Il secondo comma dell’articolo 21 della Costituzione afferma che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. La stampa, aggiunge la Consulta, “vive soprattutto attraverso l'opera quotidiana dei (giornalisti) professionisti”. Ormai è maturo il tempo perché i giornalisti siano inseriti nella Costituzione per dare forza vincolante alla loro autonomia e alla loro indipendenza. Nella carta fondamentale va scritto che i giornalisti sono soggetti soltanto alla Costituzione e alla deontologia professionale e che la loro attività, regolata dalle norme sull’ordinamento professionale, è vigilata dai Consigli dell’Ordine o dai Consigli di disciplina (di prossima istituzione). L’Antitrust, sbagliando, ha affermato che soltanto gli avvocati e i medici sono nella Costituzione (con riferimento agli articoli 24 e 32, che parlano del diritto di difesa e del diritto alla salute), dimenticando l’articolo 21 (I e II comma) che ingloba il giornalismo professionale. I giornalisti manifestano il pensiero per professione. La stampa è fatta, alimentata, progettata e creata dai giornalisti professionisti. “L'esperienza dimostra – ha scritto la Corte costituzionale nella sentenza n. 11/1968 - che il giornalismo, se si alimenta anche del contributo di chi ad esso non si dedica professionalmente, vive soprattutto attraverso l'opera quotidiana dei professionisti. Alla loro libertà si connette, in un unico destino, la libertà della stampa periodica, che a sua volta è condizione essenziale di quel libero confronto di idee nel quale la democrazia affonda le sue radici vitali”.
La Costituzione e la Corte costituzionale disegnano, quindi, una professione giornalistica come professione della libertà. “Quella libertà che - come ha scritto Mario Borsa - prima di essere un diritto è un dovere”. Il monito di Mario Borsa, - giornalista liberale, corrispondente per lunghi anni del “Secolo” da Londra, combattente della libertà negli anni della dittatura fascista e poi direttore del “Corriere della Sera” nel 1945/1946 -, recuperato da Walter Tobagi con un saggio pubblicato nel 1976 (su “Problemi dell’informazione”), è questo: “Dite sempre quello che è bene e che vi par tale anche se questo bene non va precisamente a genio ai vostri amici; dite sempre quello che è giusto, anche se ne va della vostra posizione, della vostra quiete, della vostra vita. Siate dunque indipendenti e inchinatevi solo davanti alla libertà, ricordandovi che prima di essere un diritto la libertà è un dovere”.
Il secondo comma dell’articolo 21 va incrociato con il quinto comma dell’articolo 33 e con l’articolo 2 della Costituzione: “È prescritto un esame di Stato ...per l'abilitazione all'esercizio professionale” proclama l’articolo 33. Lo Stato, quindi, deve garantire i cittadini sulla preparazione dei giornalisti “all’esercizio professionale”. Su questa base il Parlamento ha stabilito (con la legge n. 69/1963) che esiste una professione di giornalista, che è stata poi organizzata, come prescrive l’articolo 2229 del Codice civile, con l’Ordine (giudice disciplinare e giudice delle iscrizioni) e l’Albo: “Non spetta alla Corte valutare l'opportunità della creazione dell'Ordine, perché l'apprezzamento delle ragioni di pubblico interesse che possano giustificarlo appartiene alla sfera di discrezionalità riservata al legislatore. Compete, invece, alla Corte accertare – si legge nella sentenza 11/1968 - se la riserva della professione giornalistica ai soli iscritti all'Ordine ed il modo in cui la legge ha disciplinato il regime dell'albo comportino la violazione del principio costituzionale - articolo 21 - che a tutti riconosce il "diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione": un diritto, come altre volte è stato detto (cfr. sent. n. 9 del 1965), coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione, inconciliabile con qualsiasi disciplina che direttamente o indirettamente apra la via a pericolosi attentati, e di fronte al quale non v'è pubblico interesse che possa giustificare limitazioni che non siano consentite dalla stessa Carta costituzionale”. La Corte costituzionale ha risposto ai suoi stessi quesiti, affermando (nella sentenza 11/1968) che non osta al principio della libera manifestazione del pensiero il fatto che i giornalisti siano così organizzati, anche perché l’Ordine ha il «compito di salvaguardare, erga omnes e nell'interesse della collettività, la dignità professionale e la libertà di informazione e di critica dei propri iscritti».
La legge istitutiva dell’Ordine (n. 69/1963), realizzando un proposito espresso fin dal 1944 dal legislatore democratico (art. 1 del D.L. Lt. 23 ottobre 1944, n. 302), disciplina l'esercizio professionale giornalistico e non l'uso del giornale come mezzo della libera manifestazione del pensiero: essa – come si legge nella sentenza n. 11/1968 della Consulta - non tocca il diritto che a "tutti" l'articolo 21 della Costituzione riconosce: “Questo sarebbe certo violato se solo gli iscritti all'albo fossero legittimati a scrivere sui giornali, ma è da escludere che una siffatta conseguenza derivi dalla legge”. Ha scritto ancora la Consulta: “Chi tenga presente il complesso mondo della stampa nel quale il giornalista si trova ad operare o consideri che il carattere privato delle imprese editoriali ne condiziona le possibilità di lavoro, non può sottovalutare il rischio al quale è esposto la sua libertà né può negare la necessità di misure e di strumenti a salvaguardarla. Il fatto che il giornalista esplica la sua attività divenendo parte di un rapporto di lavoro subordinato non rivela la superfluità di un apparato che si giustificherebbe solo in presenza di una libera professione, tale il senso tradizionale. Quella circostanza, al contrario, mette in risalto l'opportunità che i giornalisti vengano associati in un organismo che, nei confronti del contrapposto potere economico del datori di lavoro, possa contribuire a garantire il rispetto della loro personalità e, quindi, della loro libertà: compito, questo, che supera di gran lunga la tutela sindacale del diritti della categoria e che perciò può essere assolto solo da un Ordine a struttura democratica che con i suoi poteri di ente pubblico vigili, nei confronti di tutti e nell'interesse della collettività, sulla rigorosa osservanza di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla”.
La Consulta ha superato anche le riserve sul praticantato con questo ragionamento: “La Corte osserva che, se è vero che ove il soggetto interessato non trovi un giornale che lo assuma come praticante egli non potrà mai intraprendere la carriera giornalistica, è altrettanto vero che neppure il giornalista iscritto può svolgere la sua attività professionale se non trova un editore disposto ad assumerlo: il che dimostra che ci si trova di fronte a conseguenze che non derivano dalla legge in esame, ma dalla struttura privatistica delle imprese editoriali, nell'ambito della quale la non discriminazione può essere assicurata soltanto dalla concorrenza della molteplicità delle iniziative giornalistiche”. Oggi la presenza di 15 scuole di giornalismo, riconosciute dall’Ordine, hanno attutito di molto le polemiche sull’accesso alla professione. In via teorica si può anche sostenere che l’esame di Stato possa essere incorporato nell’esame di laurea, dando vita a una laurea abilitante all’esercizio della professione di giornalista (con il praticantato, quindi, circoscritto al secondo anno della laurea specialistica).
L’Ordine dei giornalisti associa i giornalisti, che danno vita così a una “formazione sociale” meritevole della tutela di cui all’articolo 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Il ruolo “costituzionale” è assegnato ai giornalisti a tutela non degli interessi della categoria professionale ma della collettività, che a sua volta, come detto, ha “un interesse generale all'informazione” riconosciuto dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, che dal 1° dicembre 2009 fa parte della Costituzione europea (Trattato di Lisbona). E’ di importanza strategica per una società democratica il diritto fondamentale dei cittadini all’informazione (“corretta e completa”). Questo diritto fondamentale presuppone la presenza e l’attività di giornalisti vincolati a un percorso formativo universitario (come impongono la direttiva comunitaria n. 89/48/CEE e il comma 18 dell’articolo 1 della legge n. 4/1999), a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare nonché a un esame di Stato, che ne accerti la preparazione come prevede appunto l’articolo 33 (V comma) della Costituzione.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 1/1981, ha riconosciuto “il rilievo costituzionale della libertà di cronaca (comprensiva della acquisizione delle notizie) e della libertà di informazione quale risvolto passivo della manifestazione del pensiero, nonché il ruolo svolto dalla stampa come strumento essenziale di quelle libertà, che è, a sua volta, cardine del regime di democrazia garantito dalla Costituzione”. Concludendo, si può affermare che le disposizioni legislative ordinarie in vigore e riguardanti i giornalisti sono già oggi a contenuto costituzionalmente vincolato. La presenza nella legge 69/1963 di una norma sulla deontologia dei giornalisti favorisce l'esercizio del «diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero» ed è sufficiente per far ritenere che l'ordinamento della professione di giornalista sia essenziale per la tutela del diritto costituzionale dei cittadini all’informazione ove quella norma sia coordinata anche con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e con il “Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica” (Alleato A del dlgs 196/2003- Codice in materia di protezione dei dati personali).
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La professione (italiana)
di giornalista
è pienamente riconosciuta
dall’Unione europea.
In coda le direttive comunitarie sull’argomento e il decreto sulle misure compensative per i giornalisti stranieri, che vogliono esercitare la professione in Italia. Dovranno studiare 11 materie - analisi di Franco Abruzzo
In http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=5828
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data 30 novembre 2011