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Stampa

GIORNALISTI: NON RIVELA FONTE,
CONDANNATA CRONISTA a 20 GIORNI
DI CARCERE, PENA SOSPESA,
MA HA ALTRO PROCEDIMENTO.
Il giudice era tenuto ad applicare
la giurisprudenza di Strasburgo,
che tutela il segreto di tutti i
giornalisti (professionisti e pubblicisti).
La Convenzione europea dei diritti
dell’Uomo è nella Costituzione Ue.

Palermo, 13 ottobre 2011.  La giornalista pubblicista Giulia Martorana, 51 anni, è stata condannata dal giudice monocratico di Enna a 20 giorni di carcere, pena sospesa, per favoreggiamento nei confronti di persona che ha violato il segreto d'ufficio. La cronista, che collabora con l'agenzia di stampa Agi e col quotidiano La Sicilia, aveva scritto articoli su una vicenda di violenze sessuali su due sorelline minorenni, nel 2008, ipotizzando che oltre a un indagato arrestato vi fossero altri indagati. Il pm voleva sapere chi le avesse detto che vi erano altre persone coinvolte nell'indagine. Martorana sarebbe stata condannata in quanto pubblicista e non giornalista professionista e quindi tenuta a rivelare la fonte. Martorana è indagata in un altro procedimento con la stessa ipotesi di reato. «Non è nel mio stile - dice Martorana - andare contro la magistratura. Il giudice ha applicato seppure rigidamente una norma. È quest'ultima che andrebbe cambiata e che non tutela i tanti pubblicisti che sono alla base dell'informazione in Italia in quanto impegnati in quotidiani, radio e tv come collaboratori in realtà spesso difficili».(ANSA).


GIORNALISTI. FNSI: SOLIDARIETÀ A CRONISTA CONDANNATA


Palermo, 13 ottobre 2011. «La Fnsi e l'Associazione siciliana della stampa profondamente preoccupati e rammaricati giudicano ingiusta e incomprensibile la condanna a 20 giorni di carcere della cronista Giulia Martorana, riconosciuta colpevole di avere dato una notizia vera e di avere rispettato le regole deontologiche della professione, rifiutando correttamente di rivelare la fonte della notizia stessa». Lo dice una nota del sindacato dei giornalisti. «La sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Enna - continua la nota - ripropone con forza il problema del doppio binario della professione giornalistica e della divisione, ormai anacronista, dei giornalisti tra professionisti e pubblicisti. Negare ai giornalisti pubblicisti le tutele deontologiche della professione mette in serio pericolo la libertà di informazione e il diritto costituzionale dei cittadini di essere correttamente informati. Il sindacato dei giornalisti sosterrà la collega Martorana in tutte le sedi per confermare e dimostrare la correttezza del suo serio comportamento e il totale rispetto delle regole e delle norme professionali e deontologiche, sollevando, tramite i propri legali, anche la questione di legittimità costituzionale di una legge che appare fuori dal tempo e dalla logica». «Auspichiamo - conclude la nota - che in sede di Appello i giudici vogliano tenere conto di queste evidenti ragioni, evitando le imposizioni e le restrizioni che svilirebbero lo svolgimento del già difficile mestiere di cronista specie nelle zone ad alta densità mafiosa e criminale. Al tempo stesso questa dolorosa e incomprensibile vicenda ripropone con forza il problema di una urgente e non più rinviabile riforma della legge istitutiva dell'Ordine dei giornalisti che oggi non è più in grado di rappresentare correttamente la realtà della professione». (ANSA)


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STRASBURGO – SENTENZE.


La Convenzione e la Corte


europea dei diritti dell’uomo


ampliano il diritto di  cronaca


(“dare e ricevere notizie”)


e proteggono il segreto


professionale dei giornalisti.


Il giudice nazionale deve tener conto


delle sentenze della Corte europea


dei diritti dell'uomo ai fini della


decisione, anche in corso di causa,


con effetti immediati e assimilabili


al giudicato: è quanto stabilito


dalla Corte di cassazione con la


sentenza n. 19985 del 30/9/2011.


(In coda la raccomandazione


R7/2000  sul segreto


professionale dei giornalisti


approvata dal Consiglio d’Europa).


 


Il Consiglio d’Europa, nella raccomandazione R(2000)7 sulla tutela delle fonti dei giornalisti, ha scritto testualmente: «L'articolo 10 della Convenzione, così come interpretato dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo, s'impone a tutti gli Stati contraenti». Su questa linea si muove il principio affermato il 27 febbraio 2001 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: ”I giudici nazionali devono applicare le norme della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo secondo i principi ermeneutici espressi nella giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo” (in Fisco, 2001, 4684). Questo assunto è condiviso pienamente dalla  Corte costituzionale: le sentenze di Strasburgo hanno un peso ineludibile  nel sistema giudiziario italiano. Si legge nella sentenza 39/2008 della Consulta: “Questa Corte, con le recenti sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, ha affermato, tra l'altro, che, con riguardo all'art. 117, primo comma, Cost., le norme della CEDU devono essere considerate come interposte e che la loro peculiarità, nell'ambito di siffatta categoria, consiste nella soggezione all'interpretazione della Corte di Strasburgo, alla quale gli Stati contraenti, salvo l'eventuale scrutinio di costituzionalità, sono vincolati ad uniformarsi…Gli Stati contraenti  sono vincolati ad uniformarsi alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo dà delle norme della Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’Uomo)”. Dal 1°  dicembre 2009 la Carta dei diritti fondamentali della Ue e  la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) fanno parte della Costituzione europea (Trattato di Lisbona) e sono direttamente applicabili dai giudici e dalle autorità amministrative italiani.


 


di  FRANCO ABRUZZO


(dal 1989 al 2007 presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia)


(Leggi tutto in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=4546)


 


 





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