni all'esito dei procedimenti disciplinari non fossero state minimamente rispettate.


Con la conseguenza che al RIVOLTA doveva essere riconosciuta la somma sopra indicata a titolo di risarcimento del danno all'immagine, a carico di tutti gli originari convenuti.


I ricorrenti Francesco Abruzzo, Valeria Sacchi, Adriano Solazzo, Gian Luigi Falabrino e Giancarlo Mazzuca hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da cinque motivi, cui resiste il RIVOLTA con controricorso, illustrato da memoria. Gli altri intimati non hanno svolto difese.


 


Motivi della decisione


Con il primo motivo i ricorrenti denunciano vizi di motivazione (violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) sottolineando il parallelismo tra giudizio ordinario e procedimento disciplinare risultante anche da alcune pronunce della Corte Costituzionale.


Gli stessi ricorrenti rilevano che il provvedimento del Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia "si riserva di valutare in un secondo tempo i giudizi espressi da RIVOLTAG. per iscritto su Z.R. al fine di minarne la credibilità come testimone" costituiva niente più che un atto dovuto, espressione di una potestà di diritto pubblico di cui è titolare il magistrato ordinario nella ipotesi in cui vengano in evidenza fatti di rilievo penale e il giudice disciplinare nella ipotesi in cui dal giudizio disciplinare dovessero emergere fatti meritevoli di esame.


Il secondo motivo denuncia sotto altro profilo vizi della motivazione (con violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).


 


Il provvedimento del Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti sopra indicato doveva considerarsi valido, legittimo e incensurabile, anche perché funzionale, pertinente e non trasbordante dai limiti della doverosa motivazione.


Il provvedimento contestato costituiva semplicemente espressione dell'esercizio del potere disciplinare, attribuito dalla L. 3 febbraio 1963, n. 69, art. 11, al Consiglio dell'ordine dei giornalisti. Il terzo motivo, infine, pone in evidenza che il provvedimento contestato costituiva adempimento di uno specifico dovere imposto da una norma di legge (art. 51 c.p.) con la conseguenza che doveva escludersi qualsiasi carattere di antigiuridicità dello stesso.


Osserva il Collegio: i primi tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono fondati nei limiti di seguito indicati.


La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto gravemente diffamatorio un comportamento tenuto dal Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti per avere nel provvedimento di adozione del provvedimento a carico del giornalista D.P., espresso riserva di esaminare in un secondo tempo i giudizi che erano stati espressi da Guido RIVOLTA su altra giornalista Z.R., il quale aveva reso la sua testimonianza "al fine di minarne la credibilità come testimone".


Ad avviso del Collegio, i giudici di appello non hanno esaminato la vicenda sottoposta al loro esame sotto il profilo dell'eventuale scriminante di cui all'art. 51 c.p. (quella dell'esercizio di un diritto o adempimento di un dovere).


I ricorrente hanno precisato che tale riserva costituiva semplicemente atto prodromico alla eventuale apertura di un procedimento disciplinare a carico del RIVOLTA. E che dunque la stessa doveva ritenersi necessitata, in conseguenza dei poteri disciplinati affidati al Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti.


Tale profilo della questione non è stato minimamente affrontato dalla Corte territoriale, la quale invece ha preferito soffermarsi su altri aspetti, del tutto marginali se non addirittura irrilevanti ai fini della decisione.


1) Ad avviso del Collegio costituisce circostanza del tutto ininfluente, sotto tale aspetto, l'esito del procedimento disciplinare svoltosi a carico del RIVOLTA, il quale (come ricorda lo stesso controricorrente, dapprima sanzionato dal Consiglio dell'Ordine della Liguria con la censura, era stato definitivamente scagionato da ogni addebito in sede di Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti (il riferimento al Consiglio Forense, contenuto a pag. 3 della sentenza impugnata deve ritenersi evidente refuso dell'estensore).


2) Le osservazioni formulate dalla stessa Corte in ordine alla inutilità della formulazione - in via preventiva - di un capo di incolpazione in relazione al comportamento addebitato al RIVOLTA ("i giudizi espressi da RIVOLTA per iscritto su Z. R. al fine di minarne la credibilità come testimone") non colgono nel segno, poichè le stesse non colgono la portata e il contenuto dell'esercizio del potere disciplinare da parte del Consiglio dell'Ordine.


3) Analogamente deve dirsi per la qualificazione di "non indispensabilità" della riserva espressa dal Consiglio dell'Ordine di valutare in un secondo momento i giudizi espressi per iscritto dal RIVOLTA nei confronti della giornalista Z..


Si tratta, sempre ad avviso del Collegio, di aspetti del tutto marginali se non addirittura fuorvianti rispetto al nocciolo della questione, rimasto irrisolto anche a seguito della decisione di appello.


Sarebbe stato preciso onere dei giudici di merito stabilire se la riserva espressa dal Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti potesse trovare giustificazione nel procedimento adottato nei confronti del D.P. e nella apertura di nuovo procedimento disciplinare a carico del RIVOLTA.


A tale interrogativo non è data risposta alcuna nella sentenza impugnata, che si è limitata ad equiparare peraltro senza motivazione alcuna la riserva espressa dal Consiglio dell'Ordine di procedere eventualmente a carico del giornalista RIVOLTA ad una definitiva sua condanna, senza contraddittorio.


Tale argomentazione prova troppo ed ha, soprattutto, il difetto di equiparare una condanna all'avvio di un atto (dovuto) di contestazione di addebito in sede disciplinare.


In realtà, l'addebito rilevato dai giudici di appello al provvedimento del Consiglio dell'Ordine consiste nell'aver formulato sia pure genericamente - il "capo di imputazione" del quale il RIVOLTA avrebbe potuto essere chiamato a rispondere in sede disciplinare, nel caso in cui la istruttoria del procedimento disciplinare avesse portato ad un risultato passibile di sanzione. In buona sostanza, l'unico addebito rivolto al Consiglio del'Ordine consiste nel fatto di avere "formalizzato" l'eventuale "capo di imputazione" che avrebbe potuto essere mosso al giornalista RIVOLTA, e di avere dato pubblicità a tale notizia, nel provvedimento disciplinare adottato a carico del giornalista D. P..


Tuttavia, e anche sotto tale profilo si ravvisa il denunciato vizio di motivazione, i giudici di appello non hanno spiegato per quale ragione tale comportamento potesse costituire quasi una anticipazione del futuro giudizio e non hanno tenuto conto del fatto che il Consiglio dell'Ordine è tenuto per legge (n. 69 del 1963) ad esercitare il potere disciplinare nei confronti di tutti gli iscritti.


Seguendo il ragionamento svolto dalla Corte territoriale e fatte gli opportuni adattamenti a quanto accade nell'ambito del giudizio penale, dovrebbe concludersi che la richiesta dell'invio degli atti formulata in udienza dal Pubblico Ministero per l'eventuale esercizio dell'azione penale a carico di un imputato del dibattimento (per fatti non contestati) ovvero per procedere a carico di altro soggetto, non coinvolto in quel giudizio, costituirebbe sempre indebita anticipazione del giudizio, in quanto contenente una, sia pur implicita, affermazione della responsabilità penale annunciata ancor prima di qualsiasi accertamento, necessariamente da svolgersi nel contraddittorio tra le parti.


La argomentazione - del tutto infondata - non necessita di espressa confutazione.


In sostanza, può concludersi che, nel caso di specie, è mancata qualsiasi indagine, da parte della Corte territoriale, in ordine all'applicabilità dell'art. 51 c.p., all'esercizio del potere disciplinare da parte del competente Consiglio dell'Ordine. In altre parole i giudici non hanno affrontato il tema della possibile ricorrenza di una esimente applicabile anche in sede civile nel giudizio di risarcimento danni per diffamazione (Cass. 8 aprile 2003 n. 5505).


L'accoglimento dei primi tre motivi di ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata, con assorbimento degli altri motivi che riguardano la pubblicità data alla decisione del Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti del 22 novembre 1993 - contenente la "riserva" di trasmissione degli atti per gli accertamenti sulla correttezza della memoria inviata dal RIVOLTA in data 15 ottobre 1993 - ed il procedimento seguito dai giudici di appello per la quantificazione del danno.


 


Conclusivamente il ricorso deve essere accolto, con rinvio ad altro giudice che procederà a nuovo esame, alla luce dei principi sopra indicati, provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.


 


P.Q.M.


La Corte accoglie il primo, secondo e terzo motivo di ricorso (assorbiti il quarto e quinto motivo).


Cassa in relazione alle censure accolte e rinvia anche per le spese dinanzi alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.  


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VICENDA LOMBARDFIN.


Guido Rivolta contro l’Ordine


lombardo dei Giornalisti: la


Cassazione civile cancella la


sentenza della Corte d’Appello


 di Milano. Per i supremi giudici


il Consiglio dell’Ordine


in carica nel 1993  (Franco


Abruzzo presidente) ha


rispettato la legge professionale,


ha agito nell’adempimento


di un dovere (art.  51  Cp) e


non  ha leso l’immagine


del giornalista Guido Rivolta.


 


In allegato il testo del ricorso dei legali dei consiglieri dell’Ordine assimilabile a un “trattato” sulla legge professionale dei giornalisti.


 


La Cassazione in sostanza ha fatto propria la richiesta della difesa secondo la quale “Il provvedimento del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia doveva considerarsi valido, legittimo e incensurabile, anche perché funzionale, pertinente e non trasbordante dai limiti  della doverosa motivazione”. Il tribunale di Milano, nel giudizio di primo grado, aveva affermato che “l'Ordine è libero di valutare le prove  e anche l'attendibilità dei testimoni”.  (Leggi tutto in  http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=7356)


 


di Francesco M. De Bonis


 


 


 


 







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