Roma, 20 marzo 2012. Il Governo va avanti, anche senza il consenso della Cgil. Dopo giorni di trattative serrate, la proposta che il premier Mario Monti e il ministro del lavoro Elsa Fornero mettono sul tavolo, nel vertice a Palazzo Chigi, prevede una consistente manutenzione dell'articolo 18: il reintegro resta solo per i licenziamenti discriminatori, diventa un'alternativa all'indennizzo, per i casi più gravi, per quelli disciplinari e sparisce per i licenziamenti economici. Il contratto a tempo indeterminato diventa dominante e quello a tempo determinato bandito dopo 36 mesi. La riforma segna quindi una profonda discontinuità, andando a toccare proprio alcune delle pregiudiziali poste dal sindacato guidato da Susanna Camusso. A fare la sintesi, alla fine del confronto, è il premier Mario Monti in conferenza stampa: «abbiamo accertato con scrupolo la posizione di ciascuna delle parti sociali che ci ha portato a concludere che tutte le parti acconsentono all'articolo 18 nella nuova formulazione ad eccezione della Cgil che ha manifestato una posizione negativa». Ora, scandisce, la questione sull'articolo 18 «è chiusa». Perchè c'è «rispetto» per le parti sociali ma «a nessuno è concesso potere di veto». L'auspicio del premier è che la riforma possa contribuire a far ripartire la crescita. «Confidiamo che una riforma così strutturale in linea con le raccomandazioni dell'Unione Europea e dell'Ocse possa contribuire a dare una prospettiva di sviluppo all'economia del Paese e a vantaggio dei giovani», evidenzia Monti. Che si dice sicuro di un primo effetto cruciale: «il mercato del lavoro non sarà più un ostacolo per gli investimenti». Il Premier rende quindi «omaggio» al ministro del Lavoro Elsa Fornero per una riforma «molto coerente come solidità e impostazione strutturale» con la precedente riforma, quella del sistema previdenziale. Sul piano dei contenuti, la sintesi spetta proprio al ministro. Il contratto a tempo indeterminato è quello che «domina sugli altri» ma non sarà più «blindato», evidenzia. E, sottolinea, «non sarà più blindato, come lo era ora dall'articolo 18, nel bene e nel male». Una soluzione che, assicura, «riflette equilibrio». E, ancora: «dispiace il no della Cgil», ma la riforma «non è contro i lavoratori». Parole che bastano a spiegare la posizione contraria della Cgil che, anche considerando i rapporti di forza interni con la Fiom, evidentemente non può spingersi a dare il suo via libera. Almeno stasera, almeno a queste condizioni. La giornata del confronto ufficiale, del resto, si è aperta con oltre un'ora di ritardo rispetto all'orario stabilito, proprio per giocare tutte le carte a disposizioni per tentare di accorciare le distanze con la Cgil. Ad aprire il confronto è il premier Mario Monti, auspicando che la riunione possa essere «conclusiva o quasi» e ricordando le parole del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: «prevalga l'interesse generale». Un riconoscimento alle parti sociali va per l'impegno speso nella trattativa: «sono molto grato per l'intensità con la quale avete tutti partecipato a un processo rivolto a dare un assetto più moderno all'economia e alla società italiana». Monti indica anche il percorso scelto per arrivare all'approvazione della riforma. Un percorso che, di fatto, consente di 'sterilizzare eventuali no alla riforma: al termine del confronto ci sarà una verbalizzazione delle varie posizioni di accordo e disaccordo e non un classico documento contrattuale. Proprio per firmare il verbale si terrà giovedì , alle 16, l'incontro finale tra governo e parti sociali a palazzo Chigi con i testi. Il verbale, spiega Monti, sarà la base della proposta che sarà presentata al Parlamento. E proprio il Parlamento, ricorda il premier, «resta l'interlocutore principale del Governo».
Chiusa l'introduzione del Presidente del Consiglio, è il ministro Fornero a prendere la parola, per illustrare quella che è la proposta del governo. La premessa è che «il dialogo non finisce oggi ma continua per la scrittura delle norme». Un lavoro che impegnerà per i prossimi tre giorni, perché «entro venerdì si chiuderanno i testi». Il passaggio chiave nell'esposizione del ministro è quello che riguarda la revisione dell'articolo 18.
Il reintegro resta obbligatorio nel caso di licenziamento discriminatorio e, anzi, la norma viene estesa anche alle pmi, alle imprese con meno di 15 dipendenti che oggi non rientrano nell'articolo 18. Il reintegro sarà accompagnato anche dal pagamento dei contributi non versati durante il periodo di sospensione dal lavoro.
Per i licenziamenti disciplinari sarà invece previsto il rinvio al giudice che deciderà il reintegro nei casi gravi o l'indennità con un massimo di 27 mensilità.
Per i licenziamenti economici, spiega Fornero, sarà previsto solo il pagamento del risarcimento, che va da un minimo di 15 mensilità a un massimo di 27, facendo riferimento all'ultima retribuzione.
A fronte di questa impostazione che aumenta la flessibilità in uscita, l'impianto del governo prevede che il contratto a tempo indeterminato diventi «quello che domina sugli altri per ragioni di produttività e di legame tra lavoro e imprese». Al contrario, è previsto il fermo contrasto alla reiterazione di tutti i contratti a tempo determinato per più di 36 mesi. L'obiettivo del governo è quello di colpire quella cattiva flessibilità che genera precarietà e che spesso sconfina nello sfruttamento del lavoratore. Per questo, nel suo intervento, il ministro Fornero elenca tutti i punti, più o meno controversi, riguardanti i contratti a tempo determinato, di inserimento, apprendistato, a tempo parziale, a progetto, intermittenti, partite iva, associazione in partecipazioni, accessori e tirocini. Da una parte, accogliendo in particolare una richiesta di Rete imprese Italia, assicura che i contratti stagionali e sostitutivi verranno esclusi dall'aliquota addizionale dell'1,4% prevista invece per i contratti a tempo determinato per finanziare l'Aspi. Dall'altra, annuncia che vincoli «stringenti ed efficaci» saranno posti sui contratti intermittenti e su quelli a progetto. Il percorso lavorativo, invece, «inizia con un apprendistato vero», che diventa un investimento per la formazione e non strumento di flessibilità. La proposta del governo sulle partite Iva prevede invece l'introduzione del lavoro subordinato dopo 6 mesi, se la prestazione di lavoro è presso un committente. In questa ottica, i contratti di compartecipazione possono riguardare solo i familiari di primo grado. Confermati, poi, i tempi di attuazione della riforma degli ammortizzatori. Il nuovo sistema, l'Aspi, entrerà a regime nel 2017. (Adnkronos)
Come si licenzia in Europa. Più libertà alle aziende, più tutele ai lavoratori
di www.corriere.it
Milano, 20 marzo 2012. Il nodo al centro della trattativa tra governo e sindacati resta l'articolo 18. L'esecutivo guarda al modello nord europeo e, in particolare, a quello tedesco. Ma come si licenzia in Europa? La formula più accreditata è quella che garantisce più flessibilità, ma anche più tutela ai singoli lavoratori.
GERMANIA - Fra il 2003 e il 2005 è stato profondamente riformato il mercato del lavoro, reso molto più flessibile. I disoccupati sono molto diminuiti, dai 5 milioni del 2006 ai 2,7 del 2011. Il sussidio di disoccupazione (67% dell'ultimo stipendio netto) è concesso per un anno dopo la perdita del posto. Dopo si ricevono altri sussidi: 680 euro per un appartamento (inclusi 374 euro calcolati per vivere) e l'assicurazione sulla salute. Il licenziamento è più facile per le imprese con meno di 10 dipendenti. Per le altre va giustificato. I contratti a tempo determinato possono essere rinnovati fino a due anni e per non più di tre volte.
GRAN BRETAGNA - I contratti di lavoro si dividono in employment (rende il lavoratore un dipendente) e services (regola uno scambio di prestazioni, chi lo firma resta di fatto in proprio). Non esiste la contrattazione collettiva nel settore privato e sempre meno nel pubblico. Esistono clausole che proteggono dal licenziamento senza giusta causa: il lavoratore può fare ricorso al tribunale e chiedere un indennizzo. In caso di riduzioni collettive del personale per ragioni economiche, l'azienda deve garantire al lavoratore indennizzi.
FRANCIA - I licenziamenti individuali sono più facili che in Italia. Il lavoratore cacciato senza giustificato motivo ha diritto solo a un risarcimento (minimo sei mesi di stipendio). Il licenziamento per motivi economici è possibile solo in caso di chiusura o trasformazione dell'attività, come nel caso di fallimento o di ristrutturazione. Il datore di lavoro ha però l'obbligo di proporre all'impiegato misure di riconversione e di riqualificazione prima del licenziamento. Quanto ai sussidi per la disoccupazione, sono finiti i tempi delle vacche grasse. I beneficiari sono infatti sottoposti a regole molto più stringenti rispetto al passato, con l'obbligo di dimostrare con estrema regolarità che sono alla ricerca di un lavoro.
DANIMARCA - Il modello della flexicurity (fusione dalle parole inglesi flexibility e security) dà alle aziende margini più ampi per licenziare i propri dipendenti rispetto al resto dell'Unione, ma offre ai dipendenti una maggiore tutela. Il lavoratore licenziato percepisce il 90% dell'ultima retribuzione per il primo anno di disoccupazione, l'80% per il secondo, il 70% per il terzo e il 60% per il quarto. L'azienda paga il sussidio e aiuta il lavoratore a trovare un nuovo lavoro, con corsi di formazione. Il modello ha portato la Danimarca ad avere un basso livello di disoccupazione.
SPAGNA - Il dipendente a tempo indeterminato può essere licenziato anche senza giusta causa. L'azienda è tenuta solo a versargli un risarcimento, che la riforma del mercato del lavoro varata dal governo Rajoy in febbraio ha ridotto di molto: 20 giorni invece di 45 per anno di lavoro (per 12 anni al massimo) per le imprese in difficoltà, 33 per le altre (per 24 anni al massimo invece di 42).
(In http://www.corriere.it/economia/12_marzo_20/come-si-licenzia-in-europa_2b2ef1ce-72a4-11e1-a140-d2a8d972d17a.shtml)