Il blocco degli accessi per gli utenti italiani adottato attraverso il sequestro degli IP e dei DNS a carico dei provider italiani, in caso di presunta diffamazione, deve ritenersi eccessivo rispetto al bene giuridico da tutelare.
Il sequestro di un sito web deve cadere solo su una o più frasi offensive e solo nel caso in cui le frasi non siano state nel frattempo cancellate ( cosa che nel frattempo era già stata fatta dal titolare del sito, come certificato dal fax inviato ai provider dalla polizia postale il 9 marzo stesso ndr).
E’ quanto ha stabilito il 9 marzo scorso il Tribunale della Libertà di Belluno, presieduto dal Presidente del Tribunale di Belluno Sergio Trentanovi (giudici a latere Antonella Coniglio e Elisabetta Scolozzi).
Il sito Vajont.info, eccettuata dunque la frase ironica su Scilipoti e Paniz, su cui permane tuttora il sequestro e che però era già stata cancellata dal titolare del sito, deve quindi tornare nella sua interezza sul web.
Il Tribunale del Riesame accoglie quindi il ricorso dei 200 Provider di Confcommercio facenti capo all’Associazione “Assoprovider”, proposto attraverso l’Avv. Fulvio Sarzana di S.Ippolito, che, da subito, avevano protestato per l’ampiezza della misura irrogata dal Giudice delle indagini preliminari di Belluno Sergio Giancotti.
I provider avevano lamentato i gravi rischi per i diritti costituzionali alla libera espressione ed al diritto all’informazione connessi all’esecuzione del provvedimento di quell’ampiezza.
Il legale aveva discusso la misura di fronte al Collegio presieduto dal Presidente del Tribunale il 9 marzo scorso.
Come si ricorderà il GIP aveva disposto il sequestro del sito Vajont.info per una frase ritenuta offensiva nei confronti degli On Paniz e Scilipoti, rimettendone le modalità di esecuzione al Pubblico Ministero.
Il Pubblico Ministero Massimo De Bortoli aveva ordinato “ai fornitori di servizi internet operanti sul territorio dello stato italiano di inibire ai rispettivi utenti l’accesso all’indirizzo web www.vajont,info, ai relativi alias, ed ai nomi di dominio presenti e futuri rinvianti al sito medesimo, all’indirizzo IP statico che al momento dell’esecuzione del sequestro risulta associato al predetto nome di dominio ed ad ogni ulteriore indirizzo IP statico che sarà associato in futuro”
Il Tribunale ha stabilito due principi:
1) Il GIP avrebbe dovuto disporre il sequestro solo della presunta frase diffamatoria e non dell’intero sito perché diversamente argomentando si porrebbero delle gravi questioni relative alla tutela della libertà del pensiero, di libertà di espressione e di stampa in quanto valori costituzionali protetti dall’art 21 della Costituzione.
2) Il provvedimento di inibizione DNS e IP oggetto dell’ordine di esecuzione firmato dal pubblico ministero è eccessivo rispetto al fine da tutelare, ovvero l’onorabilità di qualsiasi individuo, nella fattispecie l’On Maurizio Paniz. In particolare il Tribunale ha affermato “ Le modalità di esecuzione rendono evidente, nei limiti del fumus richiesto dal sequestro, l’eccessività contenutistica del disposto sequestro preventivo in relazione al fine che doveva essere tutelato ( l’onorabilità dell’On Paniz), in riferimento alla frase di natura oggettivamente offensiva.
Il Tribunale ha quindi statuito che “ l’ambito del sequestro preventivo deve considerarsi illegittimo nella sua attuale ampiezza”.
Il tribunale del riesame ha quindi accolto il ricorso dei Provider mantenendo i il sequestro preventivo solo sulla frase ritenuta offensiva, riducendo quindi l’ampiezza e revocando implicitamente tutti gli altri elementi del provvedimento originario, ovvero il sequestro dell’intero sito e l’ordine di inibizione a carico dei provider.
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