A soli tre mesi dall’approvazione del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 (cosiddetta Manovra bis 2011), la legge 12 novembre 2011, n. 183 (cosiddetta legge di stabilità 2012) interviene nuovamente e in maniera ancora più incisiva sul tema della liberalizzazione delle attività professionali e della riforma dei relativi ordini.
In via preliminare, rispetto alla trattazione e all’esame di quello che è risultato essere l’oggetto delle ultime modifiche operate, è opportuno soffermarsi su quelli che sono stati gli iniziali interventi ad opera della Manovra bis 2011.
In particolare, l’articolo 3, del decreto legge 138/2011 contempla(va) una serie di disposizioni volte ad eliminare quelle restrizioni al libero accesso ed esercizio delle attività economiche e delle professioni, definite dal titolo stesso della norma come "indebite".
L’intento perseguito era (ed è) quello di cristallizzare, in tal modo, per via legislativa, il principio generale della libertà d’impresa sotto un duplice profilo: da un lato, prevedendo un vero e proprio obbligo, in capo agli Enti Pubblici, di adeguare i propri ordinamenti a tale principio con l’obiettivo di eliminare qualsiasi ostacolo che potesse (e possa) in qualche modo incidere in senso negativo sulla libertà d’impresa; dall’altro, prevedendo l’affermazione dello stesso principio con riferimento all’accesso e all’esercizio delle attività economiche (ivi comprese quelle professionali). Proprio con riferimento a queste ultime, il comma 5, dell’articolo 3, del decreto legge 138, provvede in primis a confermare l’esame di Stato per l’accesso alle professioni regolamentate, coerentemente con quanto previsto dall’articolo 33, comma 5, della Costituzione, secondo il quale, appunto, ai fini dell’ottenimento dell’abilitazione all’esercizio dell’attività professionale, è prescritto il sostenimento di un esame di Stato.
Ma non solo. La disposizione de qua, infatti, prevede, in linea generale, che l’accesso alla professione è libero e il suo esercizio è fondato e ordinato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica del professionista. Unica eccezione prevista - rigorosamente in forza di una disposizione di legge- è quella relativa alla limitazione del numero di persone che sono titolate ad esercitare una certa professione in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica unicamente qualora detta limitazione numerica o territoriale risponda a ragioni di interesse pubblico e non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalità o, in caso di esercizio dell’attività in forma societaria, della sede legale della società professionale (articolo 3, comma 5, lettera a).
Principio generale, quello così individuato, al quale gli ordinamenti professionali sono chiamati a conformarsi, altresì in presenza di disposizioni contrarie: si prevede, infatti, la massima libertà del singolo professionista nella scelta dei settori di attività in cui svolgere la professione, nonché la completa autonomia del medesimo nel proprio modus operandi, nonché nella organizzazione della propria attività, sempre, ovviamente, nel rispetto delle norme di legge.
Opportuno, in tal senso, è il richiamo alla su richiamata ”indipendenza di giudizio” del professionista, la quale diventa dunque, a questo punto, un preciso diritto-dovere in relazione al concreto svolgimento dell’attività: da un lato, cioè, la professione non potrà (più) essere vincolata da norme ordinamentali che limitino tale indipendenza di giudizio (ad esempio prevedendo sanzioni regolamentari connesse a legittime scelte operative effettuate dall’iscritto), dall’altro, poi, il corretto esercizio della stessa - conformemente alle nuove disposizioni - comporterà per lo stesso iscritto l’obbligo di astenersi da comportamenti che a loro volta limitino tale indipendenza nello svolgimento dell’incarico, come ad esempio in presenza di conflitti di interesse, ovvero in presenza di posizione di subordinazione economica o psicologica rispetto al cliente o rispetto ai terzi.
Orbene, accanto a tale previsione di carattere generale, poi, si rinviene, nell’ambito dello stesso articolo 3, l’obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente - predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali - pena la comminazione di una sanzione da illecito disciplinare (lettera b).
Ma ancora. In funzione dell’accesso alle professioni sono previste nuove disposizioni in materia di tirocinio: quest’ultimo, infatti, dovrà conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attività formativa, nonché il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione (lettera c). In sostanza, gli ordinamenti professionali dovranno prevedere adeguate forme di controllo sull’attività dei tirocinanti, al fine di garantire la corretta formazione teorico pratica degli stessi, oltre che per evitare quelle distorsioni che vedono l’utilizzo del tirocinante alla stregua di un “mero” impiegato, poco o mal pagato.
Inoltre, a detta del più volte richiamato articolo 3, in capo al professionista incorre l’obbligo di stipulare idonea assicurazione a garanzia dei rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale (lettera e).
Infine, si prevede ampia libertà con riferimento alle modalità della pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni e i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio e i compensi delle prestazioni, laddove, in ogni caso, le informazioni devono in ogni caso rispettare i criteri della trasparenza, della verità, della correttezza, senza dunque risultare equivoche, ingannevoli e denigratorie (lettera g).
E’ dunque in tale quadro normativo di completa innovazione, nonché di totale rivisitazione di quella che è la regolamentazione della disciplina degli ordini professionali, che si collocano le ulteriori integrazioni e modifiche introdotte con la legge di stabilità 2012, e precisamente con l’articolo 10 di quest’ultima, rubricato, appunto, “Riforma degli ordini professionali e società tra professionisti”, in vigore dal 1° gennaio 2012.
Innanzitutto, la disposizione appena richiamata prevede che alla riforma degli ordinamenti professionali, già prevista dal decreto legge 138/2011, si dovrà procedere entro il termine di 12 mesi decorrenti dalla data di entrata in vigore del decreto legge n. 138 citato, con decreto del Presidente della Repubblica, dunque con una norma avente natura regolamentare.
Successivamente, gli interventi più significativi della legge di stabilità riguardano, da un lato, la totale eliminazione dell’obbligo di utilizzazione delle tariffe professionali nella fissazione del compenso, e, dall’altro, la possibilità, per i professionisti, di costituire società - sia di persone, sia di capitali - per l’esercizio di attività professionali regolamentate.
Per quanto riguarda il primo punto, ovvero l’eliminazione dell’obbligo delle tariffe, tale previsione è contenuta nell’ambito del comma 12, dell’articolo 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (cosiddetta legge di stabilità 2012). Tale disposizione, prevedendo espressamente l’espunzione, dall’articolo 3, comma 5, del decreto legge 138/2011, di ogni riferimento nella determinazione del compenso, alle tariffe professionali, evidenzia il preciso intento del legislatore di cessare di considerare queste ultime come criterio di riferimento e, nel contempo, di mirare a valorizzare il principio consensuale nella determinazione delle medesime.
Occorre tuttavia segnalare come le tariffe restino in ogni caso richiamate dalle successive disposizioni della lettera d), del comma 5, articolo 3 citato, con riferimento ai casi di liquidazione giudiziale, al caso in cui il committente risulta essere un ente pubblico, ovvero nel caso in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse dei terzi.
Con riferimento, invece, alla questione - tanto innovativa quanto rilevante - relativa alla possibilità, per i professionisti, di organizzarsi in forma societaria, l’articolo 10, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183, ha previsto, appunto, che “è consentita la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libero V del codice civile”.
A partire dal 1° gennaio 2012, dunque, i lavoratori autonomi la cui attività professionale risulti essere regolamentata potranno esercitare l’attività professionale scegliendo la forma giuridica più adatta alle proprie esigenze: potrà essere utilizzata la forma della società semplice, delle associazioni professionali, così come uno dei modelli societari regolati dal libro V, titoli V e VI, del codice civile, ovvero la forma della società in nome collettivo, in accomandita semplice, di capitali, o anche della società cooperativa.
Le ragioni dell’intervento normativo risultano evidenti nella relazione di accompagnamento. Il divieto alla costituzione delle predette società, attualmente in vigore nel nostro ordinamento, si pone, infatti, in contrasto con i principi comunitari, laddove, del resto, in più di una occasione è altresì intervenuto l’Antitrust per sollecitarne la rimozione.
Tuttavia, le nuove disposizioni di legge, che vedono il loro ingresso in un momento di crisi del Paese e dell’Europa tutta, al fine di contrastare con maggiore efficacia la concorrenza di professionisti che operano in altri Paesi UE prevedono delle limitazioni alla propria attuazione. Trattasi, più precisamente, di specifici presupposti necessari e imprescindibili al fine di permettere ai lavoratori autonomi di dar vita (correttamente) a un organismo di diritto societario per l’esercizio dell’attività professionale.
Il primo di tali presupposti è contenuto nella previsione per la quale la denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l’indicazione di “società tra professionisti”.
Inoltre, è altresì stabilito che i relativi statuti dovranno prevedere:
•a) l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci;
•b) l’ammissione, in qualità di soci, dei soli professionisti iscritti a ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli Stati membri UE, purché in possesso del titolo di studio abilitante, ovvero soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o con una partecipazione minoritaria, o per finalità di investimento, fermo il divieto, per tali soci, di partecipare alle attività riservate e agli organi di amministrazione della società medesima;
•c) criteri e modalità affinché l’esecuzione dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione professionale richiesta; la designazione del socio professionista sia compiuta dall’utente e, in mancanza di tale designazione, il nominativo debba essere previamente comunicato per iscritto all’utente;
•d) le modalità di esclusione dalla società del socio che sia stato cancellato dal rispettivo albo con provvedimento definitivo. I commi 6, 7 e 8, dell’articolo 10 citato, infine, ribadendo la necessità, sia per i soci professionisti, sia per la società, di osservare, rispettivamente, il codice deontologico del proprio ordine e il regime disciplinare dell’ordine al quale la società risulti iscritta, specificano altresì, come la partecipazione a una società professionale sia da ritenersi incompatibile con la partecipazione ad altra società tra professionisti e dunque preclusiva della stessa, laddove, per converso, una medesima società tra professionisti può essere costituita anche per l’esercizio di più attività professionali.
in: http://www.professionisti.it/frontend/articolo/837/La-legge-di-stabilita-2012-e-le-novita-sugli-Ordini-professionali
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