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Dibattito e riflessione. Guardando in faccia la morte attraverso le immagini dei media.
I media non possono ormai più sottrarsi alla dittatura delle foto. Solo i lettori potrebbero imporre uno stop, non comperando nè guardando i media che contengono foto sgradite. Decretando il crollo momentaneo del media. Ma sappiamo che ciò non accade. Il cittadino ancora non usa lo strumento potente che in mano, quello di negare diritto di parola a chi ne fa un cattivo uso, sia televisivo che cartaceo. I giornalisti hanno sì delle regole deontologiche che riguardano le foto raccapriccianti, ma la soglia viene ampiamente superata da una nuova realtà in cui il raccapriccio è sempre più grande. L’assuefazione è stato uno dei gradi problemi di questi ultimi anni. Oggi forse sta arrivando la saturazione, la nausea? Servono nuove riflessioni, nuove regole adeguate alla nuova potenza della tecnologia. Oggi con Gheddafi sembra rinascere dalle ceneri una qualche forma di pietas che viene da lontano, una pietas introiettata in una infanzia morale dell’umanità, quasi incarnata nelle mente di chi guarda. Un pensiero che va oltre la cultura, oltre l’attenzione, oltre la specificità di chi commenta. Inattesa è arrivata la consapevolezza? Questo pubblico non vuole più vedere volti sfatti insaguinati e rotti come quello di Gheddafi. Quelle immagini hanno persino riportato alla luce della memoria il cappio al collo di Saddam, i soldati imprigionati nelle gabbie in Irak e poi decollati. Per dare un contributo a questa riflessione abbiamo ripreso in mano due saggi di Susan Sontag, “Sulla Fotografia. Realtà e immagine nella nostra società” (Einaudi,
‘73), uno dei testi basilari per chi studia la fotografia, e “Davanti al dolore degli altri” (Saggi Mondadori, 2003), pubblicato trent’anni
dopo, sempre sulla questione delle immagini…………….
di Paola Pastacaldi, giornalista e scrittrice
Testo in allegato
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