Milano, 18 novembre 2011. Cruciale importanza hanno nei piani del premier Mario Monti le liberalizzazioni, a partire da quella degli ordini professionali. A tal proposito ha detto nel discorso al Senato: “Occorre anche rimuovere gli ostacoli strutturali alla crescita, affrontando resistenze e chiusure corporative. In tal senso, è necessario un disegno organico, volto a ridurre gli oneri ed il rischio associato alle procedure amministrative, nonché a stimolare la concorrenza, con particolare riferimento al riordino della disciplina delle professioni regolamentate, anche dando attuazione a quanto previsto nella legge di stabilità in materia di tariffe minime”. Uno slogan di qualche anno fa (era il 2009) fatto proprio da tanti giovani diceva: “Voglio un’Italia dove per accedere a una professione non devo combattere con caste, corporazioni ed esami di Stato”. Forse il momento buono di svecchiare su questo fronte il nostro Paese è arrivato. Le idee di Mario Monti, per 10 anni commissario europeo anche all’Antitrust, sono note. E sono note anche quelle del suo braccio destro, Antonio Catricalà, presidente fino a pochi giorni fa dell’Agcm (Antitrust) e oggi sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio. Le riforme fatte con il dl 138/2011 e con la legge 183/2011 non bastano (in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=7691).
Ho sotto gli occhi un titolo del Sole 24 Ore del 22 novembre 2009: “Catricalà: abilitati con la sola laurea”. Secondo il presidente dell'Antitrust si potrebbe pensare «di rendere la laurea immediatamente abilitante, sfruttando l'anno in più del corso universitario per fare la pratica e sostenere l'esame di Stato nella stessa seduta di laurea». L’articolo 33, V comma, della Costituzione vuole l’esame di Stato per l’accesso all’esercizio delle professioni intellettuali. L’esame di Stato può tranquillamente essere incorporato nell’esame di laurea. Questa svolta presuppone che le Università si attrezzino per far svolgere la pratica nel biennio della laurea magistrale. Gli aspiranti avvocati, gli aspiranti giornalisti o commercialisti o consulenti del lavoro non dovrebbero aspettare i 26-28 anni per accedere all’Albo. Sarebbe una rivoluzione, che ha i suoi nemici annidati nelle corporazioni attuali.
Per quanto riguarda i giornalisti, la riforma Mussi del 2007 consente di istituire il corso di laurea magistrale in giornalismo al quale possono accedere non solo i laureati triennali in Scienze della Comunicazione.
Fra il giugno e il luglio 2007 la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato due decreti fondamentali del Ministero dell’Università che ridisegnano, a partire dall’anno accademico 2008/2009, i corsi degli Atenei italiani (testi in http://www.mcreporter.info/normativa/dmuir070316.htm):
a) il primo decreto ministeriale (16 marzo 2007 - GU n. 155 del 07.06.2007) fissa la “determinazione delle classi delle lauree universitarie” (con un percorso triennale e con un massimo di 20 esami). Le classi sono 43 tra le quali figura al punto L-20 quella definita “SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE”. La laurea si consegue con 180 crediti;
b) il secondo decreto ministeriale (16 marzo 2007- GU 09.07.07, n. 157) fissa la “determinazione delle classi di laurea magistrale” (con un percorso biennale e con un massimo di 12 esami) tra le quali – le lauree magistrali sono 94 - spicca al punto LM-19 la “Classe delle lauree magistrali in INFORMAZIONE E SISTEMI EDITORIALI”. La laurea magistrale si consegue con 120 crediti.
La “Classe delle lauree magistrali in INFORMAZIONE E SISTEMI EDITORIALI” contiene una “NOTA PER L'ATTIVAZIONE DI CORSI PREORDINATI ALL'ACCESSO ALLA PROFESSIONE GIORNALISTICA”. Questa nota dice: “In riferimento a quanto stabilisce l'art. 10, comma 4 del DM 270/2004, i corsi della classe magistrale preordinati all'accesso alle professioni giornalistiche sono istituiti nel rispetto di quanto stabilito dalle disposizioni vigenti per l'accesso alle predette professioni, devono essere a numero programmato e devono prevedere una selezione iniziale per titoli ed esami”.
Potranno iscriversi al corso di laurea magistrale non solo i laureali triennali in “Scienze della Comunicazione”. L’articolo 6 del decreto sulle laurea magistrale sul punto specifica:
“1. I regolamenti didattici dei corsi di laurea magistrale determinano i requisiti curricolari che devono essere posseduti per l'ammissione a ciascun corso di laurea magistrale, ai sensi dell'art. 6, comma 2 del decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270. Eventuali integrazioni curricolari in termini di crediti formativi universitari devono essere acquisite prima della verifica della preparazione individuale di cui al comma 2.
“2. Il regolamento didattico di ateneo fissa le modalità di verifica della adeguatezza della personale preparazione ai fini dell'ammissione al corso di laurea magistrale, ai sensi dell'art. 6, comma 2 e dell'art. 11, comma 7, lettera f), del predetto decreto ministeriale.
“3. L'ordinamento didattico di ciascun corso di laurea magistrale può prevedere una pluralità di curricula al fine di favorire l'iscrizione di studenti in possesso di lauree differenti, anche appartenenti a classi diverse, garantendo comunque il raggiungimento degli obiettivi formativi del corso di laurea magistrale”.
Esiste una seconda via, la laurea magistrale in Scienze politiche a indirizzo giornalistico abilitante alla professione di giornalista. E’ esistita alla Università di Perugia tra il1930 e il 1934. Potrebbe essere recuperata. Ne parliamo qui sotto.
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Voce “Giornale” della Treccani.
Amicucci illustra la svolta
universitaria della professione
sotto il regime di Mussolini.
“Modello americano”
e ricerca di modernità
di durata breve (1930-1933)
Il giornalista abruzzese Cesare Amicucci fu il grande regista della stampa del regime fascista, segretario del “Sindacato unico fascista dei giornalisti” dal 1927 al 1932, poi direttore della “Gazzetta del Popolo” e infine del “Corriere della Sera” nel periodo 1943/1945. Amicucci fu nel 1926 il promotore del primo contratto di lavoro giornalistico riconosciuto giuridicamente, dell’Inpgi, di un ufficio di collocamento per i giornalisti disoccupati, del Rd 384/1928 sull’Albo dei giornalisti e, nel 1929, anche della Scuola fascista di giornalismo. “Con la scuola – scrive Eugenio Gallavotti in “La Scuola fascista di Giornalismo”, Sugar Edizioni 1982 - il sindacato di Amicucci intendeva completare l’irregimentazione dei giornalisti attraverso uno degli strumenti più congeniali al regime: l’educazione”. Amicucci nel 1926 aveva visitato la celebre scuola di giornalismo della Columbia University di New York, fondata nel 1903 da Joseph Pulitzer, e ne era rimasto affascinato. Amicucci ha compilato la voce “Giornale” dell’Enciclopedia Treccani (XVII volume), dove parla della “Scuola professionale di giornalismo” (voluta dal Sindacato e figlia del rd 2291/1929) e inaugurata nel gennaio 1930 a Roma (Piazza Colonna 366) da Bruno Bottai (ministro delle Corporazioni fino al 1932 e poi dell’Educazione nazionale, inventore nel 1926 dello Stato corporativo e leader, con Edmondo Rossoni, del “fascismo movimento” componente di sinistra del regime). Pubblichiamo l’ultima parte del saggio.
di Ermanno Amicucci
In Italia il primo passo verso un'istituzione giornalistica fu compiuto nel 1928, per interessamento dello stesso Sindacato nazionale dei giornalisti, con l'istituzione di una cattedra di “Storia del giornalismo” e di “Legislazione sulla stampa, interna e comparata” alla facoltà fascista di Scienze politiche presso 1' università di Perugia. Seguì l'istituzione di corsi speciali all'Università di Ferrara, all'Università cattolica di Milano e all'Università di Trieste. Nel gennaio del 1930 fu inaugurata a Roma la Scuola di giornalismo, fondata dal Sindacato nazionale fascista dei giornalisti e con l'interessamento dei ministeri delle Corporazioni e dell'Educazione nazionale. La scuola comprende un corso biennale d'insegnamento, superato il quale gli studenti ricevono un diploma che, esistendo anche gli altri requisiti prescritti dal regolamento per 1'albo professionale (regio decreto 26 febbraio 1928, n. 384), in virtù del regio decreto 21 novembre 1929 n. 2291, darà loro il diritto di essere iscritti nel ruolo dei giornalisti, senza i 18 mesi di pratica redazionale. Inoltre, gli studenti della Facoltà di Scienze politiche dell'università di Perugia, che vogliano conseguire la laurea “con indirizzo giornalistico”, devono frequentare per due anni, nei mesi di marzo, aprile,e maggio, le esercitazioni pratiche della Scuola di giornalismo di Roma, ottenendone un certificato di compiuto tirocinio. Con questo avranno la laurea che li abilita all'iscrizione nell'albo dei giornalisti e quindi all'esercizio della professione.
Achille Starace (segretario
del Pnf) premuto dagli
editori e dai giornalisti
napoletani chiude la
Scuola. E’ il 23 giugno 1933
Dalla scuola di Roma sono usciti giornalisti di prestigio come Vittorio Gorresio, Mario Pannunzio e Ugo Indrio. L’iniziativa, però, non era piaciuta agli editori, che dal 1932 erano obbligati dal contratto (l’ultimo firmato da Amicucci) ad assumere giornalisti professionisti e, quindi, anche gli allievi della Scuola di Roma e i laureati in Scienze politiche a indirizzo giornalistico di Perugia. Gli editori – che volevano riprendersi l’arbitrio di fare i giornalisti a prescindere dai titoli di studio - trovano ascolto in Achille Starace neosegretario del Pnf dal 1931. L’occasione per concludere la partita, come racconta Gallavotti, fu offerta ai primi del 1933 da Arturo Assante, segretario del sindacato napoletano dei giornalisti e poi direttore del “Mattino”, che bolla la Scuola come “inadeguata”. Il segretario del Sindacato unico fascista dei giornalisti, Aldo Valori, decide di chiudere la Scuola “dopo la constatazione dell’impossibilità di provvedere ai mezzi finanziari occorrenti”.
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A PREOCCUPARE LE CATEGORIE È LA LAUREA ABILITANTE (IDEA DI CATRICALÀ)
La riforma delle professioni accelera
Il riordino tra le priorità. Ma su tariffe e pubblicità già oggi non ci sono più vincoli
di Ignazio Marino – ItaliaOggi 18/11/2011
La riforma delle professioni accelera. E non tanto perché la legge di stabilità indica in 12 mesi il tempo per intervenire sulla disciplina ordinistica. Ma più che altro perché, con il nuovo esecutivo affidato a Mario Monti, le liberalizzazioni (comprese quelle sui servizi professionali) sono in cima alle priorità. Come annunciato dallo stesso premier proprio ieri presentando il programma di governo. «Per la crescita del Paese-, ha detto, «occorre rimuovere gli ostacoli strutturali, affrontando resistenze e chiusure corporative. In tal senso, è necessario un disegno organico, volto a ridurre gli oneri ed il rischio associato alle procedure amministrative, nonché a stimolare la concorrenza, con particolare riferimento al riordino della disciplina delle professioni regolamentate, anche dando attuazione a quanto previsto nella legge di stabilità in materia di tariffe minime.. Considerando che l'ex commissario europeo Antitrust sarà aiutato in questa operazione di restyling dal braccio destro Antonio Catricalà, oggi sottosegretario alla presidenza del consiglio ma fino a ieri garante della concorrenza da sempre critico nei confronti degli ordini, le preoccupazioni fra i rappresentanti di categoria non mancano. Ma l'ammodernamento del comparto potrebbe essere meno doloroso di quanto molti si attendono. Se non altro perché su tariffe e pubblicità (da sempre nei pensieri di Monti) sono stati tolti tutti i vincoli. Dunque da dove si riparte? ItaliaOggi ha ripercorso quanto fatto in materia di professioni e quanto potrebbe restare da fare per il duo Monti-Catricalà.
Le priorità del premier. La battaglia di Monti, durante il suo mandato da commissario europeo fra il 2000 e il 2004, è stata essenzialmente quella di dimostrare che nei paesi dove i professionisti hanno meno regole si produce maggiore ricchezza. Fu uno studio affidato dallo stesso Monti ad un istituto di ricerca indipendente di Vienna a dimostrare che 17talia era uno di quei paesi con il più alto tasso di regolamentazione (si veda ItaliaOggi del 22/03/2003), in buona compagnia della Grecia. Due essenzialmente i punti critici del nostro sistema: le tariffe minime inderogabili e il divieto di farsi pubblicità per i professionisti. Da quel momento un pressing sul governo italiano al fine di eliminare tali vincoli. L'ex commissario, a ogni modo, non è mai stato un sostenitore dell'intervento drastico sulle professioni (si ricorderà che le liberalizzazioni di Bersani furono approvate in una notte) per aggirare le resistenze delle lobby. Non a caso durante una conferenza sulla regolamentazione dei servizi professionali, sempre nel 2003 a Bruxelles,
affidava direttamente agli ordini il compito di autoriformarsi (si veda ItaliaOggi de129/11/2011). Tuttavia, nel 2006 con
le lenzuolate del governo Prodi saltano i vincoli su tariffe e pubblicità. Oggi il compenso sui servizi è affidato totalmente al mercato e i professionisti possono promuovere la loro attività. Cosa resta da fare allora? Monti, da editorialista del Corriere della Sera, ritorna a occuparsi di professioni il 6/2/2011 per ricordare che il governo greco nell'affrontare la sua crisi economica ha proceduto ad abolire le tariffe minime, il numero chiuso, le restrizioni territoriali e il divieto di farsi concorrenza con la pubblicità. Sottolineando anche che la riforma del governo Papandreou affida agli ordini il compito di dimostrare che, in certi casi, le restrizioni sono necessarie. In una ipotetica riforma Monti, dunque potrebbero saltare il numero chiuso (oggi esistente solo per l'ordine dei notai) e le restrizioni territoriali (oggi esistenti per farmacisti, notai e avvocati).
Le priorità di Catricalà. Qualche insidia in più per gli ordini potrebbe rappresentarla Antonio Catricalà. Da sempre convinto che quella professionale è un'attività commerciale, da garante non è mai andato particolarmente d'accordo con i rappresentanti delle categorie. Rarissime le sue apparizioni nei congressi professionali quanto scontate le polemiche dopo le sue uscite a favore di una maggiore liberalizzazione del mercato dei servizi. In questi anni, sostanzialmente, da presidente' dell'Agcm ha difeso i provvedimenti varati da Bersani dai tentativi legislativi di aggirarli (come nel caso della resistenza dei geologi in nome del decoro) o di riportare il sistema al passato (come nel caso della riforma forense nella parte in cui prevedeva il ritorno ai minimi tariffari inderogabili). Ma il nuovo sottosegretario non ha mai nascosto il suo desiderio di vedere l'abilitazione professionale passare non più dall'esame di stato ma dalla laurea abilitante (ai veda ItaliaOggi del 24/03/2009). Potrebbe rispolverare la sua idea oggi, se non fosse che la manovra di Ferragosto (legge 148/2011) nel buttare le basi della riforma fra le poche cose che salva dell'esistente c'è proprio l'esame di stato.
L'eredità ricevuta. In definitiva, quello che Monti e Catricalà ricevono in eredità dalla citata legge di stabilità è qualcosa che si avvicina a una sorta di delega in bianco a intervenire ulteriormente sulle professioni. Visto che si affida a un dpr il compito di riformulare tutta la disciplina ordinistica. Qui l'insidia maggiore, visto che gli ordini potrebbero essere azzerati. Ma anche qui c'è da fare i conti con quello che diversi rappresentanti di categoria criticano come «un eccesso di delega» che quasi sicuramente sarà impugnato.
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Giovanni Puglisi
(Rettore Iulm):
“Via il valore legale
della laurea. Abolire
gli esami di Stato”
In http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=8278
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