Cinquantamila giornalisti che non hanno nessuna posizione all’ Inpgi perché, come osservava ieri Andrea Camporese, presidente dell’ Istituto di previdenza, ‘’o non lavorano o lavorano fuori dalle regole’’. E’ la faccia sommersa della professione giornalistica in Italia, di cui sarebbe molto utile, per avere un quadro completo della situazione, cercare di ricostruire i lineamenti con un lavoro di ricerca specifico.
Abbiamo lanciato questa ipotesi ieri mattina, in occasione della presentazione dell’aggiornamento della Ricerca sulla professione giornalistica in Italia, che si è tenuta nel salone della Federazione della stampa, chiedendo specificamente al presidente nazionale dell’ Ordine, Enzo Iacopino, di progettare una analisi su questo tema.
Il dibattito però si è concentrato sulla questione del lavoro autonomo e del ‘’precariato’’ (tutti dicono di detestare il termine, ma nessuno ne può fare a meno perché la sua valenza negativa rimane molto efficace per indicare il fenomeno) mentre le questioni relative alla faccia sommersa della professione non sono state nemmeno sfiorate.
Crediamo invece che sia importante avere un quadro completo, perché in parte quei 50.000 sommersi in qualche modo pesano anche sul mercato del lavoro giornalistico in Italia e quindi rilanciamo qui la proposta di avviare una indagine sul pubblicismo in Italia.
Di quei 50.000 sommersi sappiamo infatti solo che sono prevalentemente pubblicisti e che una parte di loro – quelli con più di 15 anni di iscrizione all’ Ordine – restano iscritti a vita, senza dover dimostrare, in occasione delle verifiche periodiche che gli ordini regionali sono tenuti a compiere, di continuare a fare lavoro giornalistico retribuito. Lavoro per cui d’ altra parte si sarebbe tenuti ad iscriversi alla cosiddetta Inpgi2 (relativa al lavoro non subordinato).
Per legge (Decreto legislativo 103 del 1996) l’iscrizione all’Inpgi 2 è infatti obbligatoria da parte di tutti i giornalisti che svolgono attività professionale senza vincolo di subordinazione indipendentemente dall’ entità del reddito prodotto e dal numero di collaborazioni effettuate. E questo vale per tutti i tipi di rapporti, sia che l’ attività professionale venga svolta con partita IVA, sia in maniera occasionale oppure tramite cessione del diritto d’ autore.
D’ altronde, come hanno segnalato i titoli delle notizie dedicate alla presentazione del nostro Rapporto, quello che colpisce di più è proprio la invisibilità di metà dei giornalisti italiani e riteniamo che l’ Ordine nazionale abbia tutto l’ interesse a ricostruire in maniera più approfondita la composizione di una così grossa fetta dei suoi iscritti.
La prossima settimana si terrà a Roma (8,9 e 10 novembre) una riunione del Consiglio nazionale dell’ Ordine in cui fra l’ altro verrà portato in discussione il testo della Carta di Firenze. In quella sede riproporremo la richiesta di avviare una indagine: naturalmente con la collaborazione degli ordini regionali, il cui contributo è essenziale.
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Per quanto riguarda invece il dibattito pubblichiamo qui sotto la ricostruzione a cura di Redattore sociale
GIORNALISMO. CARRA: LAVORARE PER MENO DI 5 EURO LEDE DIGNITÀ.
“Non possiamo più accontentarci di statistiche e numeri, un collaboratore non è considerato nemmeno un lavoratore, una persona che lavora per meno di 5 euro non è neanche una persona a quel punto”. E’ quanto ha affermato il deputato Enzo Carra, relatore alla Camera della proposta di legge sull’equo compenso giornalistico, commentando la ricerca di Lsdi nel corso della giornata europea contro il precariato nelle professioni “Stand up for journalism”. Il disegno di legge Moffa prevede, tra l’altro, di concedere l’erogazione di contributi pubblici soltanto a quegli editori che non sfruttano i giornalisti. “Che questa legge possa essere da apripista per altre. E’ stata firmata da esponenti della maggioranza” ha detto Carra. La Commissione Cultura della Camera dei Deputati nella seduta del 25 ottobre 2011 ha adottato il testo definitivo del disegno di legge volto a promuovere l’equità retributiva nel lavoro giornalistico. Il testo è stato trasmesso alle Commissioni parlamentari competenti per l’espressione del parere necessario anche ai fini dell’eventuale trasferimento in sede legislativa.
“L’accelerazione della legge in Parlamento è stata conseguenza di una tragedia – ha spiegato il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti Enzo Iacopino – il presidente della Camera, invitato a riflettere dopo il suicidio del collega Pierpaolo Faggiano sulla giungla in questa professione, si è fatto carico della proposta di legge”. Iacopino ha precisato che “la linea dell’Ordine è la chiusura di alcune scuole e la non apertura di altre”. Il prossimo 8 novembre il Consiglio nazionale dell’Ordine discuterà l’approvazione della Carta di Firenze sul precariato, che prevede la sanzionabilita’ dei redattori e direttori che permettono lo sfruttamento dei colleghi collaboratori. Ma la Carta è gia’ sotto attacco nelle stanze del potere del giornalismo italiano.
“In queste settimane c’è chi sta tentando di avvelenare i pozzi per recuperare 4 miserabili preferenze per le elezioni dell’Inpgi. Noi non stiamo facendo questa battaglia contro i colleghi prepensionati – ha detto Iacopino – Non è morale che i colleghi pensionati siedano alla stessa scrivania facendo lo stesso lavoro che facevano prima. In molte testate, il comitato di redazione non si accorge che il sito internet è pieno di colleghi prepensionati. Visto che i Cdr non se ne accorgono, ho chiesto all’Inpgi di fornire i nomi dei colleghi prepensionati, sono dati pubblici, ho chiesto di fornire la documentazione relativa all’esistenza di contribuzione dopo l’andata in pensione degli stessi colleghi. Ma perché un editore deve assumere un giovane a 3.000 euro, ovvio che non lo inserirà mai se può far fare la stessa cosa a un collega che seguiva il senato al quale fa un contratto di mille euro. Incoraggiamo quest’opera di chiarezza”.
Il segretario dell’Fnsi, il sindacato unitario dei giornalisti, Franco Siddi ha affermato in apertura dell’iniziativa che “il lavoro autonomo raramente è un lavoro vero, spesso è precario, in altri casi vergognoso è il compenso dato dagli editori a fronte di prestazioni quotidiane, la professione è in crisi ed è in difficoltà”. A peggiorare le cose si aspetta una nuova crisi in arrivo nel 2012. “Lo sviluppo non c’è, è fermo e rischia di diventare drammatico nel corso del prossimo anno – ha detto Franco Siddi – se nei prossimi sei mesi dovesse arrivare lo tsunami pubblicitario, questa professione sarà investita da situazioni molto difficili”. Per il segretario del sindacato dei giornalisti “Il collaboratore giornalista che si affida alla mano di dio dell’editore che fa quello che vuole”. La professione giornalistica è in crisi come dimostra il calo dell’occupazione.
“Gli occupati stabili sono diminuiti, nel saldo entrate uscite abbiamo 200 contrattualizzati in meno quest’anno per la prima volta, l’occupazione non cresce- ha concluso – La solidarietà interna sempre difficile è oggi indispensabile. Quando scoppiano le crisi e anche quando ci sono posizioni di vantaggio, la categoria non è molto propensa ad occuparsi attivamente in termini solidali di chi è massacrato nel lavoro”. (www.lsdi.it)
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GIORNALISTI: 110MILA
tra professionisti e pubblicisti.
IN INPGI MENO DELLA
METÀ VISIBILI (“hanno una
posizione Inpgi”). DATI 2010
della RICERCA di LSDI.
CRESCONO gli AUTONOMI,
REDAZIONI INVECCHIANO.
I giornalisti attivi sono scesi al 44,5%, pari a 44.906 iscritti, di cui circa 25.011 nel lavoro autonomo e 19.895 in quello subordinato. Franco Siddi: “Non c'è posto per tutti”. La ricerca mostra che oltre il 62% dei freelance dichiarano meno di 5.000 euro annui.
(In http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=7585)
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