Il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti preliminarmente rileva la peculiarità della professione giornalistica da intendersi come strumento di democrazia fondato sull'art. 21 della Costituzione, e finalizzato a garantire il diritto all'informazione dei cittadini, indispensabile per effettuare scelte libere e consapevoli.
Rispetto ad altre professioni regolamentate, quella giornalistica non si riflette in attività di tipo economico a servizio di una c.d. clientela la quale, nelle intenzioni riformatrici, si vorrebbe tenere indenne dai possibili danni causati dal libero professionista.
Tale prospettiva va tenuta presente in relazione alle disposizioni che concernono le restrizioni di cui all'art. 3, comma 5, lettere da a) a g) del citato decreto-legge, che sono oggetto dei regolamenti riformatori la cui entrata in vigore è stabilita a decorrere dal 13.08.2012.
Fatta questa doverosa premessa e insistendo nell'esclusione della categoria dei giornalisti dall'applicazione della suindicata norma riformatrice in considerazione della ratio che essa persegue (libera concorrenza tra attività economiche professionali e tutela della clientela), si indicano di seguito alcune linee guida applicative dei principi riformatori stabiliti dalla legge 148/2011, che appaiono compatibili con la peculiare situazione della professione giornalistica.
ACCESSO ALLA PROFESSIONE (art. 3, comma 5, lett. a).
Il principio perseguito dalla legge è quello di garantire il libero accesso alla professione, senza porre limitazione alcuna legata alla territorialità dell'esercizio professionale, alla nazionalità dell'esercente o al numero di coloro che possono svolgere una data professione. Orbene, l'accesso alla professione giornalistica - così come formulato attualmente - è in tutto e per tutto compatibile con tale principio di diritto, in quanto esso è libero. L'attuale composizione dell'Albo, formato dall'Elenco dei Professionisti e dall'Elenco dei Pubblicisti, in particolare, non è di alcun ostacolo al perseguimento della funzione principale della professione che consiste - si ribadisce - nella salvaguardia del diritto del cittadino ad un'informazione libera ed indipendente.
Ferme restando l'unicità dell'Albo e la permanenza dei due elenchi, l'accesso alla professione di giornalista professionista dovrà, quindi, continuare ad avvenire tramite il tradizionale canale del praticantato (già previsto dalle norme in 18 mesi) all'interno di un'azienda giornalistica e tramite la frequenza di una scuola riconosciuta dall'Ordine. Ulteriori forme di tirocinio professionalizzante potranno essere programmate all'interno di corsi universitari di specializzazione post laurea, in grado di garantire un'adeguata formazione previa convenzione con l’Ordine.
Ipotesi di concentrazione dell'accesso potrebbe essere quella che a far data dall'entrata in vigore del decreto presidenziale, tutti gli aspiranti giornalisti sosterranno l'esame di Stato, superato il quale potranno scegliere se restare nell'Elenco Professionisti o passare in quello Pubblicisti non possedendo il requisito dell'esclusività professionale. Tale meccanismo della temporanea sospensione è già previsto oggi dalla legge ordinistica.
Per sostenere l'esame di Stato sarà necessario possedere una laurea (o aver superato un esame di cultura generale) e aver svolto un tirocinio di 18 mesi. Le forme di tirocinio saranno individuate in un regolamento e potranno essere le più svariate: praticantato tradizionale, frequenza master dell'Ordine; frequenza corsi universitari specializzanti; sistematica collaborazione retribuita a periodici e quotidiani.
Per le eventuali dinamiche contributive è da verificare la possibilità di un “contributo annuale di solidarietà” da parte dei giornalisti professionisti dipendenti, per sostenere i prevedibili maggiori costi di gestione e la contrazione delle iscrizioni.
FORMAZIONE PERMANENTE (art. 3, comma 5, lett. b).
Il principio, da introdursi nella regolamentazione riformatrice, persegue l'obiettivo di stabilire un obbligo di aggiornamento, contravvenendo il quale il professionista incorre in una specifica responsabilità disciplinare. In coerenza con quanto stabilito all'interno del citato decreto-legge, la formazione permanente dovrà essere coordinata dal Consiglio nazionale mediante appositi regolamenti, sarà obbligatoria – stante l'unicità dell'Albo – per tutti gli iscritti, e avverrà mediante l'attribuzione di crediti.
TIROCINIO (art. 3, comma 5, lett. c).
Le vigenti disposizioni ordinamentali sono in linea con le previsioni riformatrici che indicano un periodo di tirocinio retribuito di 18 mesi (il c.d. praticantato giornalistico).
Nell’ottica di favorire ulteriormente le possibilità di accesso per l’esercizio della professione, tenuto conto della grave situazione del settore editoriale che sta riducendo ai minimi storici le forme di praticantato contrattuale, si evidenzia la possibilità di introdurre forme di tirocinio nei termini di cui sopra per ipotesi di collaborazioni giornalistiche retribuite, sotto la vigilanza dell’Ordine e accompagnate da percorsi formativi regolamentati dall’Ordine stesso.
Tali percorsi vanno nell’immediato riservati a quanti, iscritti tra i pubblicisti, traggono dall’attività giornalistica la loro fonte primaria di sostentamento.
ABOLIZIONE DELLE TARIFFE (art. 3, comma 5, lett. d).
La professione giornalistica si esercita prevalentemente in forma subordinata o parasubordinata e solo in misura ridotta in maniera autonoma. Essa, pertanto, non è legata all'applicazione di tariffe. La disciplina attuale prevede la possibilità della pubblicazione di un tariffario di riferimento che peraltro è stato sospeso dal Consiglio nazionale già da qualche anno. Importante è la determinazione di un equo compenso per le collaborazioni a società editoriali sulla base della proposta di legge all'esame del Parlamento in applicazione dell'art. 36 della Costituzione.
ASSICURAZIONE (art. 3, comma 5, lett. e).
A differenza delle professioni tradizionali (notai, avvocati, commercialisti), il giornalista non ha una clientela privata verso cui opera e da cui è chiamato a rispondere in termini di controprestazione economicamente apprezzabile. Ha, invece, un datore di lavoro che ne utilizza le energie psico-fisiche per realizzare un prodotto editoriale da cui ricavarne un reddito. Obbligare, pertanto, il giornalista a sottoscrivere una polizza assicurativa per i danni professionali appare una richiesta abnorme in considerazione del particolare svolgimento della professione e altresì illogica in considerazione del fatto che di regola i possibili danni sono tendenzialmente coperti dalla società editoriale per contratto. Il principio paradossalmente inciderebbe negativamente sull'esercizio della professione considerato che i costi dei premi assicurativi sono particolarmente esosi (dai preventivi inviati al Consiglio nazionale, il costo mediamente richiesto dalle compagnie assicurative per una garanzia minima, si aggira intorno ai 1.500,00 Euro annui). Inoltre, il rischio tipico della professione - ossia l’eventuale diffamazione – è caratterizzato dall’elemento soggettivo del c.d. dolo che è generalmente escluso dalle condizioni contrattuali di risarcibilità. Appare quindi necessario escludere dall’obbligo assicurativo coloro che prestano attività giornalistiche nei confronti di editori.
CONSIGLI DI DISCIPLINA (art. 3, comma 5, lett. f).
La norma conferisce ai costituendi “Consigli territoriali e nazionali di disciplina”, il potere giustiziale in materia di sanzioni disciplinari. Rimangono, invece, in capo ai Consigli regionali e nazionale le funzioni amministrative di competenza e quelle relative al giudizio (in primo e secondo grado) per iscrizioni e cancellazione degli iscritti. Evidente, in questo senso, è la volontà di separare la funzione giustiziale da quella amministrativa al fine di garantire al professionista incolpato di violazioni disciplinari un giudizio autonomo ed indipendente.
Ciò detto, fermo restando che è la norma stessa che implicitamente stabilisce che i componenti del collegio di disciplina debbono possedere lo status di giornalista, laddove espressamente prevede un'incompatibilità tra la carica di consigliere territoriale o nazionale e quella di componente dei suddetti consigli, la proposta applicativa del principio si articola attraverso la regolamentazione:
1) della modalità di individuazione dei componenti;
2) della fissazione del loro numero;
3) di ulteriori elementi finalizzati a garantire terzietà e celerità nelle decisioni.
1) Modalità di individuazione dei componenti. Con riferimento alle modalità di individuazione dei componenti, al fine di garantire autonomia al collegio, si propone la nomina dei membri dei collegi di disciplina da parte rispettivamente dei Consigli regionali di riferimento e del Consiglio nazionale, analogamente a quanto oggi accade per la scelta della componente giornalistica nei Collegi integrati istituiti presso i Tribunali e le Corti d'appello e competenti sulle impugnazioni delle delibere del CNOG. Nel regolamento attuativo potrà essere eventualmente specificato che, al fine di svolgere il compito di giudicante, sarà necessario il possesso di alcuni requisiti: si pensi, ad esempio, un’anzianità professionale minima, un’esperienza precedente come consigliere regionale o nazionale, un’adeguata formazione, ecc.
Un'ipotesi alternativa è rappresentata dall'elezione contestuale dei consiglieri dell'Ordine e dei Consigli di disciplina e l’attribuzione anche per i consigli territoriali di disciplina della Presidenza ad un magistrato.
2) Fissazione del numero dei componenti. Al fine di garantire celerità nelle decisioni ed economicità di spesa, si propone una composizione dei collegi regionali proporzionale al numero degli iscritti, individuando – se del caso – due classi (sino a... e oltre…) di Ordini ovvero componenti effettivi e supplenti; per il Consiglio nazionale di disciplina si propone una composizione tra i 15 ed i 21 componenti e l’eventuale suddivisione per sezioni.
Alternativamente si può prevedere un abbassamento del numero dei componenti dei Consigli di disciplina sino a 12, compreso il presidente, evitando la suddivisione in sezioni. I Consigli territoriali potrebbero essere formati, invece, da 8 componenti con la possibilità di Sezioni aggiuntive, sempre da 8 componenti ciascuna e con proprio presidente, in ragione di una ogni 8.000 iscritti. L'assegnazione delle pratiche avverrebbe in ordine alfabetico (A-L alla I Sezione; M-Z alla eventuale II sezione).
3) Ulteriori elementi finalizzati a garantire terzietà e celerità nelle decisioni. Accanto alla già stabilita incompatibilità tra la carica di consigliere regionale o nazionale e quella di componente del collegio territoriale o nazionale di disciplina, al fine di garantire ulteriormente l'indipendenza del collegio, il regolamento attuativo dovrebbe prevedere l'obbligo di astensione dalla votazione per il consigliere relatore e un limite massimo di reiterazione della nomina (ad esempio, due mandati consecutivi), nonché l’incompatibilità con qualsiasi carica rivestita in organismi sindacali e istituzioni pubbliche e private della categoria. Eventualmente si potrebbe stabilire che, a presiedere il Collegio nazionale di disciplina, potrebbe essere chiamato un magistrato scelto dal presidente della Corte d'appello di Roma. Auspicabile per una logica riduzione delle spese e in un'ottica di riforma complessiva dell'Ordine che la durata temporale del mandato sia pari a quattro anni.
Tenuto conto della particolare funzione svolta dal giornalismo e della protezione di cui gode il cittadino in relazione all’art. 21 della Costituzione, l’intervento riformatore potrebbe prendere in considerazione l’istituzione del “Garante del lettore”, figura di emanazione delle componenti della società civile, con compiti di segnalazione di eventuali comportamenti non conformi alla deontologia professionale, prevedendo l’eventualità di una partecipazione in qualità di osservatore ai lavori dei consigli di disciplina.
La riforma relativa alla distinzione tra funzioni di amministrazione e di disciplina determina la necessità di rivedere anche le modalità di organizzazione, la composizione e le procedure elettorali dei Consigli regionali e nazionale dell’Ordine, il coordinamento tra i Consigli, ecc.
Necessaria appare anche l’introduzione delle votazioni con sistemi elettronici al fine di garantire la più ampia partecipazione degli iscritti.
Tale revisione dovrebbe essere oggetto di un regolamento di emanazione del Consiglio nazionale dell’Ordine, approvato dal Ministero vigilante.
PUBBLICITA' INFORMATIVA (art. 3, comma 5, lett. g).
Il principio riguarda marginalmente la categoria dei giornalisti e non pone particolari problematiche attuative. La possibilità di effettuare pubblicità informativa coinvolge, infatti i giornalisti che lavorano autonomamente e che possono, in questo modo, promuovere la loro attività professionale o eventualmente le società professionali tra giornalisti.
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Si evidenzia, da ultimo, che l'art. 10 della legge n. 183/2011, commi 3-12, ha consentito la costituzione di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile, verso cui non sussistono particolari perplessità in ordine alla loro applicazione per le possibili società tra giornalisti, fermo restando che il socio di capitale non deve essere di maggioranza. Come stabilisce la citata normativa, i professionisti soci sono tenuti all'osservanza del codice deontologico dell'Ordine dei giornalisti, così come la società è soggetta al regime disciplinare dell'Ordine al quale è iscritta.
Tutte le leggi varate nel 2011 sul nuovo assetto degli Ordini sono in
http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=7691