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Analisi di Nicola Borzi.
INPGI: L’EFFETTO
DEMOGRAFICO
SUI PREZZI
IMMOBILIARI
POTREBBE
ABBATTERE
I VALORI DEL
70% IN 40 ANNI

Care colleghe, cari colleghi, la scelta di far investire il 46,2% circa del patrimonio INPGI (700 milioni di euro a valori di bilancio) in immobili è molto rischiosa. Rischiosissima. Perché quei 700 milioni di euro di patrimonio (che a valori di mercato secondo il bilancio 2010 “valgono” il 59,35% circa dell’intero patrimonio) nei prossimi 40 anni potrebbero vedere il loro valore ridursi anche del 70 per cento.


Non lo dice il sottoscritto: lo dice un approfondito studio economico della Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank for International Settlements, BIS – www.bis.org)   pubblicato ad agosto 2010 che esamina l’impatto dell’invecchiamento della popolazione sulla domanda di immobili di una ventina di Paesi, quindi il suo effetto sui prezzi di mercato degli stessi. Lo ha sintetizzato, meglio di me, il collega Vittorio Carlini in un articolo pubblicato per Il Sole 24 Ore online il 5 agosto 2010 (lo trovate in basso).


Non è detto – tenetelo bene a mente - che l’impatto dell’andamento demografico si realizzi. Non è detto perché, come dimostra lo stesso studio, questa forza era già in azione nei decenni scorsi e ha limitato la corsa del mercato immobiliare italiano, che però è stata comunque imponente (ma occorre anche ricordare che lo studio prende in esame l’ultimo periodo di rialzi dei prezzi, che dal 2009 sono andati in flessione).


Di questi temi ho scritto per il mio settimanale sin dal 2008, come dimostrano i miei articoli in basso.


C’è, comunque, un rischio rilevante sul patrimonio immobiliare di ciascun italiano, di ogni ente previdenziale e quindi anche dell’INPGI. Non pare dunque fuori luogo la richiesta della ministra Fornero che ha chiesto a tutte le casse previdenziali di elaborare un bilancio attuariale a 50 anni.


Non pare dunque fuori luogo chiedere al presidente Camporese, ai componenti del Consiglio di Amministrazione, ai sindaci, ai membri del Comitato investimenti, ai consulenti di investimento e agli attuari dell’INPGI se la “stima interna, condotta all’inizio dell’anno 2011 sul patrimonio esistente al 31/12/2010”, che “ha definito in circa 1.279,840 milioni il valore complessivo di mercato degli immobili di proprietà” (come spiega il bilancio INPGI 2010 a pagina 17) ha preso in considerazione anche questi fattori che sono sempre più rilevanti in tutti gli studi finanziari sui rendimenti attesi per le diverse classi di investimento nel lungo periodo. Non pare dunque fuori luogo chiedere perché si continui a investire in modo molto accentuato sul mattone, accrescendo quindi la concentrazione di rischio su una sola asset class.


Speriamo che almeno in questo Camporese & C. si degnino di fornire una risposta a tutti i colleghi e le colleghe che contribuiscono all’INPGI in un’ottica di lunghissimo periodo, per la loro vecchiaia, appunto.


Care colleghe, cari colleghi,


Ricordatevi di queste cose quando andrete a votare per il rinnovo degli organismi dell'INPGI!


(qui http://www.inpgi.it/?q=node/923 tutte le informazioni)


Nicola Borzi -  


Plus24 - Il Sole 24 Ore


Candidato numero 8 per la lista "PROFESSIONISTI PER L'INPGI"


Consiglio generale Attivi - Circoscrizione Lombardia


Il Sole 24 Ore


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La popolazione invecchia? Azioni e case perdono valore


di Vittorio Carlini


Il Sole 24 ore - 5 agosto 2010


Da giovani, dopo aver conquistato un lavoro, si consuma di più. La casa, magari il matrimonio. Insomma, la propensione alla spesa supera quella al risparmio. Poi, le cose cambiano: bisogna pagare le rate del mutuo; si pensa a come "ingrassare" la magra futura pensione. Così, mettere da parte i soldi diventa la priorità.


Già negli anni '50 Franco Modigliani aveva proposto un modello sui consumi personali legati all'eta delle persone. All'analisi si sono aggiunte le idee di altri importanti economisti: tra gli altri, il nobel Paul Samuelson. Tutte teorie che tentano di spiegare come l'età delle persone influenza la propensione al consumo (o al risparmio): i giovani, in linea di massima, sono compratori; gli anziani, in line di massima, i risparmiatori.
Lo studio della Bank of international settlement
Oggi, proprio basandosi su quei modelli,
alcuni ricercatori della Bank of international settlement (Bis) hanno pubblicato uno studio dove viene mostrato come l'invecchiamento della popolazione
ha un impatto negativo sui prezzi degli asset finanziari e immobiliari. Certo, le variabili che influenzano le quotazioni sono molte; certo, il discorso varia da stato a stato. Tuttavia, un trend di fondo si può riscontrare.
Gli economisti della Bis, ricordando che esiste un forte legame tra gli asset finanziari e l'housing, hanno analizzato i prezzi delle case dal 1970 al
ben 22 stati. Ebbene è saltato fuori che, per esempio negli Stati Uniti, quando i baby boomers sono arrivati nell'età (giovani neo-assunti) dell'acquisto i prezzi sono saliti: secondo le stime, negli ultimi 40 anni, l'impatto è stato di una crescita aggiuntiva delle quotazioni del 40% (80 punti base l'anno). Al contrario, quando, la popolazione invecchia il trend cambia direzione e i prezzi calano.
Il metodo dell'analisi
«Due categorie di fattori - scrivono gli esperti - sono state messe al centro dell'analisi. La prima è legata all'economia reale, in particolare al cambiamento della ricchezza personale». I numeri della ricerca hanno mostrato che «a fronte di una crescita dell'1% del reddito procapite, corrisponde un analogo rialzo percentuale dei prezzi delle case». La seconda, invece, riguarda le dinamiche della popolazione nella sua totalità; gli economisti hanno, per prima cosa, definito un rapporto tra l'invecchiamento delle persone e il numero di coloro che hanno un'occupazione. E poi hanno individuato la correlazione di questo rapporto con il real estate. Ebbene, «la crescita di un punto percentuale del ratio "old to the working age population" implica un calo di circa il 2-3 per cento nelle quotazioni delle case». Insomma, il "peso" negativo sul valore degli asset in generale c'è, eccome.


La correlazione così trovata ha permesso agli studiosi, attraverso modelli statistici, di prevedere cosa possa accadere in futuro. Negli Stati Uniti, per esempio, l'invecchiamento di Mr e Mrs Smith «porterà entro 40 anni ad un impatto dei prezzi di circa il 30% - si legge nella ricerca- . L'effetto si farà sentire anche prima nell'Europa continentale». Sebbene, a dar retta ai numeri dello studio, l'impatto sarà minore: «In Germania dovrebbe essere del 20%, mentre in Italia potrebbe aggirarsi attorno al 40 per cento».
Già l'Italia. Proprio il Belpaese, dove l'immobiliare resiste e la popolazione invecchia, è la dimostrazione che l'influenza sulle quotazioni delle case non vuole dire automaticamente un calo dei prezzi in termini assoluti. L'effetto deflattivo, infatti, può essere controbilanciato da altri elementi. Da una domanda che, composta anche da richieste per seconde case, non è influenzata troppo dall'età del compratore.
In linea di massima, comunque, il legame scoperto dagli economisti della Bis non può essere trascurato.
Di recente, a causa della crisi, la propensione al risparmio degli americani è cresciuta, e di molto. Un fenomeno che preoccupa: da un lato, toglie benzina alla domanda aggregata; dall'altro, riduce il flusso di denari indirizzati verso investimenti più a rischio come, per esempio, le Borse. Proprio quest'ultimo legame tra titoli azionari e realtà è da sempre tenuto in forte considerazione. Nell'ultimo decennio i mercati si sono aperti al retail
; la loro crescita ha prodotto un aumento delle disponibilità di molti, con il relativo incremento della propensione al consumo. Cui si è aggiunto un ottimismo di fondo, che ha fatto da leva alla domanda aggregata. È il cosiddetto "effetto ricchezza".
In un simile contesto, se si aggiunge anche l'implicito calo degli asset finanziari dovuto all'invecchiamento della popolazione, la miscela diventa potenzialmente esplosiva. Uno scenario deflattivo/depressivo che deve essere assolutamente sfuggito.


http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-08-05/banca-regolamenti-popolazione-invecchia-094757.shtml?uuid=AY0lFDEC















Bank for International Settlements Working Papers



No 318



Ageing and asset prices


by Előd Takáts


Monetary and Economic Department


August 2010



 


http://www.bis.org/publ/work318.pdf?noframes=1


 


 


Dal Bilancio INPGI 2010


ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA
DEI GIORNALISTI ITALIANI


“Giovanni Amendola”


FONDAZIONE


Bilancio Consuntivo


Gestione Sostitutiva dell’A.G.O.


Esercizio 2010


Il contribuito più rilevante di tale risultato è da ricondurre alla gestione del patrimonio che ha realizzato mediamente un rendimento complessivo del 5,77%, calcolato sui valori iscritti in bilancio.


In particolare, il patrimonio immobiliare ha fatto registrare un rendimento netto pari al 2,69%, in leggera crescita rispetto a quello realizzato nell’anno precedente.


Il patrimonio mobiliare ha ottenuto un eccellente rendimento netto del 9,16% rispetto al 6,73% conseguito nell’anno 2009; ciò dimostra una sempre più attenta e corretta politica di gestione da parte dell’Istituto che ha operato senza trascurare il contenimento dei rischi.


A corollario di una positiva gestione finanziaria, il rendimento dei mutui e prestiti concessi agli iscritti ha realizzato un rendimento netto complessivo del 4,24%.


(pag. 7 Bilancio INPGI 2010)


 


IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI:


Si riporta di seguito la movimentazione del valore lordo intervenuta nel corso dell’esercizio espressa all’unità


di euro:


Per i fabbricati:



 


Il valore complessivo dei fabbricati d’investimento al 31/12/2010 è comprensivo delle seguenti rivalutazioni:


Rivalutazione di Euro 255,583 milioni deliberata dal Consiglio di Amministrazione in data 2 febbraio 1995 con atto n. 5;


Rivalutazione di Euro 41,121 milioni deliberata dal Consiglio di Amministrazione in data 29 aprile 1998 con atto n. 108.


Si rileva che nel corso dell’esercizio il portafoglio immobili risulta incrementato rispetto all’anno precedente per 3,383 milioni a seguito dell’acquisto dell’immobile sito in Roma – Corso V.Emanuele II, 349 – 1° piano.


 


(pag. 13 Bilancio INPGI 2010)


 


Ricordiamo inoltre che l’Istituto nell’anno proceduto ad una stima asseverata dell’intero patrimonio immobiliare, condotta sulla base del criterio comparativo cha ha tenuto conto delle quotazioni di mercato. Dall’esito di tale asseverazione è emerso che il valore di mercato del patrimonio immobiliare alla data del 31/12/2004 ammontava ad Euro 924,119 milioni, comprese le due sedi dell’Istituto. Una stima interna, condotta all’inizio dell’anno 2011 sul patrimonio esistente al 31/12/2010, ha definito in circa 1.279,840 milioni il valore complessivo di mercato degli immobili di proprietà.


(pag. 16 – 17 Bilancio INPGI 2010)


 


 


(pag. 37 Bilancio INPGI 2010)


 (pag. 38 Bilancio INPGI 2010)


 


06-09-2008


PLUS24 - IL SOLE 24 ORE


STORIA DI COPERTINA





















Il primo pilastro. L'impatto di crescita, inflazione e invecchiamento



L'insostenibilità delle rendite



Assegni di Stato al test-recessione e della riduzione della natalità



Nicola Borzi



 



«Tanto, quando avremo raggiunto l'età necessaria, la pensione pubblica non esisterà nemmeno più». Questo mantra, forse in funzione apotropaica, è tra i luoghi comuni che ricorrono più spesso nei discorsi di coloro che sono appena entrati o che si affacciano oggi sul mercato del lavoro. A basarsi sull'opinione delle giovani generazioni, insomma, la previdenza di Stato è tutt'altro che "sicura". Eppure, almeno secondo le analisi attuariali di finanza pubblica, non esiste alcun serio rischio di evaporazione della pensione di anzianità. Semmai – ed è piuttosto questo il vero dilemma – a creare apprensione sono le proporzioni del tasso di sostituzione.
Nel lessico arcano della previdenza, il tasso di sostituzione è la percentuale del reddito precedente garantita dalla pensione. Questo valore è destinato a variare nel tempo: chi va in pensione domani avrà un tasso di sostituzione sicuramente superiore a chi raggiungerà i requisiti previdenziali tra dieci, venti o trent'anni. Già, perché il tasso di sostituzione non è un dato immutabile, ma cambia – e cambierà – in funzione della sostenibilità finanziaria per il bilancio dello Stato della spesa previdenziale. Un dato, questo, sul quale giocano tre ordini di fattori: economici, demografici e politici.
Prendiamo, per esempio, la tabella pubblicata in alto. Si tratta delle stime più recenti, realizzate nel 2007 dagli esperti della Ragioneria generale dello Stato del ministero delle Finanze , sull'evoluzione del tasso di sostituzione netto della previdenza pubblica e complementare rispetto al reddito personale. Stime che riguardano un periodo lunghissimo, dal 2005 alla metà del ventunesimo secolo. Un periodo talmente esteso rende arduo effettuare stime attendibili, perché le ipotesi sui dati economici possono essere molto lontane dalla realtà. Nel caso della tabella, i principali indicatori macroeconomici considerati sono il tasso di variazione nominale della produttività per occupato (stimato al 3,65%), il tasso di inflazione (2%), il tasso di crescita del Pil nominale (3,45%). Ma anche l'aliquota contributiva per la previdenza complementare (6,91%, pari al Tfr) e il tasso di rendimento reale lordo dei fondi pensione (3%). Sin d'ora possiamo affermare che nel 2008 sarà impossibile rispettare i parametri relativi a crescita del Pil e inflazione e che anche molti fondi pensione non riusciranno a rendere il 3%. La tabella mostra comunque una previsione di calo del tasso di sostituzione nel tempo.
Questa riduzione è legata al secondo ordine di problemi, la demografia. Propriodemografia ci conduce alla terza variabile: le scelte di politica previdenziale che saranno necessarie per gestire il difficile equilibrio dei fondi pubblici. La riforma Dini del 1995 indicava nel 2005 l
'anno di revisione dei coefficienti di trasformazione (la percentuale del montante contributivo – il capitale che il lavoratore ha accumulato negli anni lavorati – che "diventa" pensione). Nel 2005 la revisione non è stata fatta e, secondo voci di stampa, l'intervento potrebbe essere effettuato all'inizio dell'anno prossimo. Un altro tassello di instabilità da considerare. Problemi a fronte dei quali il fatalismo pessimista di molti di certo non aiuta, anzi nasconde una grande insidia: quella di non progettare per tempo il proprio futuro previdenziale.
Nicola
Borzi

nicola.borzi@ilsole24ore.com
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http://www.epheso.it/
Quanta pensione si avrà domani


07-11-2009


PLUS24 - IL SOLE 24 ORE


STORIA DI COPERTINA
























DEMOGRAFIA & FINANZA



Risparmio, affare da anziani



L'invecchiamento deprimerà i rendimenti Le contromosse per gli investitori



Nicola Borzi



 



«Quello non è un paese per vecchi». Non si occupava di finanza né di demografia William B. Yeats: quando pubblicò "Navigando verso Bisanzio", nel 1928, il poeta irlandese premio Nobel aveva 63 anni e si descriveva come «misera cosa, un lacero cappotto su un bastone». Il mondo contava due miliardi di persone con alti tassi di fertilità e un'aspettativa media di vita che, in Occidente, raggiungeva appena i 55 anni. L'anno dopo, il crack di Wall Street avrebbe svelato il legame tra finanza e demografia: la Grande Depressione avrebbe ridotto la nuzialità e la fertilità fino al baby boom seguito alla Seconda Guerra mondiale. Ottant'anni dopo, quel rapporto è più attuale che mai: la recessione deprime la natalità, già in crisi, mentre la popolazione mondiale di 6,7 miliardi ha un'aspettativa media di vita di 66 anni e mezzo che in Occidente supera abbondantemente i 78. La schiera dei babyboomers, ormai in pensione e in ottima salute (niente a che vedere con Yeats), possiede ricchezze sconosciute alla generazione dei suoi padri ma tra i suoi figli sono sempre di meno quelli che possono contare su lavori stabili e salari decenti. In Italia, in Occidente e tra breve anche in Cina l'incipit di Yeats è ormai ribaltato: «Questo non è un paese per giovani». Molti si preoccupano dell'effetto dell'invecchiamento globale sulle pensioni: ma quale sarà l'impatto sui risparmi e la ricchezza delle famiglie? E come ci si può mettere al riparo?
L'età è una variabile rilevante per la salute finanziaria delle famiglie. In Italia e negli Usa i nuclei più ricchi sono quelli con i capifamiglia più anziani, più istruiti e con un lavoro indipendente. Se dopo la pensione negli Usa i risparmi si azzerano e anzi il patrimonio accumulato viene eroso (ad esempio dagli home equity loans che estraggono valore dalla casa), in Europa (ma non in Olanda) e in Italia invece gli anziani continuano ad accumulare, spesso più da pensionati che non durante l'età lavorativa.
Ma due anni di crisi hanno lasciato un segno profondo. Negli Usa gli anziani hanno pagato meno dei giovani lo scoppio della bolla immobiliare e il tonfo delle Borse, come mostrato da un'analisi recente della Brookings Institution. Dal luglio 2007, quando Wall Street era ai massimi, al marzo scorso, quando ha toccato i minimi, subprime e crack dei listini hanno ridotto i patrimoni delle famiglie statunitensi di 13mila miliardi di dollari, il 15% del totale. Anche in Italia la recessione pesa su reddito e propensione al risparmio, come segnala l'Istat. Banca d'Italia stimava che gli investimenti reali delle famiglie a fine 2007 pesassero per il 60% della loro ricchezza lorda (5.570 miliardi di euro, per l'82% case) e quelli finanziari il 40% (3.652 miliardi): i nuclei con capofamiglia pensionati possedevano oltre la metà degli asset finanziari, 1.850 miliardi, investiti per il 51% circa in titoli di Stato. Se nel primo semestre 2008 i tonfi delle Borse hanno ridotto la somma del 6%, i prezzi delle case in Italia invece tengono.
Nel breve periodo, dunque, la crisi ha distrutto ricchezza e, con i tassi di interesse ai minimi storici, ha aumentato da domanda di rendimenti sicuri da parte dei risparmiatori. Ma nel lungo periodo sarà la
demografia
a mandare in crisi rendimenti e sicurezza degli investimenti. Gli economisti studiano da anni le ricadute dell'invecchiamento globale. I catastrofisti abbracciano la teoria dell'"asset meltdown", il collasso del valore di intere classi di investimenti sotto la pressione delle vendite scatenate dalla necessità dei babyboomers di liquidare il patrimonio per recuperare redditi falcidiati dal calo delle pensioni. Un'ipotesi che pare confutata dal fatto che, almeno sinora, gli anziani non disinvestono – tranne, come visto, negli Usa e in Olanda – ma anzi continuano ad accumulare. Tutti, comunque, prevedono un calo dei rendimenti per il mix di invecchiamento, contrazione della crescita della forza lavoro e aumento delle masse di risparmio. Senza che, paradossalmente, il rischio venga ridotto.
Quanto sarà ampio il calo dei rendimenti? Uno studio olandese pubblicato a ottobre stima che la contrazione sarà graduale e si situerà tra lo 0,5% e l'1% in meno al 2050. Ma potrebbe accelerare se la forza lavoro non crescerà, se la domanda di pensioni aumenterà e se la crescita di Cina e India dovesse far defluire da questi paesi enormi flussi finanziari. Anche un'altra analisi, presentata il mese scorso dal Congressional Budget Office, la divisione di studi economici del Parlamento di Washington, prevede che nei prossimi 75 anni la frenata della forza lavoro Usa dovrebbe ridurre i tassi medi di circa l'1,8%. Sembrano pochi decimali. Non se comparati con i rendimenti dei fondi pensione: nei sei anni dal 2003 e 2008 secondo la Covip in Italia quelli negoziali hanno reso il 2,78% annuo, quelli aperti l'1,58% e il Tfr il 2,68 per cento. Ma ha senso spingere tanto in là le previsioni? E quale può essere la loro accuratezza? La prudenza è d'obbligo. Perché, come avverte lo stesso Cbo, mentre l'invecchiamento globale deprimerà i tassi, l'aumento dei deficit pubblici dovuto agli oneri previdenziali e sanitari crescenti di una società anziana li aumenterà. Se la finanza dovrà misurarsi sempre più con gli over 65, meglio cominciare a tenerne conto sin da giovani. Perché solo chi alzerà presto le vele, seguendo una rotta precisa grazie a buoni strumenti, potrà approdare sicuro a Bisanzio.
nicola.borzi@ilsole24ore.com



 


06-01-2007 - PLUS24 - IL SOLE 24 ORE










 

























RISPARMIO GESTITO / L'ANALISI DI BOSTON CONSULTING



Asset management, operatori esteri in marcia sul mercato italiano



Cresce la pressione sui margini, per gli hedge fund si dimezzeranno in quattro anni



Nicola Borzi



 



L'industria italiana del risparmio gestito non può pensare di affrontare il 2007 nella convinzione che basti la recente riforma della destinazione del Tfr per garantire un anno tranquillo. È vero, come spiega l'ultimo rapporto globale di Boston Consulting sull'asset management, che la principale forza che trasforma questo mercato è la demografia, con il pensionamento progressivo di decine di milioni di baby boomers, la generazione nata tra il secondo Dopoguerra e gli anni Sessanta del secolo scorso. Ma la concorrenza di operatori internazionali, la pressione competitiva sui margini dei prodotti di investimento più standard e la dimensione degli operatori nazionali sono tutti fattori che impongono scelte strategiche, come spiega anche Massimo Busetti, vice president e director responsabile della practice dei servizi finanziari di Boston Consulting Italia .
«Gli Stati Uniti restano il principale mercato mondiale dell'asset management», afferma Busetti, «ma stanno perdendo quote di mercato: tre anni fa "pesavano" per il 49% delle masse amministrate, a fine 2005 erano scesi al 46%, per un valore di 22mila miliardi di dollari sui 49.100 globali. I flussi nominali di nuovi asset in Europa, con 18.700 miliardi di dollari, e Asia, che conta su asset per oltre 3.200 miliardi di dollari, crescono del 20% annuo, a fronte del 9% degli Usa. Occorre però ricordare che i prodotti che rappresentano la gran parte degli stock di masse amministrate in Europa e in Italia, come i fondi comuni, stanno crescendo a un ritmo molto blando, quando non nullo. I margini di questi prodotti "classici" si stanno riducendo, mentre gli investitori scelgono sempre più prodotti diversi, sia nella fascia "bassa" degli Etf e degli indici che in quella "alta" degli hedge fund e del private equity, che crescono a tassi annui del 20-30 per cento».
La sfida, per le società italiane del settore, si fa quindi sempre più difficile: «I produttori di strumenti finanziari "classici" sono presi in mezzo», sostiene Busetti, «e l'Italia è tra i mercati più colpiti perché, con 1.441 miliardi di dollari di asset under management a fine 2005, è tra quelli con un'asset allocation più conservatrice, con prodotti più core: gli investitori italiani scelgono ancora meno Etf e indici che non quelli europei o statunitensi. Questo però significa anche che per i produttori di strumenti finanziari di questo tipo ci sono spazi di crescita maggiori. Anche perché, secondo la nostra ricerca, nel mondo ci sono ancora 30-50mila miliardi di dollari di asset gestiti direttamente dai risparmiatori e non dai professionisti. Non solo: occorre considerare che i prodotti finanziari non core mano a mano col tempo diventano core: per le società di gestione i prodotti total return o portable alfa oggi sono ancora poca cosa, ma rappresenteranno il motore del futuro. C'è poi un ultimo, ma non irrilevante, fattore: l'apertura delle reti di distribuzione ai prodotti di terzi sarà sempre più fondamentale sia sui canali retail che delle gestioni istituzionali. Su questo fronte, come mostra il grafico in alto, l'Italia ha ancora molta strada da fare».
«Quanto agli operatori italiani, tra i fattori strategici identifichiamo l'ingresso dei player internazionali, che sottraggono quote a quello domestici, la crescita della domanda di prodotti di qualità, la necessità di investire in marketing, vendita e supporto, facendo però sempre attenzione ai costi. La scala dimensionale dell'operatore diventa quindi sempre più rilevante, come mostrano anche le ultime operazioni di aggregazione societaria, per creare sinergie di costo e razionalizzare l'organizzazione aziendale, anche perché nel frattempo cresce la pressione competitiva sui margini. Se oggi prodotti come gli hedge fund consentono di ottenere margini medi nell'ordine dei 150-200 punti base, al 2010 le nostre analisi prevedono che questi saranno dimezzati. L'innovazione, sia essa di prodotto, competenza o marketing, e la scala dimensionale sono quindi fattori fondamentali per uscire dal mercato di prodotti commodity ed entrare in quelli molto più attraenti, che consentiranno di accrescere la creazione del valore nei prossimi anni», conclude Busetti.
Nicola
Borzi

nicola.borzi@ilsole24ore.com
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IL NUMERO
1.441 miliardi
È il controvalore espresso in dollari degli asset amministrati in Italia a fine 2005 secondo il report Bcg



 



 


 


08-01-2005


 


PLUS24 - IL SOLE 24 ORE


 


















Macrotrend / Demografia e finanza



Investimenti, un futuro ad alta globalizzazione



I rendimenti elevati richiesti dall'Occidente saranno offerti dai Paesi in via di sviluppo



Nicola Borzi



 


cantavano i Beatles in , nel 1967. Sono passati quasi quarant'anni e il ritornello di quella canzone, almeno in Occidente (ma anche la Cina è sulla stessa strada), è ormai d'attualità. L'invecchiamento della popolazione è una realtà, dopo il crollo della fertilità sotto il tasso di sostituzione, e gli effetti riguardano la finanza pubblica e il risparmio. L'argomento - con l'avvicinarsi del pensionamento per la generazione dei baby boomers -, è da tempo alla ribalta anche della stampa. Sia le banche d'investimento che le grandi istituzioni finanziarie internazionali lo stanno studiando con attenzione come uno dei macrotrend che cambieranno la finanza del 21^ secolo.
Nei prossimi anni, la domanda crescente di previdenza pubblica aumenterà la pressione contributiva sui lavoratori (già in calo rispetto agli assistiti), sottraendo reddito e riducendo quindi la propensione al risparmio. Tra il 2010 e il 2050 nei Paesi dell'Unione Europea la popolazione attiva fra i 16 e i 65 anni si contrarrà di quasi il 20%, mentre quella totale segnerà solo un leggero calo. Sull'altro fronte, un eventuale calo delle prestazioni ridurrà il reddito dei pensionati, aumentandone la richiesta di alti rendimenti dagli investimenti personali. Ciò rischia di concretizzare l'asset meltdown, la svendita a prezzi calanti dei propri investimenti in una spirale in cui l'offerta di strumenti finanziari sarebbe enormemente superiore alla domanda.
In un summit organizzato da Isip (la Società italiana dei professionisti finanziari) in collaborazione con Credit Suisse, Richard F. Hokenson ha presentato all'Università Bocconi di Milano le proprie ricerche su invecchiamento della popolazione e strategie d'investimento. Hokenson, che ha alle spalle una carriera trentennale come economista in Merrill Lynch, Donaldson, Lufkin & Jenrette, Credit Suisse First Boston, e ora in proprio con la Hokenson & Company, prevede che , ha concluso Hokenson.
, ha affermato dal canto suo Ulrich Berz, economista di Union Investment. Contro ogni tentazione di catastrofismo, Berz ritiene che l'asset meltdown sarà evitato con l'internazionalizzazione dei portafogli, sostenuta dallo sviluppo demografico dei Paesi in via di sviluppo e dalla globalizzazione. Altre forme di contrasto consistono nell'aumento della percentuale della popolazione attiva su quella totale, nell'aumento della produttività e delle ore lavorate e nel progressivo innalzamento dell'età pensionabile.
A contrastare, almeno parzialmente, la riduzione del numero dei lavoratori attivi per numero di pensionati sarà un altro fenomeno demografico, che consiste nel progressivo aumento della percentuale di persone che risparmiano quote del proprio reddito (la cosiddetta , mostrata in uno dei grafici a lato). Nei Paesi dell'Europa occidentale, la percentuale della generazione di risparmiatori fra i 35 e i 64 anni di età rispetto alla popolazione attiva, che è cresciuta dagli anni 90 dal 30 al 35% circa, è prevista in ulteriore aumento fino a quasi il 45% ancora nel 2030. Tuttavia, il differenziale tra la generazione di risparmiatori e il quoziente di età (cioé il rapporto percentuale tra le persone in età pensionabile e quelle in età attiva) andrà progressivamente calando per arrivare quasi a zero entro il 2050.
Berz ha suggerito alcune , come il progressivo acquisto di azioni e obbligazioni estere, che con la globalizzazione dovrebbero garantire ritorni crescenti, grazie ai tassi di crescita delle economie locali superiori a quelli della Europa. L'economista di Union Investment ha sottolineato il ruolo della Cina: .
pagina a cura di
Nicola


 


08-01-2005


 


PLUS24 - IL SOLE 24 ORE


 
























Strategie / Consigli per risparmiatori previdenti



Cina, energia, oro e yuan il poker d'assi



 



Nicola Borzi



 



. Quando c'è di mezzo la demografia, l'antico detto arriva più vicino a realizzarsi. Almeno per chi di demografia scrive. Lo dimostra (), un libro che, inaspettatamente, ha raggiunto il dodicesimo posto nella lista dei bestseller finanziari di Amazon.com, riscuotendo un notevole interesse negli Usa e raccogliendo gli elogi di due premi Nobel per l'economia, Paul Samuelson e James Buchanan. Lo hanno pubblicato per la casa editrice del Massachusetts Institute of Technology (il famoso Mit) Lawrence J. Kotlikoff, presidente del Dipartimento di Economia all'Università di Boston e ricercatore all'Ufficio nazionale Usa di ricerca economica, consulente del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, dei Governi britannico, russo e boliviano e di numerose multinazionali, insieme a Scott Burns, giornalista finanziario che ha lavorato per Boston Herald, Dallas Morning News e Msn MoneyCentral.
Kotlikoff e Burns analizzano gli effetti dell'invecchiamento dei 77 milioni di baby boomers statunitensi che nel 2030 saranno in pensione: sono misurati con precisione l'impatto sul sistema pensionistico Usa, i costi sanitari e assistenziali, gli effetti sulla finanza personale e sui prelievi fiscale e previdenziale dei cittadini statunitensi, attuali e futuri, con le ricadute che, nelle condizioni attuali e senza correzioni, renderebbero possibile un default della finanza pubblica Usa simile a quello argentino. Lo strumento macroeconomico applicato all'enorme messe di dati è la , un processo che attraverso calcoli attuariali presenta sin d'ora la situazione del bilancio pubblico per un lasso di tempo di oltre 75 anni nel futuro misurando l'impatto delle politiche economiche, previdenziali e assistenziali.
Il libro indica possibili revisioni alle politiche economiche, fiscali, previdenziali e assistenziali per evitare l'asset meltdown. Il volume consiglia al piccolo risparmiatore come costruire un portafoglio finanziario personale che funzioni da per garantirsi una rendita al riparo dalle ricadute di politiche errate. Sono cinque le strategie d'investimento consigliate ai piccoli risparmiatori Usa: acquisto di bond indicizzati all'inflazione, investimento in strumenti finanziari denominati in euro e in yuan, quote di fondi che investano in metalli preziosi, quote di fondi specializzati nel settore energetico e, infine, fondi equity specializzati nel mercato cinese.
L'evoluzione della popolazione e il suo impatto sul sistema economico sono al centro di un altro volume, questa volta in italiano, , a cura di Jader Jacobelli (ed. Rubbettino), che raccoglie i contenuti prodotti da un panel di relatori in un recente convegno sull'argomento. Il sottotitolo () fa da traccia alla lettura, che si focalizza sull'Italia e sul suo progressivo invecchiamento, mettendo sotto la lente la necessità di regolare i flussi migratori necessari a impedire l'implosione economica del Paese.



 





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